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Akira Kurosawa: Una meravigliosa domenica

1947

Isao Numazaki, Chieko Nakakita

 

 

Ancora alla ricerca della sua strada, Kurosawa presenta nel 1947 una favola dolceamara ambientata nella Tokyo dell'immediato dopoguerra ma che potrebbe immaginarsi in qualunque altra città che stia riemergendo a fatica dagli  orrori bellici.

Sono evidenti i richiami al neorealismo italiano, anche nella scelta di due protagonisti praticamente sconosciuti, per non distogliere l'attenzione dalla storia.

Altri legami diretti tuttavia non se ne avvertono, a differenza ad esempio di quanto vedremo poi in Cane randagio. Lì non solo la trama verrà chiaramente ripresa da Ladri di biciclette di Vittorio De Sica ma Kurosawa disseminerà nell'opera svariati omaggi alla sua fonte di ispirazione. Sorprendentemente nessun critico sembra averci fatto caso nei decenni passati da allora, forse per i depistaggi  volontari dovuti a una sorta di gioco malizioso dello stesso Kurosawa, che dichiarava di essersi ispirato invece alle atmosfere dei libri di Georges Simenon. 

D'altro lato - storia a parte - sarebbe una insanabile contraddizione cercare il realismo attraverso la copia di modelli provenienti da un'altra realtà, che nulla potrebbero avere di realistico. Potremmo dire che Kurosawa manovra il pennello secondo i principi di una innovativa tecnica di avanguardia proveniente d'oltremare. Ma il quadro porta comunque solo l'impronta della sua mano e i paesaggi umani che dipinge sono quelli della sua terra.

Privi di risorse e sull'orlo di perdere la speranza due giovani fidanzati, Yuzo e Masako, sono costretti a vedersi solo nell'arco della domenica prima di ritornare alla loro frustrante routine quotidiana, cercando invano un angolo, un attimo, di poesia.

Passeranno dalla disillusione all'amarezza, ma proprio quando sembra che Kurosawa si sia lasciato vincere dal suo pessimismo di fondo, nel vuoto palco dove si è tenuto il concerto cui non hanno potuto assistere, lei lancia un appello al pubblico, con un espediente che ricorda il teatro di Pirandello, invitandolo ad immaginare quanto manca. E mentre i due si abbandonano al piacere della danza, la colonna sonora fino ad allora priva di ogni effetto rimanda le note dell'incompiuta di Schubert, su cui si chiude il film.

 

 

 

 

Le immagini di apertura ci portano invece all'interno di una brulicante stazione ferroviaria ove si incontrano i giovani Yuzo (Isao Numazaki) e Masako (Chieko Nakakita). La critica sottolinea la scelta di Kurosawa, aderente alla metodica del neorealismo, di selezionare come protagonisti due attori sconosciuti e dall'aspetto di persone normali.

Per la verità, se questo appare plausibile nei confronti della Nakakita, appare meno convincente per il protagonista maschile, Isao Numazaki, che appare troppo sofisticato per essere uno dei tanti giovani disperati alla ricerca di un barlume di serenità nel cupo dopoguerra, e non abbastanza carismatico per distinguersi e colpire lo spettatore pur quando il personaggio deve apparire come uno dei tanti.

Ma queste sono doti esclusive dei grandi artisti come Toshiro Mifune, che solo più tardi iniziò la straordinaria collaborazione con Kurosawa.

Del resto la carriera dei due attori conferma queste valutazioni: in seguito Numazaki comparve in ruoli di comprimario solamente in una esigua manciata di film, e la sua ultima apparizione sullo schermo risale al 1952.

Non si può fare a meno di osservare che il suo destino fu simile a quello di Lamberto Maggiorani, protagonista di Ladri di biciclette, forse la più nota opera del neo-realismo mondiale.

La donnetta come tante, Chieko Nakakita, che aveva all'epoca 21 anni (Numazaki invece 31) ebbe invece - paradossalmente - lunga e fortunata carriera come attrice.

Kurosawa la utilizzò anche in L'angelo ubriaco ma soprattutto in Duello silenzioso, in cui ricopriva un ruolo fondamentale: la moglie del soldato Nakada malato di sifilide, condannata a partorire un figlio deforme.

La troviamo brevemente anche in un'altra opera recensita su questo sito, L'uomo del ricsciò di Hiroshi Inagaki, nella parte della sorella di Yoshiko, la protagonista. Scomparve nel 2005, dopo aver recitato in 95 film.

Kurosawa osservò che erano perfetti per la parte, dovendo apparire come due persone comuni senza alcuna caratteristica che li distinguesse dalla massa, e che questo loro anonimato agevolò le riprese, effettuate spesso dal vivo per le strade, con la cinepresa mascherata in qualche modo, senza che nessuno si accorgesse che si trattava di attori intenti a recitare in un film.

La recensione dell'opera, che segue, è condotta sulla edizione italiana, che è purtroppo ricavata da una copia in condizioni pessime e che è stata doppiata in modo troppo artificioso, senza rispettare la tonalità di recitazione richieste da Kurosawa ai suoi interpreti.