Kojiki: Un racconto di antichi eventi
Marsilio, 2006

 

Sul finire del VII secolo l'imperatore Tenmu affidò al nobile Yasumaro la raccolta e la revisione dei documenti in cui era tramandata la storia del Giappone e della famiglia imperiale. Non è possibile avere ulteriori informazioni su questi testi, sicuramente redatti in lingua cinese poiché non esisteva in Giappone un sistema di scrittura. L'opera di redazione si avvalse della consulenza del cortigiano Are, sicuramente dotato di grandi capacità mnemoniche e che si dedicò alla raccolta dei racconti affidati esclusivamente alla tradizione orale.

Dopo un periodo di interruzione durato alcuni decenni, dovuto presumibilmente alle incerte vicende della successione al trono, il lavoro venne ripreso su ordine della imperatrice Genmei alcuni decenni dopo, nel quarto anno dell'era Wado ossia intorno al 711 a.D., e redatto in lingua giapponese costituendo il primo testo in assoluto in questa lingua.

I problemi di interpretazione del testo sono molteplici: nel corso dell'opera vengono utilizzati principalmente due differenti metodi di redazione. Il primo adotta nella scrittura ideogrammi cinesi di significato corrispondente ai termini giapponese, lasciando irrisolto il problema della loro pronuncia. Nel corso del tempo infattii alcuni ideogrammi adottarono la pronuncia giapponese, altri la cinese, altri ancora conservarono entrambe le possibilità. Il secondo sistema si rendeva necessario per la trascrizione dei poemi e delle canzoni, in cui la pronuncia non era modificabile: vennero utilizzati, astraendo dal loro significato, ideogrammi cinesi dallo stesso suono. Lo stesso Yasumaro riconosce che questo metodo appesantisce notevolmente il testo: gli ideogrammi cinesi hanno suono sillabico pur racchiudendo generalmente il significato di una intera parola di senso compiuto, quindi laddove un testo cinese utilizzerebbe un singolo ideogramma la traduzione fonetica in giapponese ne richiede due, tre o più.

Strutturalmente l'opera tratta di tre distinte tematiche: l'era degli dei, che corrisponde alla nascita del Giappone, quella degli eroi sovrumani e leggendari, e quella più propriamente storica che si prolunga fino ai tempi dell'imperatore Jomei, padre di Tenmu, rinunciando evidentemente a trattare i casi del "presente".

Come spesso succede per i testi che trattano delle origini, paradossalmente la parte che ci fornisce le maggiori informazioni non è quella storica ma quella che tratta della cosmogonia, degli dei e degli eroi leggendari perché ci restituisce una immagine fedele della psicologia, della filosofia e della teologia di un popolo, dei suoi principi morali e delle linee guida della sua condotta. Le opere di tipo annalistico tipiche dei  primi stadi di ogni cultura lasciano invece solo aridi elenchi di nomi e di fatti, completamente avulsi dal loro contesto.

Per dare un termine di paragone basti paragonare i libri Ab urbe condita dello storico Tito Livio, che trattano agli inizi dell'era volgare la storia di Roma. Livio dimostra nel corso della sua opera di essere uno storico non solo accurato e scientifico, rivalutato dalle recenti scoperte archeologiche che hanno superando definitivamente le obiezioni dei critici del tardo ottocento, ma anche ispirato e capace di leggere tra le righe della storia. Eppure le sue cronache dell'epoca protostorica non possono avere alcun valore documentale: dei discendenti di Enea, la cui dinastia portò alla nascita di Roma, non può darci che un monotono elenco, prevenendo il lettore della impossibilità di dire alcunché di definitivo su epoche talmente lontane.

Quindi del Kojiki è interessante studiare soprattutto la prima parte, quella mitica, non dissimile nei concetti da analoghe cosmogonie di altre culture, per noi occidentali soprattutto quella del greco Esiodo, che ebbe notevoli e durature ripercussioni ed infliuenze non solo sulla religione ma anche come abbiamo detto sulla morale e sullo stile di vita del Giappone tradizionale. Così la introduce Yasumaro:

Ci fu un tempo confuso in cui qualcosa iniziò  a prendere una consistenza, ma ancora così indistinta, anonima, e inerte, che nessuno potrebbe descriverla. Poi il cielo e la terra si cominciarono a separare e primi a generarsi furono tre esseri misteriosi. Apparve la distinzione fra femmina e maschio e una sacra coppia generò una moltitudine di creature. Dopo la visita al regno invisibile il sole e la luna spuntarono dal lavacro degli occhi e vari esseri sacri spuntarono da abluzioni nell'acqua del mare. Le primissime origini rimangono dunque oscure ma insegnamenti antichi ci parlano di quando nacquero terre e isole e i sapienti del passato ci illuminano sulla nascita degli esseri sommi e degli uomini. Così sappiamo dello specchio che venne appeso, delle gemme sputate fuori da cui iniziò il succedersi di centinaia di principi, della spada masticata e dell'uccisione del drago, della presenza di miriadi di esseri sacri, del regno placato grazie alle loro decisioni presso il quieto fiume del cielo e alla sfida sulla spiaggia.

Prosegue dopo, ed è inevitabile l'ennesimo parallelo con analoghe affermazioni leggibili nelle prime opere storiche della nostra civiltà, con quanto ordinatogli dal principe Tenmu:

"Ho saputo che gli annali dinastici e le antichissime storie in possesso delle varie famiglie non sono più conformi a verità. Molte falsità vi si sono accumulate. Se gli errori non vengono corretti subito rovineranno ben presto il significato dei testi che trasmettono i principi fondamentali del nostro regno. Sarà bene dunque rivedere gli annali dinastici e controllare le storie antiche per eliminare gli errori e stabilire la verità da trasmettere ai posteri."

Terminata l'introduzione, in cui fa menzione della funzione di archivio vivente affidata al giovane Are della famiglia Hiyeda, "capace di leggere a prima vista [cosa evidentemente fuori dell'ordinario n.d.r.] e di tenere a mente anche il minimo fruscio", Yasumaro inizia la narrazione della nascita del Giappone e poi della famiglia imperiale.

Furono all'inizio tre esseri misteriosi, solitari ed invisibili a spuntare nelle pianure del sommo cielo, fra terre informi "come grasso sull'acqua e alla deriva come meduse": Amenominakanushi, Takamimusuhi e Kamumusuhi. Da loro nacquero sette generazioni divine, fino ad arrivare a quella cui appartennero il dio Izanaki e la dea Izanami. La loro unione fu dapprima infelice, avendo violato le regole protocollari nel loro primo incontro, e diedero vita ad un bambino deforme, che venne abbandonato all corrente del fiume su un battello di giunchi, e un'isola senza forma. Eseguendo il corretto protocollo si unirono di nuovo e generarono otto isole tra cui quella di Yamato "grande e dalle ricche messi, che chiamiamo anche il principe degli opulenti e celestiali autunni": dopo aver generato le principali otto isole del Giappone vennero in seguito alla luce sei isole minori; ma era venuto oramai iltempo di generare dopo le terre anche degli esseri sacri che le popolassero.

Izanami partorì 35 esseri sacri prima di morire dando alla luce il dio del fuoco Yagihayawo, noto anche come Kagutsuchi. Izanaki in preda all'ira estrasse la spada chiamata Ame no wohabari o Itsu no wohabari "lunga una decina di spanne", descrizione stereotipa che troveremo spesso nel Kojiki, ed uccise Kagutsuchi. Dal sangue caduto sulle rocce, da quello rimasto sulla lama e dal corpo del dio Kagutsuchi nacquero numerosi altri esseri sacri.

Il mito prosegue dopo la morte della dea Izanami con la discesa agli inferi di Izanaki alla ricerca della sua sposa celeste, un episodio che richiama inevitabilmente alla mente analoghe discese agli inferi della mitologia greca, primo fra tutti il mito immortale di Orfeo ed Euridice. Anche Izanaki deve sottostare ad una condizione per poter riportare la sposa nel mondo dei vivi, quella di non guardarla per nessuna ragione, ma anche Izanaki fallirà. Izanami rimarrà la dea delle acque ocra, la dea delle potenze infere, ed ogni giorno strapperà alla vita 1000 uomini, ma Izanami ne farà venire alla luce 1500 e così la stirpe degli uomini si accrescerà.

Dalla purificazione rituale di Izanami al ritorno dal suo viaggio tra le potenze sotterranee nacquero altri dei, tra cui Amaterasu "grande sovrana e sacra"  e Susanowo "maestoso, rude e svelto", dalla cui mistica unione discenderebbero i primi principi del Giappone e la famiglia imperiale. Anche l'unione tra Susanowo ed Amaterasu fu contrastata, rappresentando in questo modo le varie energie divergenti, che attraverso momenti di conflitto ed altri di convergenza danno origine a tutte le cose del creato. Non mancano numerose altre "avventure" erotiche del dio Susanowo nel corso delle sue imprese, da cui nacquero dei ed eroi. Naturalmente questi miti non vanno interpretati alla lettera e racchiudono in se profondi significati simbolici, che purtroppo spesso a noi sfuggono e che ci aiuterebbero altrimenti a conoscere e prevedere gli esiti dell'incontro di energie differenti.

In questo ciclo di leggende sulle gesta di Susanowo e Amaterasu si innesta la creazione dei tre oggetti sacri della famiglia imperiale: Kusanagi, la grande spada falcia erba che Susanowo rinvenne nela coda del drago ad otto teste per poi farne dono ad Amaterasu, lo specchio Yata no Kagami ed il gioiello Yasakani no Magatami utilizzati dalla dea Ama no Uzume per attirare Amaterasu, dea del sole, dalla caverna in cui si era ritirata per un dissidio con Susanowo lasciando il mondo nelle tenebre. L'eroe Ninigi no Mikoto discendente di Amaterasu portò con se questi oggetti nella sua spedizione per pacificare il Giappone. Dal primo imperatore Jimnu i tre oggetti sacri che non possono essere visti da altri occhi, vennero trasmessi ai discendenti.

Terminata la parte leggendaria dell'opera, come si è detto inizia quella protostorica che preferiamo lasciare fuori da questa prima analisi in quanto di difficile fruibilità per il lettore medio occidentale.