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Ma la resa dei conti finale si avvicina: il fiume che segna il confine viene attraversato da una schiera di guerrieri al galoppo, che portano sulle schiene degli stendardi azzurri.

Saburo Ichimonji cavalca alla loro testa, col jimbaori celeste che indossa sopra l'armatura che spicca nella massa di cavalieri al galoppo. Saburo torna, per riprendere Hidetora.

 

 

 

 

 

 

Come già in altre opere Kurosawa ricostruisce i concitati momenti dell'annuncio e dei preparativi della guerra attraverso un susseguirsi incessante di messaggeri che annunciano questa o quella mossa del nemico.

Le intenzioni di Saburo non sono chiare, le sue esigue forze non possono permettergli di sfidare in campo aperto il fratello. I consiglieri suggeriscono a Jiro di armare le sue truppe ma attendere gli eventi.

 

 

 

 

 

Ben presto le forze dei due fratelli sono schierate nella pianura di Hachiman e si fronteggiano, in una attesa carica di tensione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' subito evidente che Saburo non è solo: sulle colline che sovrastano l'armata rossa e quella azzurra si è schierato con tutte le sue forze il bianco esercito di Fujimaki, suocero di Saburo.

Intende tenersi pronto ad ogni evenienza per spalleggiare il genero, per intervenire solo se costretto dagli eventi.

Ma la sua presenza certamente non rassicura.

 

 

 

 

 

 

Dal lato opposto fanno la loro apparizione le nere armature e i neri stendardi delle truppe di Ayabe, fiero nemico degli Ichimonji, che intende assistere impassibile alla lotta fratricida, per poi gettarsi sicuramente addosso al superstite per finirlo. Il minimo gesto inconsulto può far precipitare la situazione.

Kurosawa ci rappresenta una drammatica partita a scacchi, ma giocata con schiere di armati su un vero campo di battaglia