Kedamono no ken (La spada della bestia)
Hideo Gosha, 1965; 85 minuti, bianco e nero
Mikijiro Hira, Go Kato, Kantaro Suga
Toshie Shimura, Shima Iwashita, Yoko Mihara

Certamente questo film non passerà alla storia, anzi possiamo ormai dire definitivamente che non vi è passato, ma lascia scorrere gradevolmente il tempo della proiezione. E' la seconda opera di Hideo Gosha, prolifico regista attivo fino agli anni 90, che si è cimentato anche nella saga popolare del ronin Tange Sazen e di cui abbiamo parlato altrove recensendo Goyokin.

La vicenda è ambientata nel 1857, momento di trapasso coincidente col crollo dell'epoca Edo e l'avvento dell'epoca Meiji, momento anche di fermenti sociali, di tensioni e di conflitti, che danno lo spunto alla trama. Nelle sequenze iniziali apprendiamo da una voce fuori campo, che lascerebbe pensare al riassunto da una puntata precedente di cui non abbiamo comunque notizia,che il samurai Gennosuke Yuki sta sfuggendo la vendetta del suo clan, di cui ha ucciso il consigliere. Solo più avanti sapremo che non vi erano ragioni personali: Gennosuke intendeva eliminare un fiero oppositore del progresso per aprire la strada ad un successore presentatosi come più "moderno", che si rivelerà tuttavia nulla più che un politicante pronto a sentire la direzione del vento.

La sua fuga porta Gennosuke in una selvaggia vallata di montagna, scavata nella roccia da un fiume impetuoso in cui sono state trovate tracce di oro. E proprio questo oro, che è rigorosamente vietato estrarre in quanto proprietà del governo centrale, scatena la cupidigia di uomini ed istituzioni, lasciando Gennosuke nella classica situazione di chi si trova tra incudine e martello, al centro di lotte selvagge di cui non condivide le ragioni.

Inutile qui dilungarsi sulla trama, poco più di un pretesto per fornire alcuni momenti di piacevole intrattenimento a chi ama il genre jidai, basti dire che Gennosuke troverà conferma alle sue già pessime opinioni della società e del genere umano, e le sequenze finali lo vedranno incamminarsi solitario verso altri orizzonti ed altre avventure, così come si conviene a personaggi del genere.

Non si può tacere del ruolo che hanno le donne in tutto questo: ben tre sono le protagoniste, e a tutte sceneggiatura e regia hanno riservato trattamenti non benevoli. Sono le classiche donne del mondo samurai, almeno così come ce le rappresenta il film di genere: costrette a subire passivamente decisioni che non condividono, trattate a volte come fedeli servitori senza diritto ad avere una opinione piuttosto che come esseri umani, sono però i soli personaggi che rifiutano di adeguarsi al sistema e manifestano la loro ribellione alle convenzioni, rigettando le facili soluzioni. La morale della favola purtroppo non sembra dar loro ragione: come detto, tutte quante verranno in qualche modo punite per la loro ribellione, e non dal destino: dagli uomini.