Indice articoli

Takashi Miike: Sukiyaki Western Django
2007
Quentin Tarantino, Hideaki Ito, Koichi Saito, Yusuke Iseya, Kaori Momoi, Yoshino Kimura

 

Il cinema di Takashi Miike, noto come uno dei tanti enfant terrible del cinema giapponese, è rinomato per essere provocatorio, immaginifico,  sorprendente. Forse come sfida al pubblico e a se stesso, sceglie qui di esserlo ancor di più ma ripescando a piene mani nel già visto, in una pellicola che già nel titolo rivendica di essere una copia di una copia, ispirata al genere spaghetti western di produzione italiana che conobbe effimera vita negli anni 60-70. Un genere tanto incensato dalla critica quando se ne faceva portavoce Sergio Leone quanto biasimato quando vi ponevano mano artisti minori.

Eppure Sergio Corbucci (Roma, 1926-1990), ideatore e direttore nel 1966 di Django, da cui è partita l'idea di Miike, è autore studiato ed imitato da molti colleghi. Già immediatamente dopo l'uscita nelle sale di Django si affollarono nelle locandine i vari Django spara per primo, Django il bastardo, La vendetta di Django e via djangheggiando.

Una ricerca su IMDB permette a chiunque di constatare che digitando la magica parola escono fuori non meno di 80 titoli. Inoltre il suo linguaggio venne precocemente studiato - non meramente imitato - in Giappone. Da Il grande silenzio (1968) Hideo Gosha trasse l'anno seguente Goyokin.

Recentemente Miike ha alzato il tiro con Ichimei, un rifacimento del pregevole Harakiri (Masaki Kobayashi, 1962) presentato al Festival di Cannes, ma sospettiamo che mal gliene incolse. I giornali ne hanno parlato a profusione ma solamente per sottolineare come fosse il primo film in 3d presentato al Festival, mentre il critico Mereghetti nella sua recensione on line ne lamentava l'eccessiva seriosità e i dialoghi irrealisticamente nobili ed elevati dei protagonisti. Se ne conclude che per la critica Miike sembrerebbe indissolubilmente legato al genere pulp - o addirittura trash - e non deve azzardarsi ad uscire dal suo seminato.

Eppure il regista riesce a mescolare proprio in queste sue opere il degrado ed il sublime, lo stilema della rappresentazione popolare e la citazione dotta. Sembrano pochi però gli spettatori ed i critici in grado di cogliere questo aspetto.

Naturalmente ci sono poche speranze che questo film giunga in Italia, attualmente non lo troviamo in alcun catalogo. La recensione è condotta sulla versione francese (la Francia è un paese di veri cinefili) dal curioso involucro metallico che ricorda quello delle confezioni di matite.

Contiene due dischi: la versione destinata alle sale, quella integrale con 30 minuti supplementari, un "dietro le quinte" di 51 minuti ed una intervista col regista Quentin Tarantino, altro cultore del genere pulp che in Sukiyaki Django recita come interprete introducendo ironicamente la vicenda.

Ricordiamo a chi non fosse avvezzo alla cucina giapponese che il sukiyaki è un tipico piatto giapponese composto di carne, che viene di solito affettata direttamente sulla tavola, uova ed altri ingredienti.

Perché non udon-western , assimilabile a spaghetti-western? Azzardiamo l'ipotesi che Miike abbia voluto alludere alla truculenza volutamente esagerata e quindi surreale e non particolarmente fastidiosa, quasi divertente,  di numerose scene. In cui la carne viene tagliata direttamente sullo schermo, davanti allo spettatore/commensale sorridente.

Ma il sukiyaki ha, lo vedremo dopo, la sua importanza anche nella vicenda.

In tanta dovizia di materiale, una clamorosa mancanza: contrariamente a quanto indicato nella tabella riassuntiva in copertina, questa edizione contiene il doppiaggio in inglese e francese (in questa lingua anche i sottotitoli) ma non la versione originale giapponese.

Un vero peccato visto che la prima visione ne era riservata ad Hosokawa sensei, era legittimo il timore che non fosse in grado di seguire la vicenda.

E' stato invece lo spettatore più partecipativo, cogliendo al volo tutti i provocatori - e quindi evidenti - messaggi di Miike. Evidenti tuttavia solo per chi ha una conoscenza non superficiale della cultura giapponese.

Cosa dire della scena iniziale, trucidamente western in ogni suo componente, dai colori esasperati e quasi violenti?

Eppure quei colori sono gli stessi che ritroviamo nel periodo d'oro della stampa ukiyo-e giapponese ed il fondale della scena sembra provenire pari pari dalle vedute del monte Fuji di Hokusai od Hiroshige.

Il suo inserimento in un contesto dichiaratamente avulso ed estraneo, con cui sorprendentemente armonizza, sconcerterebbe lo spettatore comune che se ne rendesse conto, ma normalmente lo lascia indifferente ed ignaro. Diverte invece, costringendoli a ridere fino alle lagrime, molti spettatori colti.

 

HokusaiPioggiaChe comunque non si affollano ai botteghini e non fanno incetta dei dischi, del resto come abbiamo detto nemmeno disponibili in Italia. Miike ha avuto con questo suo film un buon ritorno presso il pubblico generico, cui solo apparentemente è destinato, e rimane ignorato da quello acculturato cui ha inviato tanti messaggi. Ignaro dei possibili risultati di tanta 'provocazione' o incurante di essi?