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La spada giapponese utilizza normalmente due differenti tipi di montature: la shirasaya (fodero bianco) in legno di magnolia (ho) viene paragonata dagli esperti come il maestro Hideki Hosokawa, che ricorre spesso a questa perifrasi, ad una veste da camera comoda e larga. E' il fodero in cui la lama veniva tenuta normalmente quando non ne era previsto l'utilizzo per qualche tempo, studiata per prevenire al massimo i danni del tempo.

Il legno di ho nfatti ha un basso tenore di tannino, che a contatto con la lama prima o poi la corrode, e la shirasaya viene allestita lasciando margini più ampi di quelli necessari per la montatura da battaglia, il koshirae. In questo modo si è più sicuri che la lama non venga in contatto col legno, ma anche che il legno non venga impregnato dell'olio di choji usato, con estrema parsimonia, per lubrificare periodicamente il metallo, rimuovendo con finissima polvere il vecchio strato prima che invecchi formando macchie ed incrostazioni, per poi stenderne un nuovo velo.

Ma della manutenzione della lama sarà meglio parlare per esteso in un nuovo articolo.

Il koshirae, la montatura utilizzata per portare la spada sulla persona, utilizza un fodero (saya) in legno laccato e un manico (tsuka) sempre in legno ma ricoperto di pelle di razza (samegawa) e di una robusta nastratura che facilita la presa (tsukamaki).

La guardia (tsuba) essendo mobile viene tolta quando si alloggia la spada nella shirasaya e rimontata quando la si assembla nel koshirae.

 

 

 

 

 

 

 

Di norma la spada appena terminata di forgiare e rifinire veniva conservata dal maestro spadaio dentro la shirasaya e in queste condizioni venduta all'acquirente che era così libero di farsi confezionare un koshirae di suo pieno gradimento. Nel lungo corso della vita della lama venivano poi alternati periodi di "lavoro" nel koshirae e periodi di riposo all'interno della shirasaya. Per tenere assieme le varie parti della montatura non utilizzata vi veniva inserita una lama posticcia di legno, lo tsunagi.

La shirasaya è semplice, essenziale, e quando la lama riposa al suo interno la si potrebbe confondere con un normale bastone da passeggio. Nulla rivela quello che si cela al suo interno.

Oggigiorno succede sempre più spesso che lame di pregio vengano deliberatamente tenute dentro la shirasaya dopo una pulitura, non esponendole al carico supplementare di lavoro richiesto dallo estrarle e riporle frequentemente nel koshirae. Non va dimenticato infatti che lai lama giapponese come detto prima viene periodicamente esaminata, spesso completamente smontata e poi sottoposta ad alcune essenziali ma indispensabili operazioni di manutenzione. E' questo, la costante manutenzione effettuata per secoli da parte di ogni proprietario, il "segreto" della perfetta conservazione di tante lame giapponesi.

Per mostrare delle spade nella montatura da battaglia, ormai il lettore sa che si tratta del koshirae, ricorriamo ad alcuni esemplari esposti nella collezione permanente del Klingenmuseum di Solingen in Germania. Non ve ne sono per la verità molte ma valgono la pena, e vale senzaltro la pena anche il resto del museo dove sono conservati ferri taglienti rarissimi, risalenti a varie epoche e provenienti da varie civiltà. Nel museo di Solingen si anche è tenuta nel 2002 la più importante esposizione di spade giapponesi mai vista in Europa, di cui potete leggere se ne avete voglia un resoconto.

Quello che vediamo è innanzitutto (la prima in alto) una lama nuda in cui abbiamo indicato con la lettera A l'habaki; è una guarnizione in rame o varie leghe con diverso tenore di oro o argento, che serve a tenere ben salda la lama nel fodero. Anche l'habaki, come ogni altro componente della spada, non è vincolato rigidamente anzi può essere sfilato dalla parte del codolo (nakago) senza l'uso di alcun attrezzo, per le operazioni di manutenzione o per un esame della lama, per poi essere semplicemente infilato di nuovo al momento di riassemblare la spada e riporla. Questa lama, un wakizashi ossia "spada da lato" traducendo liberamente, ha due fori per il perno passante (mekugi) quindi evidentemente ha cambiato almeno una volta montatura nel corso della sua vita.

Di sotto un daisho, ossia una coppia di lame lunga (daito) e corta (shoto). Si tratta di solito di una katana e di un wakizash, non necessariamente opera della stessa mano o di fattura simile come quelle mostrate, ma comunque sempre inserite in due koshirae coordinati tra di loro. Indicati dalle lettere B il kozuka, un coltellino di servizio inserito talvolta nella parte interna del fodero (saya), e con il C il kogai, uno spillone inserito nella parte esterna. Sembra che sia poco altro da dire, ma non è così e ben presto ve ne renderete conto


Iniziamo la nostra circumnavigazione della spada giapponese dalla parte del manico, la tsuka. E' costituita da due valve in legno, ricoperte da un rivestimento (samegawa) composto della pelle di un pesce particolare, la razza. Il tutto viene infine avvolto da una fitta nastratura (tsukamaki) con una fettuccia di cotone o seta (sageuchi). Ma sarà bene identificare questi componenti, assieme agli altri che completano la tsuka: la loro funzione sarà più evidente e sarà più facile memorizzarli.

Avete ora davanti in primo piano una tsuka, quella della katana della foto precedente. Una tsuka per katana è lunga di solito intorno ai 25 cm, mentre la tsuba (elsa) ha un diametro di 7/9 cm; queste misure vanno ovviamente ridotte per il wakizashi, che misura dai 30 ai 60cm di sola lama (la cui lunghezza si chiama nagasa, come spiegato nell'articolo dedicato alla nomenclatura della lama), mentre una katana varia normalmente dai 60 ai 75.

Da sinistra sono indicati: A: il kashira, pomolo terminale del manico, fissato dalla nastratura (tsukamaki) che passa in due apposite asole, e coordinato nel tema col terminale opposto (fuchi, lettera E)  e con le borchie (menuki, C) di cui parleremo dopo. B: la samegawa (la parte bianca del manico) ossia la pelle di razza di cui abbiamo parlato prima; in questa zona devono essere visibili  le scaglie di maggiori dimensioni, vicine alla testa del pesce, per renderle apprezzabilii all'osservatore. Il prezzo di una buona pelle arrivava a livelli astronomici, tantevvero che era un dono che si usava scambiare tra nobili. C: un menuki, l'altro non è visibile perché si trova dal lato opposto del manico.

I due menuki non sono mai perfettamente uguali, uno rappresentando il principo yin e l'altro quello yang. Avevano la funzione di migliorare la presa sul manico del tachi, lunga spada da cavallo usata prima della katana e che era normalmente priva di tsukamaki. Vennero lasciati per tradizione anche quando non erano più necessari ed venivano anzi seminascosti dallo tsukamaki.

D: il mekugi, semplice perno passante in bambu che vincola il manico al codolo (nakago);  estraendo il mekugi si è in grado di disassemblare in pochi attimi l'intera spada. E: il fuchi, pomolo iniziale del manico. In questa zona notiamo che lo tsukamaki, sottoposto allo sfregamento della mano, è ormai usurato; nulla di particolarmente grave, artigiani di grande maestria possono preparare un nuovo avvolgimento a regola d'arte ed è probabilmente la parte della spada che viene sostituita più frequentemente. F: la tsuba, o guardia, elsa: i motivi decorativi della tsuba sono infiniti, e servirebbero decine di pagine o di siti internet per dare una idea della importanza di questa produzione artistica, della varietà di scuole, della varietà di stili. Questa tsuba in particolare ha una fine lavorazione del mimi (bordo esterno circolare) G: una seppa: sono spessori ovali che si trovano su entrambi i lati della tsuba (quello dalla parte del manico non è visibile) e che permettono di aggiungere ulteriore elasticità all'assieme ma anche di adattare sulla lama differenti manici e differenti guardie, aumentando o diminuendo il numero degli spessori. H: l'habaki, di cui abbiamo già parlato.

In questultima figura  vediamo invece la tsuka di un wakizashi in corso di restauro, quindi scomposta nei suoi elementi. Alla lettera A corrispondono le due seppa, alla lettera B la tsuba che in questo caso oltre al foro centrale per il passaggio del codolo (nakago ana) ha sia il foro interno per il passaggio del kozuka (ovale) che quello esterno per il passaggio del kogai (trilobato); avrete sicuramente già capito che ana significa foro, e che li dovremo chiamare kozuka ana e kogai ana. Attraverso questi fori i due utensili vengono riposti in apposite fenditure del fodero. Alla C il fuchi, alla D il kashira ed alla E infine i due menuki; sono evidenti al punto da non richiedere indicazioni la samegawa e lo tsukamaki, solo parzialmente riavvolto. La lettera F ci aiuterà ad introdurre un altro elemento del koshirae. Si tratta infatti del koiguchi (bocca di carpa), un rinforzo in corno che si trova all'imboccatura della saya: il fodero. Dovremo comunque parlare prima o poi dell'assieme di accessori della spada, definito kodogu, che sommariamente comprende fuchi, kashira, menuki, tsuba, habaki, kozuka e kogai. Questi oggetti  oltre ad avere una loro funzionalità possono anche avere un alto valore artistico. I  temi raffigurati sono profondamente legati alla cultura tradizionale, e meritano anche loro un approfondimento.


Non ci rimane che cominciare a parlare del fodero della spada, la saya. Non sarà così semplice come si potrebbe pensare ma il fodero ha sicuramente minori componenti da memorizzare rispetto al manico.

Il fodero è composto da due valve di legno, incollate tra di loro con colla di riso come le due valve che compongono il nucleo della tsuka. Una volta terminato il fodero viene laccato con una vernice particolare (urushi), spesso di colore nero nero e ruvida al tatto (kuro ishime) nello stile buke-zukuri, quello tipico dei samurai e che viene ancora utilizzato nella maggior parte delle arti marziali che prevedono l'uso della spada. E' un tipo di finitura infatti che oltre ad assecondare gli austeri gusti dell'uomo d'arme facilita la presa e lo scorrimento del fodero nella cintura: contrariamente a quello che si potrebbe immaginare un fodero lucidato a specchio spesso rimane "incollato" agli indumenti al momento dell'estrazione.

 

 

In questa illustrazione per ragioni di chiarezza abbiamo comunque lasciato bianco il fodero, la saya vera e propria e in nero i principali componenti, generalmente di corno di bufalo ma talvolta anche di metallo. Da sinistra a destra, ossia partendo dalla guardia verso il terminale del fodero

Il koiguchi (bocca di carpa) è una guarnizione che abbraccia l'imboccatura del fodero. Il corno, più resistente e più scorrevole del legno, irrobustisce l'assieme, agevola estrazione e reinguainamento della lama, consente all'habaki - che abbiamo già visto - di incastrarvisi tenendo ferma la lama all'interno del fodero senza che sia soggetta a scuotimenti o tocchi il legno venendo macchiata od ossidata. Il kurigata è un ponticello che viene incollato sopra la saya dalla parte esterna (omote per chi guarda). Vi viene passata la fettuccia (sageo) che assicura la spada alla cintura. Il kaeshizuno è un gancio che viene utilizzato a volte per impedire movimenti indesiderati del fodero quando è infilato alla cintura. Infine il kojiri è il terminale del fodero (spesso assente nel wakizashi ove di norma la parte terminale della saya è arrotondata). Quando sono presenti kozuka e/o kogai, i due coltellini di servizio alloggiati nella saya, le relative imboccature presentano uno scivolo in corno.

 

Raramente utilizzata per la pratica delle arti marziali, era tuttavia abbastanza frequente in epoca Edo una montatura intermedia detta handachi (mezza spada). Viene infilata alla cintura col tagliente verso l'alto, come la katana, ma ha alcuni componenti tipici del tachi. Il kashira avvolge maggiormente il pomolo della tsuka e viene chiamato kabutogane, la saya presenta accessori metallici che ricordano quelli del tachi: Il kojiri più avvolgente e protettivo, e i semegane, anelli che irrobustiscono il fodero: sono altrettanti elementi che fanno dell'handachi una montatura robusta e quindi adatta per un uso continuo nella vita quotidiana del samurai, che fino al 1877 era tenuto al porto del daisho.


Le lama di misura minore che accompagna il daito ha di solito montatura simile; ricordiamo che la katana misura oltre 2 shaku (60cm circa) di lama e viene accompagnata di solito dal wakizashi, con lama tra 1 e 2 shaku (30/60cm); questo assieme denominato daisho (dai = lungo e sho = corto) si assembla infatti con finimenti molto simili se non addirittura previsti fin dall'inizio per essere accoppiati.

Anticamente il daisho era composto dal tachi, più lungo e più curvo e di cui parleremo a parte, e dal tanto: un pugnale con lama sotto lo shaku (meno di 30 cm). Non mancavano però i samurai che preferivano portare il tanto assieme alla katana: in questo stesso sito ne vediamo un esempio nella sezione Cinema Jidai dove Takashi Shimura, nelle vesti di scena del samurai Kanbei, utilizza un tanto che tiene sempre nella cintura anche quando abbandona la spada.

La montatura del tanto può essere simile a quella della katana, e si parlerà in questo caso di kogatana, o essere di un tipo particolare chiamato aikuchi, spesso ma non sempre riservato ai pugnali di dimensioni minori: sotto i 7 sun (21 cm).

 

 

 

Questa montatura aikuchi, disassemblata nelle varie componenti, mostra le sue caratteristiche: la lama, di dimensioni insolite per un aikuchi, è classificabile come wakizashi e non come tanto. La sezione della lama è triangolare (hirazukuri) come spesso si riscontra nei tanto e non pentagonale (shinogi zukuri) come di solito sulla katana. La tsuka (manico) non ha tsukamaki (nastratura) e non è presente la tsuba (guardia). Di sotto il kozuka, che normalmente non è visibile dal lato omote che stiamo mostrando. E' ugualmente presente sul lato omote della lama, per quanto non distinguibile nella foto il mei (firma) inciso sul nakago (codolo). Sul lato omote può essere presente anche il kogai, altro coltellino di servizio inserito come il kozuka in una fenditura del fodero.

 

 

 

Si è aggiunto ora il secondo fodero che accompagna spesso le lame di un certo pregio: è la shirasaya (fodero bianco) in legno di ho di cui abbiamo già parlato. Quando non utilizzata la lama viene riposta in questo fodero di riposo dove ora vediamo inserito lo tsunagi: una falsa lama in legno che serve unicamente a tenere assieme le varie parti della shirasaya mentre la spada è "al lavoro"; quando la spada rientra si danno il cambio: lo tsunagi viene inserito nel koshirae e la lama nella shirasaya.

 

Ora stiamo vedendo un particolare del lato ura, così come si presenterebbe al samurai che portasse alla cintura questo aikuchi. Il kozuka è inserito nel kozuka itsu ricavato all'interno della saya. Quando necessario la mano sinistra afferra il fodero e una pressione del pollice fa uscire il kozuka dal suo alloggiamento. Se è presente la tsuba è necessario allora che vi sia praticato il kozuka hana, un foro che ne permetta il passaggio durante l'estrazione.Questo kozuka reca il motivo del gufo attaccato dai corvi: attenderà paziente la notte per prendersi la rivincita in un ambiente a lui favorevole. E' una allusione alla pazienza, indispensabile dote per tutti, particolarmente necessaria ad ogni samurai.

Fuchi e kashira sono, come spesso in questo genere di montatura, di corno nero lucidato a specchio, senza alcuna decorazione. Anche il mekugi, il perno passante che attraversa il nakago, è in corno, e la samegawa è laccata in nero. Il menuki ura, completamente allo scoperto, rappresenta una colomba in volo che si volge all'indietro. Dal lato opposto omote una colomba molto simile, ma con lo sguardo rivolto in avanti.

 

 

Ritornando al lato omote osserviamo un ultimo particolare: il kurikata presenta due shitodome: sono due occhielli di metallo morbido, a volte oro, che facilitano lo scorrimento del sageo (fettuccia di cotone o seta che assicura l'arma alla cintura) e hanno anche funzione decorativa, ammorbidendo leggermente l'austerità tipica di molte montature giapponesi. Gli shitodome possono essere applicati anche sul kashira, il cappuccio terminale della tsuka. che ha due asole per permettere il passaggio e l'annodatura del sageuchi, la  fettuccia che si intreccia a formare lo tsukamaki.