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Varcando il fiume che lo porterà verso quel popolo da lui ancora sconosciuto che ha vinto e scacciato gli Emishi, Ashitaka attraversa stupendi paesaggi che lo riconciliano con la natura.

Miyazaki richiama spesso nelle sue ambientazioni, a volte esplicitamente, a volte in modo più sottile, le opere dei sommi maestri dell'arte della stampa giapponese.

 

 

 

 

 

Man mano che si avvicina alla civiltà e l'opera della natura viene accompagnata da quella dell'uomo, i segnali che Ashitaka incontra lungo il cammino si fanno via via più inquietanti.

Nella vallata è in corso un combattimento: il baluginare dell'acciaio si accompagna al fumo degli incendi ed alle grida di donne, vecchi e bambini: la guerra si accanisce soprattutto sugli inermi.

 

 

 

 

 

Ashitaka porta una spada al fianco ed il suo lungo arco sulle spalle: prima ancora che giunga a distanza di voce viene identificato come un guerriero, e vista la foggia insolita dei suoi abiti, per non parlare della sua cavalcatura, come un nemico.

Dei soldati si mettono sulla sua strada per fermarlo, ma le sue frecce seminano il terrore e nessuno riesce ad arrestare Yakkuru lanciato al galoppo.

Tuttavia un gruppo di cavalieri ricoperti di pesanti armature, anche loro armati di arco, tenta di tagliargli la strada.

 

 

 

Ashitaka non è venuto là per combattere, ma viene travolto dall'ira e continua a scagliare frecce.

Gli effetti sono devastanti: i suoi bersagli vengono colti infallibilmente, e le frecce sembrano essersi tramutate in falci, dove toccano tranciano di netto arti e teste.

Ben presto nessuno osa pù mettersi sulla sua strada, i guerrieri sconosciuti pensano di trovarsi di fronte ad un demone invincibile.

 

 

 

 

 

Che Ashitaka sia stato in quei momenti posseduto da un demone è vero. Divorato dall'odio verso quei soldati brutali ed arroganti le sue forze si erano magicamente moltiplicate.

Ma appena ha tempo e modo di arrestare la sua folle corsa si rende conto che allo stesso tempo la piaga del suo braccio si è estesa ed aggravata.

Continuerà a peggiorare ogni volta che si lascerà dominare dall'odio, pur rendendolo invincibile.

L'unico mezzo che Ashitaka ha a disposizione per vincere la maledizione è di liberarsi per prima cosa dall'odio, che altrimenti lo possiederà dapprima lentamente e poi a ritmo sempre crescente, piagando la sua carne ed il suo spirito fino a divorarli entrambi.

Ashitaka è costretto ad entrare in un villaggio per rifornirsi di viveri, mantenendosi coperto per non essere riconosciuto e dovere affrontare altre lotte.

E' completamente ignaro delle usanze del posto, e non sa come pagare il riso che sta acquistando. In quella località gli scambi si basano sull'argento ma lui con se ha solo dell'oro, talmente raro che non viene riconosciuto.

Interviene uno strano monaco errante, Jigo, che lo ha immediatamente identificato come lo sconosciuto guerriero scorgendo da lontano le corna di Yakkuru in mezzo alla folla.

Riconosce immediatamente l'oro e garantisce che vale molto di più del sacco di riso che la donna non vuole cedere. Ashitaka si allontana immediatamente, quando si rende conto del trambusto che ha causato rivelando di avere con se dell'oro. Jigo lo segue.

La notte, in un riparo di fortuna, Ashitaka si confida. Ha seguito a ritroso le tracce del demone cinghiale che ha causato la sua maledizione, fino al villaggio dove si è scontrato con i samurai, ma ora le ha perdute e non sa più dove andare.

Higo non si meraviglia dell'amaro destino di Ashitaka: il mondo gronda malvagità. La stessa grotta dove si riparano è al margine di un villaggio abbandonato, distrutto dagli uomini o dalla natura. Non sa dire cosa sia la pallottola metallica che ha scatenato la follia del dio cinghiale, mostratagli da Ashitaka.

Ma ha un consiglio da dargli: ai confini delle regioni abitate, nell'estremo occidente, esiste una foresta sacra dominata dal dio cervo che si dice popolata da animali giganteschi, come nei tempi antichi.

Forse là Ashitaka potrà trovare qualcosa che lo aiuti a liberarsi dalla maledizione: il dio cinghiale probabilmente proveniva da quella foresta.

Intraprende senzaltro il cammino attraverso altre regioni, apparentemente prive di presenza umana ma di intensa e suggestiva bellezza.

 

 

 

 

 

 

 

Miyazaki certamente si è ispirato nella sua opera non solo alla visione diretta dell'armonia della natura.

Ha attinto come già detto anche ai capolavori dei grandi maestri dei secoli passati.

Nella immagine accanto vediamo una delle opere maggiormente conosciute dell'immenso Katsushika Hokusai: Vicino al castello di Umezawa nella provincia di Sagami, dalle Trentasei vedute del monte Fuji.