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La vicenda è ambientata in una località imprecisata nei pressi di Kyoto, e si svolge durante l'epoca Heian (VIII-XII secolo).

Nel mezzo di un temporale che sembra non voler mai cessare, tra le rovine della porta Rashomon si sono rifugiati come detto tre uomini. Un boscaiolo ed un bonzo, testimoni del delitto ed ancora turbati da quanto hanno visto ed ascoltato, ed un uomo di passaggio che incuriosito li invita a narrare quanto successo.

Della porta Rajomon (questo il nome originario) nulla era rimasto e Kurosawa la fece ricostruire negli studi di posa, ma senza avere alcun elemento concreto cui ispirarsi.

Aveva dichiarato ailla casa di produzione, la Daiei, che gli sarebbero serviti solamente due set, quello ed il cortile del tribunale, mentre il resto delle riprese sarebbe stato effettuato nei boschi.

Ci si aspettava quindi un'opera girata in economia, considerato anche il ridotto numero degli attori, ma al termine del film i produttori constatarono sconsolati che la porta Rashomon era costata da sola quanto un centinaio di set normali.

Kurosawa si giustificava alcuni anni dopo, con una punta di ironia, dicendo di non aver avuto all'inizio intenzione di farne qualcosa di tanto monumentale.

 

 

 

E' il boscaiolo ad iniziare il racconto. Con la sua ascia in spalla, era in cammino in mezzo alla foresta.

Per la prima volta una macchina da presa si addentrava deliberatamente all'interno di un bosco, sfidandone le difficilissime condizioni di luce.

Kurosawa aveva già tentato l'esperimento nel corso di Tora no ofumu otokotachii, la sua terza opera (1945) e la prima di ambientazione jidai. Ora lo riprende e lo estende: le riprese non sono più da un punto fisso, le cinecamere si muovono, ricreando nella mente dello spettatore l'impressione di camminare o correre nel fitto di una foresta.

Altra innovazione tecnica, che va al di là di ogni schema di ripresa precedente, è l'inquadratura del sole che filtra tra i rami.

 

 

Nessuno prima di allora aveva ripreso il sole, si diceva addirittura, come racconta Kurosawa nel suo libro Something like an autobiography, che i raggi del sole fossero in grado di danneggiare la pellicole, le apparecchiature e perfino gli spettatori.

Concentrato nel suo lavoro, aveva perso in comunicativa, finché un giorno Takashi Shimura gli comunicò le preoccupazioni dell'operatore, Kazuo Miyagawa, che temeva di non essere riuscito ad effettuare le riprese come richiestogli.

Kurosawa, che dentro di sé esclamava spesso "Meraviglioso! e aveva in qualche modo la sensazione di averlo detto a tutti, finalmente esclamò enfaticamente: "Al cento per cento! Al cento per cento! Al cento per cento e più!".

Al Festival di Venezia, dove l'opera fu presentata vincendo il Leone d'oro, queste scene destarono sensazione.

Per le riprese nel bosco si girò prima nella foresta di Nara e poi in un bosco di montagna nelle vicinanze del tempio Komyogi,

Il taglialegna (Takashi Shimura), in cammino per andare ad abbattere dei cipressi, sembra avvertire qualcosa di inquietante nell'atmosfera del bosco.

Il sottofondo musicale curato da Fumio Hayasaka, ritmato da un tamburo, già insiste sul tema del Bolero, composto dal compositore francese Maurice Ravel nel 1928: una ossessionante cantilena in continuo crescendo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad un tratto si imbatte in una serie di oggetti abbandonati per terra o impigliati tra i rami che destano la sua curiosità.

Tra gli altri un cappello da donna, e una corda tagliata, che ha l'aria di essere stata usata prima per legare qualcosa o qualcuno.

E' evidente che qualcosa di strano deve essere accaduto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E continuando nelle sue ricerche, seguendo il filo degli oggetti sparsi qua e là, si imbatte infine in una orrenda visione.

Il corpo senza vita di un samurai, seminascosto tra le foglie, immobilizzato in una posa atroce nel momento della morte.

Riesce appena a notare che ha una ferita sul corpo, che ne ha evidentemente causato il decesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il boscaiolo fugge a perdifiato.