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Mineko Iwasaki
Storia proibita di una geisha
Newton Compton
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Nata nel 1949, Mineko Iwasaki è stata l'erede di una antica e rinomata casa, Iwasaki appunto, che ha abbandonato alla età di 29 anni destando molto scalpore per la cruenta rottura con una tradizione che aveva fino ad allora sfidato i secoli.

Come dice lo strillo di copertina (ma ricordate che non a caso viene chiamato familiarmente tra gli addetti ai lavori "bugiardino") si tratta quindi di una "storia vera"; è un termine che secondo le case editrici dovrebbe esercitare una attrazione irresistibile in ogni lettore, obbligandolo ad acquistare compulsivamente ogni testo che riporti detta dicitura. Veniamo anche informati che questo libro ha ispirato il più famoso best seller Memorie di una geisha.

Ove si dimostra che secondo questa logica perfino gli originali possono avere una loro valenza, a patto però che venga posto in evidenza il successo delle loro non eccelse imitazioni commerciali. Ma ci torneremo sopra. Dobbiamo tornarci sopra.

In realtà Memorie di una geisha è invece un'opera anteriore, scritta da Arthur Golden avvalendosi anche ma non solo della documentazione e dei ricordi messigli a disposizione da Mineko Iwasaki in una serie di interviste.

Ne è stato tratto un film che avuto buon successo commerciale e di critica, diretto dall'americano Rob Marshall e interpretato da Zhang Ziyi nella parte della protagonista - che viene chiamata Chiyo - e da Ken Watanabe.

La Iwasaki si sentì tuttavia in qualche modo tradita o perlomeno fraintesa da queste pagine e poi dal film, che non rispecchiavano il suo personale sentimento e nemmeno ricostruivano fedelmente l'ambiente,  conosciuto solo attraverso i resoconti delle persone intervistate e comunque deformato per drammatizzare la trama nonché volgarizzato per mere ragioni di cassetta.

Volle quindi esprimersi in prima persona scrivendo il testo La geisha di Gion (il karyukai, quartiere di Kyoto ove aveva sede la okiya Iwasaki) che è stato improvvidamente tradotto in italiano con il titolo che ormai conosciamo: Storia proibita di una geisha.

Sicuramente nel mondo della geisha la riservatezza è d'obbligo e in questo senso potremmo parlare di storia proibita. Ma dopo l'infedele resoconto di Golden, che rivelando contrariamente agli accordi il nome della Iwasaki come sua principale confidente le attribuiva automaticamente la responsabilità di quanto scritto, era necessario che lei parlasse in prima persona. E tacendo solo il necessario.

Nella copertina del testo originale vediamo una foto della Iwasaki alla età di 23 anni, quando era in procinto di diventare la più conosciuta e apprezzata geisha dell'intero Giappone.

Per quanto ne sappiamo non è stata pubblicata finora una edizione cartacea in italiano, ricorrere all'ebook è quindi necessario.

Ma è ora di tralasciare le considerazioni estranee al libro, e iniziare a scorrerne le pagine, non prima tuttavia di una ulteriore premessa. Adottata nella okiya Iwasaki all'età di 5 anni, come da tradizione secolare, per divenire atotori ossia erede della casata e direttrice della okiya oltre che geisha l'autrice abbandonò tutto come detto alle soglie dei 30 anni, ribellandosi a un sistema di vita che riteneva non più sostenibile né giustificabile al giorno d'oggi.

Il suo esempio venne seguito da numerose donne: si stima che furono circa 70 geisha, tra le più famose, quelle che abbandonarono di colpo tutto quanto era stato fino a quel momento al centro della loro vita e delle loro ambizioni. Ma nonostante tutto il sistema sostanzialmente non cambiò.

Attraverso la accurata e accorata ricostruzione della Iwasaki ci rendiamo certamente conto della attrazione irresistibile che ebbe ancora bambina verso il mondo incantato delle okiya, ma anche della necessaria crudeltà del sistema, che per permettere alle migliori di affermarsi e splendere come gemme solitarie non concede alle altre alcuna indulgenza e non ammette alcun momento di debolezza.

Lasciare quel mondo è stato sicuramente necessario alla Iwasaki, dispiace che nessuno abbia saputo o voluto, apparentemente, cogliere il suo grido di protesta per dare il via ad un processo di trasformazione che abbandonasse quanto del sistema non più utile o necessario ma mantenesse comunque accesa la fiaccola di una tradizione secolare, essendo sorta a partire dal 1700 circa,  volta alla ricerca e alla condivisione del bello.

Se per lei è stato necessario scriverne, sarò necessario leggerne per chiunque si interessi alla tradizione giapponese e al suo difficile cammino nel mondo moderno.

Una necessaria considerazione finale: agli albori dell'epoca Meiji, ossia dell'apertura del Giappone al mondo esterno e del suo difficile e irreversibile cammino verso un mondo "moderno",  venne completamente frainteso da parte degli occidentali il ruolo sociale e culturale della geiko (geisha titolare, mentre la maiko è apprendista) confondendolo di fatto con quello della oiran, prostituta per quanto di alto bordo.

Le autorità di concerto con le maggiori case da tè di Kyoto decisero allora la fondazione del Kabukai (Associazione degli Artisti) che regolamentasse e promuovesse l'autosufficienza, l'indipendenza e la posizione sociale delle artiste, diffondendo il motto Vendiamo arte, non corpi e in stretta collaborazione con l'associazione delle ochaya (case da tè appunto) e delle geiko di Kyoto.

Gli insegnanti vengono considerati tuttora tra i maggiori aristi del Giappone e non pochi sono stati nominati Importante patrimonio culturale se non in alcuni casi Tesoro nazionale vivente, come era il caso della iemoto (caposcuola e gerente della ochaya) e madre adottiva sotto la cui guida venne formata Mineko Iwasaki.