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Akira Kurosawa: I bassifondi

1957

Toshiro Mifune, Isuzu Yamada, Ganjiro Nakamura, Kyoko Kagawa, Akemi Nigishi e altri

 

Se i film jidai di Kurosawa hanno quasi sempre riscosso successo unanime di critica e di pubblico, occorre però dire che le due rare eccezioni sono in qualche modo apparentate tra di loro; sia in Donzoko (I bassifondi) che in Akahige (Barbarossa) del 1965, l'autore tenta di trasportare in epoca remota il tema che di solito affronta nelle opere di ambientazione contemporanea.

Il degrado della condizione umana, causato dal degrado morale delle istituzioni e della società e materializzato nelle umilianti e degradanti condizioni di vita cui vengono costretti gli elementi più indifesi della società.

Sarebbe arduo tentare di analizzare in dettaglio le ragioni del grande rifiuto da parte degli spettatori e della scarsa attenzione da parte dei critici: alcuni hanno proposto come spiegazione l'eccessivo pessimismo di Kurosawa che rende duro affrontare certe sue opere. Ma non troviamo alcuna traccia di ottimismo nemmeno in opere che hanno lasciato il segno negli spettatori come Rashomon o Il trono di sangue.

Possiamo ipotizzare per grandi capi che le ambientazioni storiche prediligano la trattazione di grandi temi, anche quando ne siano protagonisti pochi personaggi (Rashomon appunto, ove si tratta della assoluta incapacità del genere umano tutto ad essere onesto con se stesso) o si dipanino attraverso episodi di non grande rilevanza (I sette samurai, dove pochi oscuri guerrieri reduci da mille sconfitte difendono a costo della loro vita un oscuro villaggio).

Le trattazioni delle miserie del vivere quotidiano di esseri umani deboli ed indifesi di fronte alle dure regole della "umanità" evidentemente richiedono nella grande massa del pubblico legami più concreti e più attuali con la realtà.

Ma anche qui dobbiamo ricordare quanto disse lo stesso Kurosawa, quando decise di fornire al mondo una chiave autentica di interpretazione del suo pensiero: Io credo che la via più semplice per parlare di me - da quando sono diventato regista - sia di seguire la mia filmografia scorrendo la miia vita film per film.

E' giusto quindi parlare di Donzoko ed inevitabile, necessario, che i tanti ammiratori di Kurosawa ne prendano visione.

Tratto dall'omonimo romanzo di Maxim Gorkij, ed ambientato in una non precisata epoca del feudalesimo giapponese,  I bassifondi tratta le insignificanti eppure tragiche vicende di un gruppo di derelitti, ridotti a vivere in una stamberga gestita da una coppia dedita all'usura.

Alcune recensioni parlando di un tugurio situato nelle vicinanze di una discarica. Le immagini di apertura non lasciano però alcun margine di dubbio: è proprio dentro la discarica, dove continuamente vengono gettate le immondizie di persone meglio inserite nella società, che è collocata l'azione.


Come ben sanno tutti coloro che hanno seguito il filone "sociale" delle opere di Kurosawa, spesso mancano protagonisti assoluti sulla scena ed in compenso sono numerosi i componenti del coro.

Talmente numerosi a volta che ogni tentativo di elencarli risulta vano, riuscirebbe solo a causare un gran mal di testa al lettore. Talmente variegati nelle loro piccole - grandi vicissitudini che talora è difficile renderne conto anche quando sono relativamente pochi.

E' questo il caso degli abitanti dei bassifondi evocati da Gorkij e poi portati sullo schermo da Kurosawa.

I padroni della stamberga sono due coniugi di cui è difficile dire qualcosa di buono. Sono attaccati solamente al denaro, in cambio del quale però sono fermamente decisi a dare il meno possibile, senza in alcun modo dare il minimo cenno di umanità e di comprensione per i loro miserabili affittanti.

Questi ultimi compongono un campionario di varia umanità in cui è veramente arduo trovare un personaggio completamente positivo, mentre anche in quelli maggiormente negativi, ad eccezione della coppia di sfruttatori, Kurosawa lascia intravedere se non i sintomi perlomeno il desiderio del riscatto, forse tanto più apprezzabile quanto più irrealistico.

L'approccio più ragionevole non è quello di attenersi alla trama, talmente si aggrovigliano le varie vicende personali, ma di fare un breve resoconto del campionario di piccola umanità che popola la stamberga e l'opera, e un riassunto anchesso succinto della trama.

Il resto ognuno dovrà trovarlo dall'esame diretto dell'opera, che rende alla perfezione sia l'universalità del messaggio di Gorkij, che permette senza difficoltà di trasporre la storia in altro ambiente ed altra cultura, e la specificità di ogni humus culturale e sociale, anzi alla resa dei conti di ogni singolo individuo che compone l'umanità.

Kurosawa disse:

Una buona struttura per una sceneggiatura è quella di una sinfonia, con i suoi tre o quattro movimenti e i suoi tempi contrastati. Oppure, si può usare il dramma noh, con le sue tre parti: jo (introduzione), ha (distruzione) e kyu (catastrofe). Se vi dedicate al noh e ne tirate fuori l'essenza, tutto questo emergerà con naturalezza nei vostri film. II noh è una forma d'arte autentica, unica al mondo. Secondo me il kabuki, che lo imita, è un fiore sterile. Ma in una sceneggiatura credo che la struttura sinfonica sia la più facile da capire, per la gente d'oggi.

Rimane un margine di dubbio: in questo film, che rinuncia agli accorgimenti tecnici e alle innovazioni sparsi a piene mani in quelli precedenti per ricorrere ad una sola tecnica, quella del piano sequenza ossia della macchina da presa fissa che si limita a riprendere quanto accade in un unico ambiente, come avviene in una rappresentazione teatrale, a quale struttura ha inteso fare ricorso Kurosawa?

Ci sembra di poter dire che sia più quella del teatro noh che quella dell'opera sinfonica.

 

 

 

 

 

 

 

 

Non possiamo andare oltre senza fare menzione dell'uso intenso che Kurosawa volle fare di ogni singolo attore, rinunciando ad avere un protagonista assoluto.

Ognuno dei dodici attori impegnati nell'opera - oltre a una manciata di comprimari e non contando Mifune - è chiamato a dare il meglio di sé, rimanendo sia pure per uno spazio di tempo limitato, protagonista unico ed assoluto.


Chi cercasse un filo conduttore, un filone principale cui si collegano le storie e le vicende dei comprimari, si troverebbe a disagio. Sembra non esserci logica nel susseguirsi degli avvenimenti, e se c'è non essere di quelle che gli esseri umani riescono a comprendere, o tanto meno a determinare, o perlomeno influenzare.

Una trama c'è e ne riparleremo, ma Kurosawa, che spesso predilige le opere corali, la rende più ardua da cogliere affidando l'esecuzione delle parti corali ad altrettanti solisti di spicco, che catturano l'attenzione facendo perdere di vista l'assieme. Sono tutti interpreti che Kurosawa conosce bene, che ha utilizzato spesso.

Fa eccezione Bokuzen Hidari, attore noto fino ad allora per i suoi ruoli comici, ma questo non deve meravigliare: Pierpaolo Pasolini fece di Toto' l'interprete di Uccellacci ed uccellini (e fu l'ultima apparizione sullo schermo del grande artista) e Federico Fellini volle Enrico Benigni e Paolo Villaggio come protagonisti del suo La voce della luna (e fu l'ultima opera diretta da Fellini).

Hidari incarna il viandante Kahei, che sembra rappresentare nella vicenda l'unica nota positiva immune da zone d'ombra.

 

 

 

 

 

 

 

Toshiro Mifune, nella parte del ladro Sutekichi, replica ancora una volta il ruolo della persona disadattata, scostante e aggressiva ma non priva di sensibilità e di nobiltà d'animo.

In altre opere il suo personaggio riuscirà a mettere al servizio di buone cause anche la sua aggressività.

In Donzoko l'mpossibile sogno d'amore con Okayo, l'unica componente della famiglia degli affittuari della stamberga che mostri cenni di umanità, rimarrà frustrato e terminerà tragicamente.

 

 

 

 

 

 

 

Okayo è impersonata da Kyoko Kagawa, che condivise fino al termine l' avventura di Kurosawa: è l'interpete femminile di Madadayo, ultima opera del maestro.

E' attratta e allo stesso tempo intimorita dalla personalità irruenta di Sutekichi.

Eppure, nonostante i suoi timori, è l'unica che lo tratti con franchezza e che riesca a tenerlo a bada.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tonosama, che tutti chiamano Principe, si dice sia stato un samurai di alto lignaggio.

Adesso subisce passivamente le ingiurie delle vita e degli uomini, si limita al massimo a far presente che non c'è nessun merito a trattarlo male ora che si trova allo stesso infimo livello degli altri.

Per dimostrare di essere qualcuno avrebbero dovuto affrontarlo quando aveva due spade al suo fianco.

Lo interpreta Minoru Chiaki, che il pubblico internazionale ha imparato ad apprezzare fin da quando impersonò il monaco errante di Rashomon e pochi anni dopo Heihachi (I sette samurai), guerriero gentile ed allegro eppure non privo di profondità: fu proprio lui a senitre il bisogno di una bandiera che unisse samurai e contadini ed a disegnarla, ed il destino volle che fosse lui il primo a cadere sotto quella bandiera.

 

 

Rokubei (Ganjiro Nakamura) è il proprietario del tugurio.

Si rifugia dietro formule stereotipate che non riescono a celare, dietro una cortesia formale e di comodo, un animo gretto.

Quello di un uomo che ha deciso di sfruttare senza alcuna pietà i suoi simili.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Osugi (Isuzu Yamada) non gli è da meno.

Ogni occasione è buona per pretendere altro denaro dagli occupanti della stamberga, senza fornire loro nulla oltre il minimo indispensabile per sopravvivere.

Solamente il timore di una reazione violenza di Sutekichi impedisce loro di trattare allo stesso modo Okayo, la sorella di Osugi, che sembra un corpo estraneo inserito per errore in ambiente familiare non suo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Osen (Akemi Nigishi) è come già accennato una giovane prostituta, che non intende lasciarsi abbattere dal degrado materiale e morale in cui è costretta a vivere, e continua a sognare ad occhi aperti un improbabile riscatto.

E' proprio questo a scatenare contro di lei la pesante ironia, l'ostilità e l'aggressività dei suoi compagni di sventura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Asa (Eiko Miyoshi) ha un male incurabile, non le rimane molto da vivere. Viene considerata solo come un  fastidio, i suoi incessanti colpi di tosse, i lamenti che non riesce a trattenere, infastidiscono i coinquilini.

Suo marito, il tintore Tomekichi (Eijiro Tono), sta già pensando al dopo, a rifarsi una vita quando si sarà liberato di quel peso.

La dolciaia ambulante Otaki (Nijiko Kiyokawa) invano tenta di rincuorarla dedicandole modeste ma apparentemente sincere attenzioni.

 

 

 

 

 

 

 

Kamatari Fujiwara interpreta un attore alcolizzato, che è caduto in rovina quando la memoria lo ha tradito e ha cominciato a non tenere più a memoria la parte.

Ovviamente non ricorda nemmeno il proprio nome, e non lo conoscerà nemmeno lo spettatore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il giocatore Yoshisaburo deve avere conosciuto tempi migliori, e spera di poterli rivedere un giorno.

Confesserà poi a Kahei, che ha il potere di tirare fuori da ognuno la verità, di essere stato in prigone per omicidio

Nel frattempo che attende una riabilitazione sociale, ha organizzato una bisca clandestina nella baracca, anche se il denaro delle puntate si riduce a pochi spiccioli.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il folle Tatsu (Haruo Tanaka) è forse chi ha meno problemi di tutti.

Gli basta un niente per rifugiarsi nel suo mondo immaginario.

 


Tra Sutekichi e la proprietaria dello baracca, Osugi, è in atto da tempo una tresca, di cui il marito è all'oscuro.

Sutekichi è stanco della donna, attraente ma arida e cinica, e da tempo tenta invano di sostituirla con la sorella Okayo.

Osugi le fa un'ultima proposta: fuggire assieme, dopo avere ucciso Rokubei per liberarsi di lui e sottrargli ogni avere.

Rokubei li sorprende nel mezzo della discussione, reagendo furiosamente, e Sutekichi anche lui in preda all'ira, gli mette le mani addosso e forse non si tratterrebbe dallo strangolarlo.

Il solito provvidenziale Kahei ridestandosi "casualmente" dal sonno con un sonoro sbadiglio fa capire a Sutekichi che non è il caso di insistere di fronte a tanti testimoni: l' unico ambiente della baracca non consente intimità, né per scambiarsi amore né per scambiarsi odio.

 

E non è nemmeno facile rompere il circolo vizioso che i benpensanti hanno steso sugli abitanti dello squallido rifugio.

Il poliziotto di quartiere Shimazo, che non è altri che lo zio di Osugi,  frequenta assiduamente la baracca.

In realtà si interessa soprattutto a godersi le discutibili grazie della dolciaia Otaki o passa le nottti a giocare d'azzardo, assieme al grasso borghese Tsugaru, nella bisca di Yoshisaburo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il saggio Kahei, che ha già accompagnato ad una dolce morte la sventurata Asa, convincendola che sarebbe stata la fine definitiva delle sue sofferenze, ha la soluzione giusta anche per Sutekichi.

Abbandoni al più presto quello squallore: dimentichi Osugi e vada a rifarsi una vita altrove.

Purtroppo Sutekichi, così forte ed aggressivo fisicamente, non ha altrettanta fermezza nel carattere.

Non sa decidersi, e la sua indecisione conduce alla tragedia.

 

 

 

 

 

 

 

Scoppia una lite tra Okayo ed Osugi, che le tira addosso dell'acqua bollente.

Attirati dalle grida gli occupanti della baracca irrompono nella casa dei proprietari, approfittandone per fare man bassa di tutto quello che trovano e - nella confusione - per malmenare i due avvoltoi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Corrono a chiamare Sutekichi, che arriva di furia.

Con uno spintone allontana Rokubei per andare a soccorrere Okayo.

Rokubei cade in malo modo: sbatte la testa e muore sul colpo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Apparentemente sconvolta, Osugi è in realtà trionfante: si libera in un colpo solo dell'incomodo marito e dell'ormai scomodo amante.

Questi non accetta di essere accusato di omicidio assistendo impotemte al trionfo di Osugi.

Confessa di avere agito volontariamente, per quanto sia stato un incidente, ma chiama come correa la donna, che lo ha incitato ripetutamente ad ucidere il marito.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Okayo, lei veramente sconvolta, pensa di essere stata sempre tradita ed ingannata da Sutekichi.

Lo respinge e lo rinnega.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' passato del tempo: Kahei abbandona il tugurio, dove ha invano tentato di portare un raggio di luce, una ventata di ottimismo.

Ha ancora il tempo di raccogliere le ultime confidenze di Osen, che afferma o forse sogna di essere amata da un uomo per cui anche una prostituta può essere pura, e di Yoshisaburo che per una donna ha ucciso.

Le carte si sono rimescolate per loro come per tutti gli altri, ma senza che in realtà sia cambiato nulla.

 

 

 

 

 

 

 

 

Sutekichi è stato condannato all' esilio, Osugi è in carcere, di Okayo non si hanno notizie.

Tsugaru, licenziato dalla polizia, è diventato anche lui un inquilino della baracca ed ha sposato Otaki.

Si è unito al gruppo anche il grasso Tsugaru, che assilla tutti con le sue fissazioni religiose.

Sembra che i bassifondi attirino a se irresistibilmente anche le persone relativamente benestanti che pensavano di sfruttarne le miserie.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Non che questo preoccupi più d tanto chi è rimasto.

Per annegare la noia e la malinconia, improvvisano un grottesco balletto, accompagnandosi con strumenti improvvisati.

Li interrompe Tonosama, che rientra fradicio di pioggia dall'esterno: l'attore alcolizzato si è impiccato ad un albero!

Rimangono tutti pietrificati, passando da scoordinate pose grottesche ad una tragica posa di gruppo.

 

 

 

 

 

 

 

 

E' Yoshisaburo a trarre la cinica morale della favola:

"Che peccato... Ha interrotto un ballo così belo."

Così termina questa sinfonia macabra, scritta da Maxsim Gorkij, adattata e diretta dal maestro Akira Kurosawa.