Spigolature nei campi del Buddho
Lafcadio Hearn
Laterza, 1983

 

L'edizione originale di questo libro è del 1922, quella del 1983 è una anastatica, ossia riprende esattamente senza alcuna modifica l'edizione di 61 anni prima. Se da una parte questo può suscitare qualche perplessità per la trascrizione inusuale di molti termini giapponesi e per una certa aria di antico che emana dalla traduzione, è d'altra parte una preziosa testimonianza storica. Di cosa parla il libro? Difficile renderne conto in poche parole, non ha un filo logico vero e proprio e lo dichiara apertamente già nel titolo: vi troverete solo spigolature.

Si tratta in realtà di uno dei generi letterari potenzialmente più avvincenti e più antichi, quello in cui un erudito segue sulla carta il filo dei suoi pensieri, senza alcun apparente filo logico, eppure affascinando il lettore

Citiamo ancora l'indimenticabile opera di Aulo Gellio, scrittore latino, filologo e flosofo del I secolo: Le notti attiche. Opera così chiamata perché raccoglie le divagazioni dell'autore intorno agli innumerevoli rari testi, spesso trovati sulle bancarelle, che leggeva nelle interminabili splendide notte dei suoi studi giovanili in Atene. Il testo, mutilo delle prime parti, inizia con una coinvolgente ricostruzione della statura di Ercole, sulla base di uno studio di Pitagora riportato da Plutarco. Poiché lo stadio di Pisa Elide fu costruito da Ercole, che utilizzò il suo piede come unità di misura per tracciarvi una pista di 600 piedi, Pitagora basandosi sulla relazione tra misura del piede e statura calcolò l'altezza dell'eroe. Il tutto sarebbe reso forse ancora più affascinante dalla impossibilità per il lettore moderno di comprendere i risultati apparentemente ovvi dei calcoli, espressi in unità di misura a noi ignote, ma Aulo Gellio ci toglie fortunatamente d'impaccio: si astiene maliziosamente dal dirci quanto era alto Ercole, vuoi in piedi romani, vuoi in palmi egiziani o cubiti sumerici. Probabilmente uno sprone a leggere direttamente Plutarco, ma sfortunatamente quella sua opera non ci è pervenuta.

Anche questa era ovviamente una divagazione. Ma sarà stata forse utile al lettore per comprendere con quale genere di libro si dovrà confrontare, e per quali ragioni potrà trovarlo straordinariamente attraente, o sentirsene al contrario respinto.

Lafcadio Hearn, giornalista e scrittore di origine anglo-greca, dopo una esistenza girovaga si stabilì in Giappone sul finire del secolo XIX per insegnarvi lingua e letteratura inglese nelle università di Kumamoto e Tokyo. Perfettamente integrato nella vita giapponese, assetato di nuove conoscenze, ci ha lasciato numerose testimonianze scritte, prima di scomparire prematuramente.

L'approccio di Hearn è o perlomeno può sembrare inusuale: non si limita come tanti corrispondenti da paesi lontani a descrivere gli avvenimenti, i luoghi, i monumenti. Cerca di penetrare nello spirito della cultura e del popolo giapponese, e di trasmetterli non attraverso dei processi logici ma attraverso le sue sensazioni, che rendono meno evidente l'assoluto rigore delle sue analisi al punto da fargli guadagnare una fama non ineccepibile presso molti studiosi o sedicenti tali, che accusano Hearn di sentimentalismo, decadentismo, superficialità.

Ribadito ancora una volta che il suo testo non ha e non vuole avere un filo conduttore, ma è un assemblaggio casuale degli argomenti o delle esperienze su cui Hearn ha ritenuto interessante riflettere, invitiamo i lettori a constatare de visu se questo tipo di approccio è a loro congeniale.

Tentiamo di anticipargli alcune delle riflessioni cui Hearn lo costringerà, lasciando a lui la parola.

Quelli che credono la bellezza solamente connessa con la sontuosità, con la stabilità, con la « ferma realtà », non potranno mai vederla in questo paese, ben chiamato « il paese del Sol Levante », perché l'ora in cui si leva il sole è quella delle illusioni. Niente è più bello che un villaggio giapponese tra le colline o sulla costa, visto proprio dopo il sorgere del sole, a traverso il lento salire della nebbia d'un mattino di primavera o d'autunno. Ma per l'osservatore materiale, l'incanto passa con i vapori: nella cruda e chiara luce egli non può trovare palazzi d'ametista, non vele d'oro, ma solamente leggiere capanne di legno coperte e la non dipinta stranezza delle giunche.

Così forse è per tutto ciò che fa bella la vita in qualunque paese. Per vedere gli uomini e la natura con gioia, voi dovete vederli attraverso le illusioni subiettive ed obiettive. Come essi ci appaiono dipende dalle nostre condizioni etiche interiori. Tuttavia il reale e l'irreale sono ugualmente illusivi in loro stessi. Il volgare ed il raro, l'apparente transiente e l'apparente perdurante, sono tutti mere spiritualità. Più felice colui che, dalla nascita alla morte, vede a traverso un bel velo dell'anima - migliore di tutti, quel velo d'amore che, come lo splendore di questa giornata orientale, cambia le cose comuni nell'oro.

Non che Hearn sia capace solamente di perdersi nellla contemplazione di paesaggi che solo a lui, o a persone che vibrano nelle medesime corde, sembrano degni di ammirazione. E' capace anche di analizzare freddamente le capacità e le prospettive commerciali del Giappone, le sue proiezioni di sviluppo tecnologico, le sue relazioni col mondo.

L'Osaka del 1896, covrente una vasta area, ha una popolazione di circa 670.000 abitanti. Come estensione e popolazione, è ora solamente la seconda città dell'impero; ma rimane come il conte Okuma indicava in un recente discorso, finanziariamente, industrialmente e commercialmente, superiore a Tôkyô. Sakai, e Hyôgo, e Kobé non sono veramente che i suoi porti esteriori; e questultimo avanza visibilmente Yokohama. Confidenzialmente si predice, da forestieri e da giapponesi insieme, che Kobé diverrà il principal porto di commercio estero, perché Osaka è capace d'attrarre a sè i migliori talenti commerciali del paese.

Ora il commercio d'importazione e d'esportazione estero d'Osaka rappresenta circa 120 milioni di dollari all'anno; e il suo commercio interno e costiero è immenso. Quasi ogni cosa che si desidera è fatta in Osaka; e vi sono poche case giapponesi, in qualunque parte dell'impero, al cui arredamento l'industria di Osaka non abbia in qualche modo contribuito. Questo probabilmente era il caso molto prima che Tôkyô esistesse. Sopravvive una antica canzone di cui corre il ritornello - 'Ogni giorno ad Osaka arrivano mille bastimenti'. Giunche solamente quando fu scritta la canzone; piroscafi anche oggi, e transoceanici.

E' però sicuramente quando si abbandona alle sensazioni che Hearn mostra il suo aspetto più congeniale. Che le sue descrizioni impressionistiche abbiano il sapore di un mondo perduto - probabilmente per sempre - aggiunge e non toglie fascino alle sue pagine. Che ci lasciano anche con una speranza, quella di poter vedere comunque quanto ci circonda attraverso quel bel velo d'amore che cambia le cose comuni nell'oro.

 

Foto: Felice Beato, 1864 circa: particolare della immagine panoramica del porto di Yokohama. In seguito al trattato di Kanagawa del 1858 le zone del Giappone in cui era consentito agli stranieri viaggiare e soggiornare erano rigorosamente limitate, è probabile quindi che non esistano immagini ottocentesche del porto di Osaka. Hearn, naturalizzato giapponese con il nome di Yakumo Koizumi, era libero invece di viaggiare per ogni dove.