Premessa
L’amico Paolo mi lusinga chiedendomi questo articolo. Rileggendolo a distanza di diversi anni mi sono reso conto di avere cambiato visione sull’aikido, senza per questo rinnegare il passato e meno che mai dolersene. Quella qui avanzata è un’idea estetica dell’aikido, non sfuggono all’occhio attento le influenze nietzschiane di La nascita della tragedia e forse il contrasto tra apollineo e dionisiaco. Ma, si dice, c’è un periodo nella vita nel quale siamo necessariamente seguaci del filosofo tedesco. Dal lato aikidoistico vi è un certo ascendente della ricerca del maestro Fujimoto del “Fare la tecnica più bella!”, uno studio finalizzato ad una forma di benessere psicologico: l’arte è anche catarsi. Le arti hanno infatti tecniche diverse ma tratti comuni, l’ispirazione che è l’inizio di ogni cosa e forse il fine che è la bellezza (a meno che essa non sia uno strumento per qualcos’altro). Oggi sono portato a vedere altri aspetti, forse, e sono parole del maestro Tada, l’aikido è un’arte per vivere. Sarà effetto dell’età?
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Il dojo non è una normale palestra dove chi frequenta si allena secondo finalità proprie, magari seguito da un personal trainer che gli fornisce un programma individualizzato. Il dojo è una “famiglia” guidata dal maestro che, proponendo l’Aikido secondo la sua personale visione, porta le persone verso un obiettivo comune che nella mente di ogni maestro dovrebbe essere molto chiaro e ben definito, sia per quanto concerne la meta finale che per quanto concerne il percorso tecnico e didattico da seguire. Ma l’aspetto tecnico non è l’unico. Altrettanto importante è l’aspetto umano. Il maestro dovrà costantemente vigilare e guidare il gruppo affinché si crei un corretto intreccio di rapporti umani fra lui e gli allievi e gli allievi fra di loro.
In passato si rivolgeva a un maestro di arti marziali chi intendeva prepararsi al meglio per il confronto, cosciente della gravità dell'impegno che si assumeva. Oggi l'addestramento non è più affrontato da chi si senta potenzialmente forte, in grado di affrontare eventualmente il mestiere delle armi e desideroso di impegno. Ma spesso al contrario da chi si sente debole, non all'altezza degli impegni della vita, e ricerca una via che lo guarisca dal suo male interno.
Al giorno d'oggi, forse inavvertitamente, alcuni di noi insegnanti cercano, curano la soddisfazione del praticante. Giusto, necessario: ma il praticante deve essere sereno con sé stesso quando è consapevole di avere utilizzato al meglio, per il bene, le sue energie. Non solo quando ha conseguito un vantaggio materiale, confermato con attestati da mostrare orgogliosamente a sé stesso prima ancora che ad altri.