Indice articoli

L'ingombrante figura del vecchio fa ombra all'erede Taro, e soprattutto alla ambiziosa ed intrigante Kaede. Con sua grande sorpresa Hidetora si vede richiedere di firmare la rinuncia ad ogni residuo potere e l'assoluta sottomissione al potere del figlio, sigillando il documento col suo sangue per renderlo sacro ed inviolabile.

Stupito, addolorato, indignato, Hidetora tuttavia firma. Ma decide poi di abbandonare il castello di Taro, seguito dai fedelissimi, per cercare rifugio presso l'altro figlio Jiro.

Il settantacinquenne Kurosawa - nemo propheta in patria - era stato costretto da diversi anni a ricorrere all'aiuto dei produttori stranieri per rompere l'accerchiamento e l'ostilità che lo circondava in patria. Dapprima vennero in suo soccorso i russi per Dersu Uzala, opera con cui interruppe un lungo e forzato silenzio, poi i suoi ammiratori americani George Lucas e Francis Coppola per Kagemusha, che stava naufragando per la rinuncia a produrlo da parte della Toho, la casa cinematografica con cui Kurosawa lavorava inintettottamente da quasi 40 anni. Infine il francese Serge Silberman per Ran.

Non può essere un caso che Kurosawa abbia scelto con Ran di rappresentare sullo schermo le vicende di un vecchio leone esausto, rifiutato dai figli che ha allevato, espulso dall'ambiente che ha costruito con le sue mani. In Hidetora chiaramente vediamo Akira Kurosawa riflesso nello specchio della sua delusione. Era indubbiamente stanco, prostrato: la preparazione di Ran gli prese circa 10 anni di lavoro assieme al fedele sceneggiatore Hideo Oguni, che lo aveva già seguito in tante avventure (Ikiru, I sette samurai, Il trono di sangue, Sanjuro, Akahige...), Quando iniziarono le riprese la vista di Kurosawa era deteriorata al punto da avere bisogno di un assistente che sulla scorta dei suoi disegni disponesse gli attori sul set. Eppure volle personalmente disegnare le circa 1000 armature utilizzate nell'opera, e quando perse improvvisamente la giovane moglie, interruppe le riprese per un solo giorno; già quello seguente convocò la troupe e riprese il lavoro, spinto da una disperata ed incrollabile volontà di compiere l'opera ad ogni costo.

L'odissea di Hidetora viene rappresentata ritornando agli stilemi già nel 1957 utilizzati da Kurosawa nel Trono di sangue: castelli di montagna avvolti dalle nebbie e collocati come corpi estranei in una natura nuda, scabra e ostile. Lente ieratiche processioni di uomini armati che entrano al seguito del signore, turbinose cavalcate di guerrieri che escono per la battaglia, sventolare di bandiere con i colori dei rispettivi clan, ma soprattutto gruppi di uomini d'arme in attesa fuori della porta, che si spalanca solo per mostrare gruppi di uomini in arme in attesa all'interno, che negano l'ingresso. Hidetora viene respinto da Jiro, e anche qui come nel Trono di sangue il sinistro cigolio delle porte del castello che vengono sbarrate ha un che di sovrannaturale.

Hidetora vaga nella landa desolata col suo sparuto seguito, privo di ogni risorsa: è stato messo al bando, e chi oserà aiutarlo verrà punito con la morte. Lo raggiunge Tango Hirayama (Masayuki Yuji), il fedele vassallo che aveva osato sfidare la sua collera e la sua spada per prendere le difese di Saburo, rivendicando il suo diritto dovere di esprimere apertamente la propria opinione per rendere un migliore servizio al  signore. E' proprio Saburo che gli ha ordinato di non seguirlo nell'esilio ma di vigilare da lontano sul vecchio padre. Tango suggerisce di raggiungere Saburo, ospite del signore Fujimaki, ma il vecchio non osa presentarsi umiliato e sconfitto di fronte al figlio, da lui ciecamente cacciato proprio nel momento in cui cercava di prestargli aiuto e proteggerlo.

Assecondando apparentemente il suo sentimento il consigliere Ikoma (Kazuo Kato) suggerisce ad Hidetora di rifugiarsi piuttosto nel castello di Saburo, abbandonato dai suoi uomini che hanno deciso di raggiungerlo nell'esilio per non all'arroganza di Taro. Il comandante Ogura (Norio Matsui) non dispone che di poche truppe e non potrà opporsi.

Il buffone di corte, Kyoami, nella sua lucida follia deride l'insania del vecchio, che lo colpisce con lo scudiscio e lo abbandona sul posto assieme allo sconsolato Tango. Eppure sarà proprio lui, il folle, ad essere fedele ad Hidetora fino alla fine. Non esisteva in Giappone una figura assimilabile a quella del buffone di corte occidentale, ma Kurosawa volle mantenere questo personaggio, essenziale nel Re Lear di Shakespeare cui attingeva la sua ispirazione, e in cui il buffone ha un complesso rapporto sia con Lear che, omesso da Kurosawa, con Cordelia. Kyoami è impersonato da Shinnosuke Hikehata, conosciuto col nome d'arte di Peter per il suo modo naturale eppure stralunato di ballare e cantare, ricordando la figura del Peter Pan delle favole occidentali. Non è la prima però volta che Kurosawa introduce una figura animalescamente sensibile ai moti dell'animo umano e libera di dire la verità, refrattaria ad ogni convenzione: fece infatti uso del celebre mimo Kenichi Enomoto in Tora no o fumu otokotachi, quaranta anni prima, nel 1945.

Si ripete il sinistro cerimoniale dell'ingresso nel castello ostile: Hidetora, seguito dallo stendardo degli Ichimonji col sole e la luna, che non ha voluto lasciare al figlio Taro, dalle sue concubine e dal manipolo di fedelissimi guerrieri, varca le porte del nebbioso castello che fu di Saburo.

 

 

 

 

 

 

 

Si chiudono le porte. Cala la notte.