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Omote sandō

di Gianna Alice

 

Se leggendo il titolo il vostro subcosciente si è messo in stato di allerta alla parola omote, e se vi siete chiesti di che tecnica di aikido si tratta, ebbene… fregatura! Niente di tutto ciò! Con l’aikido non c’entra per nulla se non per il fatto che il keikogi è sempre stato nello zainetto sulle mie spalle ed ha visto tutto anche lui !

E’ accaduto tutto un'’estate quando, dopo una decina d’anni che non ci tornavo, ho deciso di andare a rivedere il quartiere di Omote sandō a Tokyo. E non è stato del tutto casuale: l’anno prima in Italia mi avevano fatto vedere una splendida pubblicazione (Bambole kokeshi, per chiarire di cosa parlo) della Benetton, che illustrava alcuni suoi prodotti con personaggi di Omote sandō. Poi Fidia, un mio cugino giornalista, mi ha proposto di indagare sull’argomento e così ho deciso che era ora di andare a vedere che cosa succedeva.

Nonostante si tratti di un bel posto l’ho trascurato per tanti anni perché la prima volta mi ero trovata in mezzo a tanti tipi vestiti alla John Travolta e James Dean che mi davano la sensazione di aver preso l’aereo sbagliato.... ma questo non ha importanza.

A Tokyo, se si scende dal treno ad Harajuku ci si trova ancora in una vecchia stazioncina di vecchio stile (come si vede dalla foto) e si sogna subito di essere capitati nel vecchio Giappone. Ma le sorprese cominciano qui.

Con un kaiten (in questo caso intendo la rotazione del corpo tipica dell'aikido) si entra in uno dei tanti grandi parchi della città, ma qui oltre al silenzio si trova veramente di tutto: venditori locali di cibarie giapponesi, ragazzi che si esibiscono gratuitamente - come a San Francisco, per chi c’è stato - suonando, mimando, ballando, rollerando (verbo nuovo inventato qui per indicare l’uso dei roller), esibendosi insomma nelle cose più impensate che la maggior parte di noi non sa fare.

Viene voglia di stare a guardare perché fanno le cose più occidentali che si possono immaginare con lo spirito e la concentrazione di un giapponese. Questa è difficile da capire se non si è mai vista la differenza tra un giapponese che scopa via delle foglie secche da un’aiuola ed uno dei nostri spazzini…

 

 

 

 

 

 

Sempre strano il Giappone! Qui vicino ad uno dei posti più solenni di Tokyo, il Meiji Jingu, il paradosso dei vari look degli hippies, punk, funky, heavy metal, etc.

Lo shock vero però lo si prova se, invece di girare a destra, si attraversa la strada e si imbocca il viale. Si ha l’impressione di essere finiti sul boulevard dei Champs Elysées con crèperies, boutiques e gente che ha per unico scopo quello di andare a zonzo.

All’inizio noto subito il negozio di Benetton, trovando così una giustificazione per la loro rivista, ma non riesco a capacitarmi della serietà dei capi esposti. Non fotografo nulla perché il contrasto tra ciò che vedo e la rivista esiste solo nella mia mente. Procedo guardandomi intorno e chiedendomi come hanno fatto a trovare materiale da pubblicare, poi verso le diciassette, come per incanto, cominciano a sbucare da ogni parte i tipi più strani, rigorosamente giovanissimi e vestiti nel modo più stravagante che si può immaginare.

Da noi i tipi che si vedono in giro con piercing dappertutto, capelli colorati e soprattutto un pò sporchi e laceri appartengono spesso ad una categoria di persone che trasudano problemi esistenziali, contestazione, poca voglia di lavorare e spesso simpatia per la droga.

Personalmente non li trovo interessanti nel loro modo di concepire la vita. Ad Harakuju invece ho trovato un'atmosfera di allegria, di gioia di evadere dai soliti schemi, di trasgressione assolutamente dissociata dalla delinquenza e dalla sporcizia.

Dopo un pò di esitazione dovuta alla mia faccia da straniera ed alla macchina foto al collo, ho cominciato a chiacchierare con le ragazzine, la maggior parte sono infatti fanciulle dai 12 ai 20 ann, del più e del meno, scoprendo tra loro persone normalissime. Molte studentesse e comunque tutte con un’occupazione e tanta voglia di vestirsi in modo anticonvenzionale.

Mi hanno fatto notare che già negli anni 50 la strada era famosa per il fatto che i giovani giravano vestiti in modo stravagante, danzando e teatrando con abiti «a strati» e scarpe stile «zatteroni» (i geta e le scarpe con le suole ultraspesse delle geishe sono d’altronde un tipico prodotto giapponese...).

Ad un tratto ho visto passare dei cameramen con attrezzature fantascientifiche e li ho seguiti a distanza chiedendomi cosa stavano cercando. Ebbene stavano intervistando questi bizzarri giovani, e tra il resto proprio uno che avevo notato per la sua bellezza ma che non ero riuscita a fotografare… poi all’improvviso il colpo di scena: ecco che il loro microfono punta verso di me e l’intervistata finisco per essere io!

Ho dovuto spiegare cosa facevo lì e mi son trovata in difficoltà a rispondere perché mi chiedevano che cosa ne pensavo di quei giovani quando io ero invece andata là proprio per cercare di capirne qualcosa!!!

Sono comunque riuscita a dire che il tipo che avevamo davanti era così bello che qualunque cosa si fosse messo addosso lo si sarebbe sempre notato e che secondo me, dato che aveva 16 anni e soprattutto voglia di divertirsi più che di contestare, anche il pareo sfumato che indossava gli calzava a pennello…

Sono così finita in televisione e mi scuso con quelli che mi hanno vista perché devo aver fatto un pò la figura dell’imbranata che ha cercato di sottrarsi in fretta al microfono e dileguarsi al più presto.

Il fenomeno non è però limitato ad Omote sandō.

Anche nei paesini di Nagano ken dove sono andata la settimana successiva non era raro incontrare fanciulle linde e pulite vestite in modo incredibile.

Non dimentichiamo che ai giapponesi il cambiamento piace e non lo prendono di solito sul serio come noi.

Per di più sono capaci a cambiare veramente e forse questa sarà la vera moda.

Vi manterrò informati, perché adesso sapere se tra un pò tutti i giapponesi saranno vestiti così incuriosisce anche me….

Se vi interessa provare ecco alcune foto per averne un’ idea (sperando che il mio maestro con la fantasia che ha non tragga troppe ispirazioni…).

Preciso comunque che nei vari dojo di arti marziali frequentati non ho visto alcun cambiamento di abbigliamento quindi … buon keiko col solito keikogi !!! e per chi ha l’hakama nessuna variante di colore né tanto meno il patchwork!