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La fabbricazione della spada, che riesce solo dopo numerosi vani tentativi, occupa la parte principale del film ed è per certi versi quella più interessante, per quanto sia stata rimproverata a Mizoguchi l'eccessiva insistenza su questo tema, che secondo alcuni critici fa pensare ad un documentario sulla fabbricazione della spada giapponese.

Ma la ricerca della perfezione nell'opera materiale è chiaramente la ricerca della perfezione e della purezza dentro se stessi, e i frustranti insuccessi dei due maestri spadai sono il necessario preludio al successo finale, ottenibile affrontando i propri problemi e le proprie contraddizioni interne e non ignorandoli.

L'ultima spada, ricavata dall'ultimo lotto di acciaio che era rimasto, supera la prova del kabuto jiri (taglio di un elmo di acciaio) e viene consegnata nelle mani di Sasae.

Non sarà facile raggiungere Daito: si trova a Kyoto, ove comanda un reparto dello shogun che si trova sotto assedio. Ma il comandante delle truppe imperiali acconsente a richiedere ad una tregua e fa accompagnare Sasae e i due spadai oltre le linee nemiche.

Sasae avrà finalmente la sua vendetta, ed al termine di un combattimento privato che si svolge nel bel mezzo della sanguinosa guerra civile, tra il fischio delle pallottole e l'esplosione delle granate, la spada Bijomaru toglie la vita a Daito. Sasae sarà forse attesa da un futuro più roseo, al fianco di Sakurai: quella battaglia ha segnato la nascita di un nuovo Giappone, in cui ci sarà posto anche per la loro storia.