Molti ormai sanno che nell'anno 2016, che in questo momento si sta avviando verso la conclusione, vengono celebrati i 150 anni del primo Trattato di amicizia tra Italia e Giappone - risalente al 1866 - e che anche questo sito collabora, come leggerete altrove, alle celebrazioni. Segnaliamo qui un'altra interessante iniziativa che pur non essendo inserita in questo programma ne farebbe degnamente parte e sarebbe anzi stato necessario includere, perlomeno a nostro parere. E' stata infatti allestita in Roma presso il Museo Etnografico Pigorini una mostra aperta fino alla fine di ottobre che ripercorre il viaggio della corvetta Magenta che trasportò i diplomatici incaricati delle trattative,  attraverso il materiale e gli appunti che Enrico Hillyer Giglioli riportò con sé e che sono ora conservati nel museo.

 

 

 

 

 

 

 

 

Enrico Giglioli faceva parte del personale scientifico di supporto alla spedizione del Magenta, coadiuvando nel suo lavoro il professor Filippo De Filippi direttore del Museo di Zoologia di Torino, che scomparve però a Macao nel 1867. Il giovanissimo Giglioli, era nato nel 1845, si trovò quindi di fatto ad essere l'addetto culturale e scientifico della missione.

L'esperienza fu determinante: nel resto della sua vita. Giglioli si spense a Firenze nel 1909, e oltre a continuare una incessante opera di catalogazione di reperti provenienti da ogni parte del mondo, scrisse dei testi fondamentali nel campo antropologico, cui forse non pensava di approdare avendo avuto una formazione di zoologo.

 

 

La curatrice della mostra, la dottoressa Paderni - che ringraziamo per le cortese delucidazioni - ha intuito come fosse importante lasciare che fosse lo stesso Giglioli, con i suoi scritti, le sue impressioni, con gli oggetti che ha selezionato e riportato tra di noi, a "parlare" al pubblico.

E' una impostazione che va condivisa senza riserve.

 

 

 

 

 

 

 

 

Una sezione viene inoltre dedicata all'esposizione di numerose fotografie della Yokohama Shashin, attiva nella seconda metà del XIX secolo, e aiuta anchessa il visitatore ad entrare nell'atmosfera di quel mondo scomparso.

Anche qua ritroviamo la mano di Giglioli: tra il materiale da lui repertato, e che continuò a raccogliere anche negli anni seguenti al suo rientro in patria, troviamo numerose foto acquistate da lui personalmente, tra cui molte scattate e stampate dal pioniere della fotografia giapponese Shimooka Renjo, altre invece dovute all'opera di Felice Beato

Vediamo alla sinistra del pannello le schede compilate da Giglioli, che riportano i dettagli sugli autori e sui tempi e luoghi di acquisizione.

 

Yokohama non a caso: è lì che approdò la Magenta, dopo un lungo viaggio di circumnavigazione e un primo approdo nella baia di Yedo (Edo, l'attuale Tokyo) e lì si svolse parte della sua seconda missione: oltre quella ufficiale, la stipula di un trattato di amicizia e collaborazione con il Giappone che si era appena aperto all'occidente, ne esisteva infatti un'altra riservata.

Conoscere quanto più possibile dei segreti dell'allevamento del baco da seta, per dare supporto alle nascenti industrie tessili italiane e renderle meno dipendenti dalle importazioni.

 

 

 

 

 

Il Giappone vantava una lunga tradizione guerriera, del resto una percentuale notevole dei reperti custoditi nei musei etnografici - e non solo - è costituito da armi. Nessuna meraviglia se Giglioli acquistò una katana e un wakizasci, che descrive con una certa accuratezza e precisione anche se la translitterazione dei termini giapponesi come abbiamo già visto a proposito di Yedo è lontana da quella divenuta poi corrente.

Sono però presenti tra i reperti anche un secondo wakizashi e un aikuchi. Il più grande dei due wakizashi è decorato col simbolo dello awui (aoi), che aveva colpito Giglioli al primo contatto con gli ufficiali dello shogun, sui cui vestiti era riportato quello stemma. Non sapeva ancora Giglioli che nel breve giro di poco più di un anno la storia plurisecolare dello shogunato sarebbe terminata per sempre.

 

Scrisse Giglioli nel suo memoriale:

«Durante il viaggio della Magenta e dopo, nessun paese di quelli da noi diversi, ebbe più larga parte delle mie simpatie del Giappone, nessun popolo più del giapponese. Ebbi la fortuna di essere tra quelli che iniziarono i rapporti amichevoli tra l'Italia e l'impero del Sol Levante ... lascio il Giappone a malincuore, sovente esso avrà il mio pensiero, sempre i miei voti più cordiali per il suo bene e per la sua felicità.»

 

 

 

 

 

 

 

Della scuola di fotografia (shashin) di Yokohama, conosciuta semplicemente come  Yokohama shashin, va detto che non sempre fu lo specchio fedele della realtà.

Per un assieme di circostanze, che vanno dalle difficoltà tecniche dovute ai lunghi tempi di posa alla immaginabile ritrosia di molte persone a perdere il proprio tempo per mettersi a disposizione di uno strano ordigno manovrato da uno straniero, molte immagini furono composte artificialmente nello studio di posa, ricorrendo ad attori o a uomini e donne che si prestavano a essere ripresi in questo o quell'atteggiamento, in questo o quel costume tradizionale.

Piccole incongruenze nell'abbigliamento e nel modo di indossarlo, nonchè negli atteggiamenti e nel portamento, aiutano l'osservatore attento a comprendere quando si tratti di scene di vita reale o meno.

Una curiosità: dal suo viaggio Giglioli riportò anche un mostro da baraccone, che gli venne regalato al termine della esibizione. E' custodito in una teca all'interno del quale il visitatore può solo sbirciare attraverso una feritoia, così come veniva presentato all'epoca al pubblico pagante. Lasciamo al lettore la possibilità di recarsi a prenderne visione dal vivo, senza riprodurlo in foto.

Si tratta in realtà di un fantoccio assemblato mettendo assieme parti di vari animali, e che presenta la singolare caratteristica di essere dotato di entrambi i sessi.

Strani costumi di una cultura lontana? Ma in realtà i fenomeni da baraccone sono merce ordinaria anche da noi.

E forse ovunque.