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I libri del maestro Tsuda hanno oramai conosciuta una certa diffusione, e posso dire anche per conoscenza diretta che non mancano i casi di persone che decidono tranquillamente di "provare" quanto hanno letto; è possibile e consigliabile l'autodidattica?

[Il maestro Soavi sembra rimanere un attimo sorpreso: non aveva forse preso in esame questa possibilità, e l'intervistatore gli conferma di essere a conoscenza di diversi "esperimenti"].

Questo non è impossibile, ma c'è un rischio. In se e per se il katsugen undo non ha nulla di pericoloso o potenzialmente negativo, tuttavia ci possono essere anzi probabilmente ci saranno diversi effetti collaterali, del tutto naturali, ma che possono essere interpretati in modo errato dalla persona e portarlo a comportamenti sbagliati.

Il caso tipico è quello di una persona che nel processo di riequilibrio psico-fisico avvertisse un dolore in qualche parte del corpo, segno che quell'organo si sta riequilibrando, tornando alla vita. Potrebbe facilmente correre in farmacia e farsi prescrivere qualcosa che addormenti di nuovo l'organo, annullando il lavoro fatto e aggravando i suoi problemi in quanto un antidolorifico riduce o annulla la sensibilità del corpo.

Per queste ragioni la pratica nei nostri dojo deve sempre iniziare con un seminario nel corso del quale il praticante ha modo di avvicinarsi all'aikido e al katsugen undo in un ambiente controllato e sotto la guida di una persona esperta. Non un maestro, questo concetto è lontano dalla nostra disciplina, ma semplicemente una persona che ha fatto alcune esperienze per cui altri ancora non sono passati.

Avendo seguito il maestro Hideo Kobayashi nella pratica del katsugen undo credo di conoscere la risposta ad una inevitabile osservazione, quella che fa sempre chi inizia il movimento. Ma vorrei che la risposta fosse data da chi ha l'autorità per farlo. Se il movimento nasce da solo ed è per definizione "giusto", allora come mai l'insegnante interviene durante il movimento per correggere?

In realtà non c'è molto che l'insegnante possa o debba fare durante il movimento, e in nessun modo può verificare che un suo intervento sia stato giustificato e sia andato a buon fine. L'esperienza certamente aiuta, ed aiuta molto: è soprattutto questione di sensibilità e questa con la pratica viene, ed aumenta con gli anni. Fondamentalmente ci sono due tipi o due gruppi di intervento: nel primo gruppo rientrano quelli per "sbloccare" una persona che non sia in grado di avvertire le necessità o i desideri di movimento del proprio corpo, o pur avvertendoli non sia in grado di assecondarli ma in qualche modo li trattiene. In questo caso l'insegnante, o semplicemente una persona con esperienza, poiché il katsugen undo si può praticare anche in coppia, può unire la propria energia attraverso lo yuki e agevolare la nascita del movimento. Il secondo gruppo di interventi è indirizzato a quella percentuale fisiologica di persone che sentono di "dover fare qualcosa" e cominciano a muoversi senza in realtà sentire veramente il proprio corpo. In questo caso, e forse è quello più ricorrente, l'intervento dell'insegnante è necessario per arrestare un movimento immaginario e ricreare le condizioni per ritornare al vero movimento rigeneratore.

Trattandosi di un movimento spontaneo potrebbe sembrare una domanda strana. Ma la vita che facciamo normalmente è talmente innaturale che spesso la nostra sensibilità è un po' insonnolita: ogni quanto praticare il movimento, e per quanto tempo?

Nel corso dei raduni o o delle lezioni ovviamente dobbiamo seguire delle regole per esigenze organizzative. Solo per questo l'insegnante stabilisce l'inizio, decide una durata e indica la fine del movimento. Altrimenti è preferibile non porsi il problema della durata, ma lasciare che il movimento duri quanto deve durare e si arresti da solo. Un po' più complesso il problema della frequenza: anche qui non esistono regole valide per ognuno di noi, ogni essere umano è diverso da ogni altro, è proprio questo il nocciolo del pensiero seitai, e si potrebbe seguire il ritmo naturale che viene dallo stimolo, dalla voglia, piacere o bisogno di fare il movimento. A volte però si può essere distolti da troppi fattori esterni, e tenere un ritmo regolare praticando almeno una o due volte a settimana è consigliabile.

E' bene praticare da soli, almeno in coppia o in gruppo? Ed è preferibile praticare con partner con cui ci si trovi già in armonia, o cercare l'armonia anche in condizioni meno favorevoli?

Se possibile almeno in coppia: la sensibilità si acuisce soprattutto quando siamo in termini di relazione con un altro essere umano, e se preesiste uno stato di disponibilità è sicuramente meglio, perlomeno all'inizio. La pratica regolare in un dojo aiuta ad essere disponibili verso tutti, ed è per questa ragione molto importante anch'essa.

Ringraziamo per il momento il maestro Régis Soavi, augurandoci di avere ancora modo in futuro di praticare ai suoi raduni e di potergli chiedere degli approfondimenti.

Paolo Bottoni