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La notte della vigilia, che Munezo trascorre da solo nella sua casa vuota, gli si presenta una visita.

E' la moglie di Hazawa, che gli chiede di risparmiarlo.

Munezo non ha modo di sottrarsi all'ordine ricevuto, solamente il feudatario potrebbe prescrivergli di usare clemenza. La donna, ridotta alla disperazione, offre sé stessa.

Munezo ricusa. Lei lo lascia: andrà, per quanto sconsigliata dal farlo, a chiedere al feudatario stesso di dare l'ordine di prendere vivo Hazawa.

 

 

 

 

 

 

Questi non ha più nulla dell'orgoglioso guerriero che era partito per Edo pochi anni prima. Le percosse e le umiliazioni subite durante la prigionia hanno fiaccato e degradato il suo fisico e il suo morale.

Trascura gli ostaggi, lasciandoli liberi di fuggire.

Ha bisogno di parlare.

Invita Munezo nella capanna.

Ancora una volta un ultimo colloquio tra due uomini che vorrebbero stimarsi ed essere amici e sono invece costretti a uccidersi l'uno con l'altro.

 

 

 

 

 

Il colloquio non ha esito, non è possibile che ne abbia.

Munezo incita l'antico amico ad arrendersi.

Questi lo invita piuttosto a combattere per poi assalirlo con violenza.

Qualcosa spinge Munezo a tentare comunque di risparmiare Hazawa, ma in un ambiente ristretto non sarebbe possibile evitarne a lungo i colpi limitandosi a una difesa passiva.

 

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Per quanto suo malgrado Munezo, dopo essere corso all'aperto ove Hazawa lo segue immediatamente, è costretto comunque a snudare la spada.

Tenta ancora di risparmiare l'avversario, che non ha e non può avere i suoi scrupoli, e le sue esitazioni.

Ne viene ferito.

Ricorre allora finalmente alla tecnica della spada nascosta, assumendo un atteggiamento rinunciatario e privo di guardia. E' nel momento del prevedibile attacco che Munezo si sottrae e colpisce a sua volta.

 

 

 

 

 

Forse il colpo non sarebbe mortale.

Hazawa quando accenna a tentare una debole reazione viene però abbattuto senza pietà dai fucilieri che erano appostati nei dintorni.

Viene così privato ancora del diritto di morire onorevolmente, da samurai, lottando da pari a pari con un'arma in pugno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sulla via del ritorno Munezo incontra di nuovo la donna.

E' sconvolta.

Era convinta che dopo il suo intervento fosse stato impartito l'ordine di risparmiare la vita di Hazawa: è stata rassicurata in merito dal feudatario in persona.

Munezo però non ha ricevuto alcuna disposizione, né direttamente né a mezzo di messaggeri, di tentare di prendere vivo il ribelle.

 

 

 

 

 

 

Quando per riconoscimento del suo operato gli viene concessa udienza presso il feudatario ha l'ardire di chiedergli se egli abbia effettivamente ricevuto la moglie di Hazawa.

Non nega neppure: ammette, con un ghigno osceno,  di averla ricevuta e di avere approfittato di lei senza avere alcuna intenzione di acconsentire alla sua richiesta.

Lo dobbiamo dire per l'ultima volta: è di nuovo una situazione tipica, una di quelle che che ritroviamo costantemente in questo genere di rappresentazioni artistiche, comprese le altre opere di Yamada.

In seguito all'oltraggio e alla umiliazione che ha dovuto subire, la compagna di Hazawa si uccide.

 

 

E' chiaro che Munezo non ha più alcuna intenzione di continuare ad essere un ingranaggio funzionale ai questo sistema.

Gli rimane solo da decidere se prendersi la sua vendetta prima di andare via per sempre.

Per rispetto nei confronti del futuro spettatore non sciogliamo questo dilemma.

Abbandonerà la sua terra natale, recandosi a Ezo (l'attuale Hokkaido), isola all'estremo nord all'epoca ancora scarsamente popolata se non addirittura desertica, ove ricostruirsi una vita abbandonando la casta samurai.

 

 

 

 

Prima di affrontare il lungo viaggio per mare si reca però in campagna, per incontrare Kye.

Le chiederà di condividere il suo destino.

Essa, scherzando, risponderà chiedendo se si tratta dell'ordine di un samurai.

In tal caso, non le rimarrà che obbedire.