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A distanza di alcuni anni venne rinvenuta una tsuba di misura maggiore, per katana, ricavata da una barra di acciaio ripiegata più volte a pacchetto e destinata alla forgiatura di una lama (tamahagana), come rivelato dalla struttura reticolare del metallo (non visibile dal lato omote qui mostrato).

Le tacche di adattamento hanno chiaramente diversa ossidazione, e anche al livello del seppadai, ove poggiava la seppa, c'è un leggero strato di differente ossidazione (non apprezzabile nella foto) che conferma che la tsuba è stata effettivamente utilizzata.

Apparentemente molto semplice, questa tsuba ha in realtà una simbologia complessa che il maestro ci ha aiutato a svelare e ci ha fatto apprezzare. La ruota d'acqua sulla destra (suisha) si incrocia con effetto impressionistico con una seconda ruota (assieme costituiscono il simbolo del musubi e del trascorrere della vita). E' presente in alto un fiore di sakura ricavato dal vuoto (ciliegio, simbolo della primavera) ed in basso un singolo petalo di ume (prugno, simbolo dell'autunno). Può sfuggire ad un esame superficiale il significato dei raggi concentrici graffiti sulla superficie della tsuba: si tratta del simbolo del Sol Levante, emblema della nazione giapponese. Che la parte raffigurata nella foto sia quella omote lo confermano la posizione sul lato sinistro del kozuka ana (fessura per il passaggio del primo coltellino di servizio) e sul lato destro del kogai ana (fessura per il secondo accessorio, uno spillone). La presenza dall'altro lato dei resti quasi impercettibili di un minuscolo riporto ornamentale tuttavia fa pensare che potesse essere quello il più ornato, che tradizionalmente è omote. Bisognerà rifletterci ancora.

Da notare che il lato destro della lama (nella tsuba quello con il foro passante lobato) è un altro caso di omote: è il lato visibile a chi si trova di fianco: è su questo lato che l'artigiano appone la firma (mei) sul codolo della spada (nakago) o sul seppadai della tsuba. Le antiche spade da cavallo (tachi) che si indossavano appendendole alla cintura col taglio verso il basso, in posizione inversa a quella della katana, si trovano perciò ad avere come omote il lato opposto e là vengono firmate.

Ancora qualche tempo dopo è stato possibile rintracciare una tsuba con la stessa tematica ed esecuzione simile ma più essenziale. Di conseguenza presumibilmente tosho, ossia opera di un maestro spadaio (kokaji), e non katchushi, opera di un maestro tsubaki. Lo stile tosho, molto apprezzato in epoca Muromachi (1338-1573) ma coltivato anche nei secoli successivi, è caratterizzato da forma generalmente rotonda (marugata), esecuzione in acciaio, un solo motivo decorativo a traforo o nulla affatto, spessore ridotto che si assottiglia ancora sul bordo (mimi), lavorazione semplice ed austera.

Il maestro ricorda spesso che il samurai predilige per le sue armi finiture rigorose ed essenziali e difficilmente si troveranno sulla spada di un guerriero ornamenti preziosi quanto vistosi. La luce naturale mette in evidenza il famoso "color cioccolato" con cui la patina dei secoli ricopre l'acciaio, che nessun invecchiamento artificiale riesce ad emulare. 

La patina dell'esemplare precedente sembra di tonalità molto differente ma occorre tenere presente che la foto è stata scattata al mattino presto, l'altra a pomeriggio inoltrato quando la luce è molto più calda. Potete notare nella foto successiva come in realtà la differenza sia difficilmente avvertibile. Per evitare ogni influenza della luce ambientale gli artigiani del nihonto lavoravano quando possibile di notte, alla sola luce della forgia.

L'ultima tsuba era di diametro compatibile per la montatura su un wakizashi. Come è noto il samurai era tenuto in epoca Edo ad indossare costantemente due spade:  la katana, con lama superiore ai due shaku (60 cm) ed il wakizashi, arma di scorta con lama tra 1 e 2 shaku (30-60 cm) da cui non si separava mai mentre il porto della katana era interdetto nei locali pubblici e nelle abitazioni private. L'assieme delle due spade veniva chiamato daisho (lunga – corta) ed era auspicabile che se non le lame - normalmente celate nel fodero - almeno le forniture e le rifiniture in vista fossero in armonia tra di loro.

E qui vediamo appunto un daisho assemblato accoppiando le due tsuba col motivo musubi. Normalmente una tsuba per wakizashi misura 6/7 cm di diametro, dagli 8 cm in su quella per katana (più difficile da trovare). Queste non differiscono di molto nel diametro ma il wakizashi ha una misura importante (54 cm di nagasa, lunghezza della lama) e richiede una tsuba di grandezza adeguata.

Ci sembra di poter dire che questo assieme, che ha incontrato il favore del maestro, possa incontrare anche il favore anche di chiunque ami gli oggetti artisticamente essenziali.

Il ricercatore è abituato a non scoraggiarsi, sa che il "vento" cambia spesso secondo regole che non gli è consentito né prevedere né comprendere. La prima tsuba con il motivo musubi è stata rinvenuta dopo molti anni dall'inizio delle ricerche. In un certo periodo successivo è sembrato al contrario che fossero loro a farsi avanti, ad offrirsi al ricercatore, per quanto non sempre il livello artistico e lo stato di conservazione fossero adeguati. Ecco l'ultimo rinvenimento. Per ora.

Attribuita alla scuola shoami, questa tsuba per katana ha un livello di esecuzione tecnica indubbiamente superiore alle precedenti. Il kikumon (kiku = crisantemo, mon = stemma) a 16 petali è riservato alla casata imperiale, e solo ad artisti di provata fama è concesso di apporlo sulle loro opere. Il manufatto è tuttavia mumei (non firmato).

Il motivo del Sol Levante potrebbe alludere anche alla simbologia della ruota, senza che sia possibile tuttavia essere certi dell'intenzione dell'artista. La foglia di kiri (pawlonia) è tradizionalmente associata allo spirito guerriero: ancora nella seconda guerra mondiale le forniture delle spade dell'esercito giapponese (shingunto) recavano il simbolo del kiri, che rappresenta l'autunno come il crisantemo rappresenta la primavera. Non è facile identificare il lato omote: le due facce hanno lo stesso grado di decorazione e finitura e le presenza dei sekigane (scivoli in rame che facilitano il montaggio e lo smontaggio della tsuba) non ha reso necessarie le tacche di adattamento che avrebbero aiutato a distinguere. Sembra che l'artista abbia voluto deliberatamente confondere le acque: i fori passanti per i coltelli di servizio sono identici, ambedue del tipo kogai ana, e non apportano alcun contributo.

Il maestro ha esaminato questa tsuba e ha dato il suo responso: quello che vedete è il lato omote. Il suo giudizio conferma quanto indica il kantei, la perizia ove vengono riportati una foto o un calco (oshigata) del lato omote convalidati dal timbro a secco dell'autorità che ha rilasciato il certificato. E' mancato finora l'occasione per conoscere i motivi della interpretazione del maestro, ma questo non ha importanza: l'insegnamento del maestro Hosokawa è destinato ad accompagnarci ancora a lungo.

E' tuttavia, come nella tradizione samurai, anchesso essenziale e stringato. I primi tentativi di ottenere spiegazioni hanno avuto il prevedibile risultato di vederlo sorridere mentre indicava nuovamente la tsuba: la verità è là, esposta a tutti. Ma per essere in grado di comprenderla occorre innalzare il proprio livello di sensibilità, e senza ricorrere ad aiuti esterni.

Foto: L'estensore dell'articolo, la signorina Eli (che si ringrazia per la gentile collaborazione e la piacevole compagnia) ed il maestro Hideki Hosokawa.