113 antichi racconti giapponesi
a cura di Serena Bisacca
Mondadori, 1991

 

La curatrice di questa antologia ha raccolto numerosi racconti del genere conosciuto come mukashi banashi ossia racconti antichi. Iniziavano di solito con la formula mukashi mukashi assolutamente analoga al nostro immortale c'era una volta e appartengono a quel genere di racconto popolarie che risponde in ogni parte del globo ed in ogni cultura umana alle stesse leggi: un breve racconto, assolutamente svincolato da ogni rapporto con la realtà eppure ad essa legato secondo regole sottili, paradossali che affascinano tanto il pubblico, ingenuo e genuino, cui sono destinati quanto i cantori popolari che li diffondono e gli anziani che ne perpetuano oralmente la memoria.

Mancano purtroppo indicazioni sulle sorgenti cui ha attinto la curatrice, ma si sarebbe forse trattato di un inutile appesantimento, essendo una raccolta di tradizioni popolari di cui è difficile stabilire le fonti quando se ne conservi memoria praticamente dappertutto, e in innumerevoli versioni differenti ognuna con un sapore leggermente diverso. Del resto nemmeno noi siamo in grado di affermare con assoluta sicurezza se le opere dei grandi favolisti dell'antichità classica come Fedro od Esopo o quelli via via più vicini a noi, come Lafontaine, Andersen o i fratelli Grimm siano assolutamente originali o non piuttosto travasate direttamente dalla fonte della saggezza popolare all'arte dei grandi scrittori che la raccolsero nobilitandole letteriamente ma rispettandone lo spirito. Alcuni racconti sembrano comunque attingere alle versioni in lingua inglese pubblicate a fine 800 da Lafcadio Hearn (la Fanciulla delle nevi ed Oichi senza orecchie, due degli episodi del film Kwaidan recensito altrove) e da lord Redesdale (Momotaro, una delle leggende giapponesi più popolari nel mondo).

Del resto uno dei più grandi scrittori italiani che si siano cimentati nel genere favolistico, parliamo di Italo Calvino e della sua indimenticabile quadrilogia degli Antenati, dedicò proporzionalmente molte più energie alla raccolta integrale delle favole della tradizione italiana che non alla creazione di nuove opere.

I 113 racconti che danno il titolo all'opera recensita sono racchiusi in cinque categorie principali, ammesso che sia possibile operare distinzioni così perentorie in opere che candidamente ignorano, sconvolgono, sovvertono ogni apparente logica:

Racconti fantastici e leggende

Il regno animale

Racconti divertenti sui monaci

I daimyo, i samurai e gli altri

I fantasmi

Ma ovviamente non è difficile trovarsi al cospetto di varie "intrusioni" che costituiscono piacevoli eccezioni alle regole precostituite. I racconti migliori? Sarebbe stolto pretendere di assegnare voti a chi ci sta dando una lezione. Ascoltiamo piuttosto e rendiamo grazie a chi ci ha tramandato queste gemme. Ma vogliamo citare integralmente uno dei racconti più deliziosamente sorprendenti, con la sua clamorosa trasgressione alle regole generali della "favola".

 

Il Kami della povertà ed il Kami della ricchezza

C'era una volta un villaggio fatiscente, in cui viveva un uomo molto povero. Per quanto lavorasse, la sua situazione, stranamente, non migliorava mai. Per questo ripeteva tutto il giorno sconsolato: "Cosa posso fare? Sono così povero!" In realtà la sua casa era così povera perché era stata scelta come dimora molti anni prima dal Kami della povertà. Questi oziava tutto il giorno nello sporchissimo soppalco facendo in modo che la casa restasse sempre povera.

Nel frattempo...

Gli abitanti del paese non triuscivano a restare indifferenti di fronte alle condizioni di vita di quell'uomo e decisero di trovargli una moglie. Trovarono una ragazza molto carina. Ogni volta che lo sposo la guardava, mormorava: "E' veramente bella, non potrò mai ringraziarvi abbastanza per il piacere che mi avete fatto." E poiché la sposa non era solo bella, ma anche gran lavoratrice, le condizioni della casa piano piano migliorarono. Questo incominciò a preoccupare il Kami della povertà.

La sera di capodanno, i due sposi si raccolsero intorno al focolare a bere il tè e a mangiare il mochi. A un certo punto sentirono degli strani lamenti provenire dal soppalco. Incuriosito, l'uomo prese una scala ed andò a vedere. Con sua grande sorpresa, vi trovò il Kami della povertà in lagrime. "Chi sei?" gli chiese. "Sono il Kami della povertà. Abito qui da molti anni e sono molto preoccupato per la mia sorte: dove andrò se le condizioni di questa casa continuano a migliorare?" Che il Kami protettore della sua casa fosse proprio il Kami della povertà non rese molto felice quell'uomo: tuttavia lo invitò a nscendere dal soppalco e a raggiungere sua moglie vicino al fuoco. Quella sera parlarono a lungo e ogni tanto il Kami della povertà scoppiava a piangere.

A un certo punto sentirono bussare alla porta e, anche se un po' spaventati, andarono ad aprire. "Piacere, sono il Kami della ricchezza" disse entrando. "Arrivo dal lontano paese dei Kami e ho pensato di fermarmi qui a fare una piccola sosta." Fino a quel momento non si era ancora accorto della presenza del Kami della povertà. Quando lo vide: "Cosa fai ancora in questo posto? Vattene via immediatamente!" I due Kami iniziarono a litigare violentemente, finché il Kami della ricchezza non venne scaraventato fuori. Terminata la rissa, i due sposi ed il Kami della povertà ripresero i festeggiamenti di capodanno, essendo ormai diventati amici.

Quella casa non diventò mai ricca, ma vi regnò sempre una gran pace. Che fine fece il Kami della povertà? Rimase naturalmente ad oziare nel soppalco!