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Con una anticipazione dello stile che adotterà poi nelle grandi opere degli anni 80, Kagemusha e Ran, Kurosawa rende l'idea delle sanguinose battaglie del Giappone feudale come un alternarsi di onde tempestose che scuotono lo schermo, mosse da venti violenti quanto impossibili da prevedere.

Washizu tenta di liquidare ogni possibile avversario prima che abbiano la possibilità di reagire.

Si scaglia con i suoi uomini contro le truppe di Kunimaru, figlio del signore assassinato, accusandolo allo stesso tempo di essere lui l'autore del delitto.

 

 

 

 

 

 

Guidato dal fedele generale Noriyasu (l'immancabile Takashi Shimura) il principe Kunimaru riesce a scampare al disastro del suo esercito e cerca riparo presso il castello presidiato da Miki.

Ma non gli viene aperto.

Anzi, quando i due continuano a gridare di aprire il portone inizia contro di loro un fitto lancio di frecce, costringendoli ad allontarsi.

Washizu, sopraggiunto con un drappello di cavalieri, potrebbe ragiungere i suoi nemici e finalmente finirli.

Eppure, inspiegabilmente, dopo averli rincorsi a briglia sciolta fino lì, ordina di lasciarli andare.

 

 

 

 

 

Non è ben chiaro da che parte intenda stare Miki; non ha aperto il castello al principe Kunimaru, ma non è detto che voglia aprirlo a Washizu.

Un messaggero raggiunge il condottiero, da parte di Akaji: Miki dovrà aprire le porte al suo signore.

Ecco la soluzione: Washizu riporterà al castello il corpo esanime cui lui stesso ha tolto la vita.

Un lungo coreto di soldati in assetto di guerra scorta la bara, su cui spicca l'elmo di sua signoria.

 

 

 

 

 

 

 

Miki apre lo porte, e lascia entrare Washizu.

Si incontrano, entrambi a cavallo e coperti dalle loro pesanti armature.

Corre tra di loro una muta intesa.

Parlerà solamente Miki ma dopo, mentre i due a cavallo, alla testa del corteo funebre, attraversano il cortile del castello per recarsi al consiglio di guerra.

Miki accetta il responso della maga: inoltre con la morte del signore il feudo verrà immediatamente attaccato e Washizu è l'unico in grado di difenderlo e prenderne il comando.

Miki lo sosterrà.

 

 

 

 

 

 

Akaji però non vuole accettare l'alleanza tra Washizu e Miki. Non crede alla bontà degli esseri umani, non accetta l'idea che le azioni di Miki possano essere disinteressate e senza secondi fini.

La coppia non ha figli: è il loro unico cruccio ora che hanno in mano il potere.

Per questo Washizu ha in mente di adottare il figlio di Miki, Yoshiteru, e farne il suo erede e successore. Legherà indissolubilmente l'alleato ai suoi destini, e adempierà anche alla seconda parte della profezia della maga.

Akaji non lo vuole accettare: non si è macchiata di sangue per donare regni ai figli degli altri.

E possiede un'arma che renderà vano ogni tentativo del marito di resistere alla sua inflessibile volontà: ella attende un figlio.

 

 

A questo punto Miki e il giovane si trasformano in ostacoli. Ostacoli da rimuovere ad ogni costo.

Nemmeno tra Miki e Yoshiteru (Akira Kubo) regna però l'accordo.

Yoshiteru non crede allaprofezia della maga, e non si fida di Washizu.

Vorrebbe rifiutare l'invito al banchetto per quella sera, allarmato da un sinistro presagio: il cavallo di Miki si è imbizzarrito, e nessuno riesce a calmarlo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il presagio non è senza ragione.

Nella sala del banchetto il posto riservato a Miki rimane vuoto: lui non arriva.

Il nervosismo di Washizu sembra aumentare progressivamente man mano che si allungano i tempi dell'attesa.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nel frattempo il cavallo di Miki fa ritorno alla stalla, al galoppo sfrenato ed ancora più imbizzarrito di come era apparso poche ore prima.

Da solo.

Nessuna traccia del suo cavaliere.

Nesuna traccia del figlio.

Nessuna traccia della loro scorta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' Washizu che lo rivedrà, ma solo lui.

Nella sala del banchetto, al posto che gli era riservato, appare improvvisamente Miki.

Vestito di bianco (il colore tradizionale del lutto), con i capelli sciolti, pallido come un fantasma.

Ed è in realtà solamente il fantasma di Miki, e solamente Washizu lo vede.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il fantasma scompare, riappare, sempre seguendo in realtà i fili del pensiero di Washizu.

E' lui stesso che lo evoca, è lui che non riesce a liberarsi dai suoi incubi.

Akaji ha tentato di tranquillizzare gli ospiti sostenendo che il marito ha solo bevuto un po' più del normale, ma quando questi estrae la spada tentando vanamente di uccidere gli spettri generati dalla sua mente, è costretta a congedarli scusandosi per l'infelice conclusione della serata.

 

 

 

 

 

 

 

 

Quando sono rimasti soli, un guerriero in armatura penetra silenziosamente nella stanza.

I due ne rimangono intimoriti, ma in realtà è stato lo stesso Washizu a dare ordine al soldato di presentarsi a rapporto da llui non appena terminata la sua missione.

Porta con se la testa mozzata di Miki.

Washizu non la vuole vedere: sarebbe un ennesimo ritorno della sua nemesi personale.

Chiede piuttosto che ne è di Yoshiteru. Il soldato confessa di non essere riuscito ad ucciderlo, pur avendolo gravemente ferito, e che gli è sfuggito di mano.

 

 

 

 

 

In preda all'ira Washizu estra la spada e lo abbatte.

Il soldato, che aveva implorato pietà, ha un motodi ribellione e negli spasimi dell'agonia cerca di aggredirlo.

Washizu, terrorizzato, non tenta nemmeno di reagire ma arrretra in preda al panico fino a che la parete lo arresta.

Ha conquistato il potere, ma ha perso se stesso.