Cosa sono le arti marziali

Il termine arte marziale non è di origine orientale, ma è nato con ogni probabilità, anche se mancano al momento notizie certe, in occidente. Viene tuttavia adottato da tempo in ogni parte del mondo, oriente compreso, ma con significati differenti ed a volte discordanti a seconda che si privilegi l'aspetto marziale, considerandolo quindi un termine riservato alle discipline di combattimento vero e proprio, o all'aspetto artistico considerandolo di conseguenza un termine più adatto ad indicare le discipline di formazione della persona.

Gli equivoci e gli inconvenienti legati a questa mancata univocità nell'uso del termine arte marziale sono facilmente immaginabil.

Dopo aver dedicato molto tempo e non poche energie allo studio delle origini delle arti marziali giapponesi, della loro evoluzione e delle loro espressioni moderne, ho sentito la necessità di sciogliere questo problema, o perlomeno dare un contributo al suo scioglimento. Ho maturato nel corso dei miei studi la convinzione che sia consigliabile attribuire la definizione di arte marziale alle moderne discipline formative, e non alle antiche discipline di combattimento. Sono perfettamente cosciente che la mia proposta va controcorrente, e tenterò di motivarla e se mi sarà possibile di giustificarla.

 

1 Le discipline del passato

Le antiche scuole di combattimento (koryu) quelle che in passato venivano anche definite jutsu, erano tendenzialmente asservite ad un fine materiale, quello della vittoria sopra l'avversario, ottenuta anche attraverso il suo annullamento fisico. Non potrebbero quindi essere definite arti, ponendosi l'arte per definizione su un livello superiore alla pura necessità o convenienza materiale.

Una seconda osservazione meriterebbe forse - e sicuramente un giorno meriterà - di essere approfondita: le discipline di combattimento richiedono la diligente e incondizionata applicazione di ordini superiori, mentre l'arte, superato il periodo di apprendistato, prevede e anzi spesso richiede di trascendere ogni regola e prescindere da ogni obiettivo terreno.

Mi sembra di conseguenza più opportuno definire "discipline di combattimento" o "discipline marziali" quelle che hanno come scopo primario la supremazia sul campo di battaglia, definire invece "arti marziali" quei metodi che ricercano la padronanza dell'individuo su sé stesso e la sua armoniosa convivenza con gli altri esseri umani e con l'energia dell'universo, richiedendo al praticante non semplicemente di rendersi padrone di un sistema di regole e metodi (jutsu) ma di incamminarsi lungo un percorso di vita (dō).

So naturalmente che tra le antiche discipline non mancano esempi di complessi sistemi formativi, e che quasi tutti i koryu giunti fino ai nostri giorni si sono trasformati nel corso dei secoli in vere e proprie arti. Quindi non intendo assolutamente esprimere giudizi di merito né dare ad intendere che alcuni metodi siano migliori di altri. La vetta è rappresentata, in ogni arte marziale, dal raggiungimento della consapevolezza di sé: il percorso per giungervi sarà quello più congeniale ad ognuno.

Stabilita quindi una prima linea di demarcazione tra discipline marziali ed arti marziali, dovremo ora studiare se queste ultime siano omogenee e riconducibili ad un unico sistema di base o non siano piuttoso a loro volta classificabili in differenti "famiglie". Solo dopo potremo decidere in quali delle possibili alternative classificare l'aikidō .

 

2 Metodologia della pratica delle moderne arti marziali giapponesi

Le arti marziali giapponesi, che si pensa abbiano iniziato a formalizzarsi intorno all’VIII secolo dell’era volgare, si sono tramandate pressoché intatte nei secoli per trasmissione diretta da una generazione all’altra, pur con i necessari adattamenti che un periodo così lungo comporta e richiede. Entrarono in crisi all’inizio dell’epoca Meiji (1868) in concomitanza con la crisi della società che le aveva rese necessarie, generate, portate ad alti livelli e poi preservate. Nacquero gradualmente nuove discipline marziali, meno specificatamente indirizzate alla tecnica di combattimento e maggiormente focalizzate sullo sviluppo della persona del praticante, sia dal punto di vista fisico che da quello mentale e psicologico.

Per contraddistinguere queste nuove discipline da quelle precedenti, di solito denominate metodi - jutsu, da cui bujutsu, kenjutsu, jujutsu [1] e via dicendo - si usò denominarle vie, strade da percorrere – , da cui budō, kendō, judō [2] e lo stesso aikidō [3] che cronologicamente è una delle ultime.

Le arti marziali moderne si potrebbero classificare e suddivere a parere dello scrivente secondo tre differenti metodologie di pratica.

 

2.1 Arti marziali formali

Sono i metodi ove si studia e si pratica a solo, senza alcuna controparte umana ma confrontati continuamente con una tecnica ideale (kata) da riprodurre al meglio, riversando il confronto verso se stessi al fine di migliorare se stessi, in previsione di ogni tipo di confronto ma senza cercare di adattare la pratica alle ipotesi di confronto.

Tipico è il caso dello iaidō, arte in cui si studia l’uso della spada. L’apprendimento è focalizzato sui sistemi di estrazione dell’arma, reazione ad un attacco, rientro dallo stato di conflitto.

Stato nel quale comunque deve essere mantenuta una condizione di totale imperturbabilità e di totale indipendenza dall'ipotetico avversario.

 

 

 

2.2 Arti marziali competitive

Questo secondo metodo, tipico ad esempio del judō e del kendō, prevede e richiede sistemi di verifica oggettiva incentrati su una competizione vincolata a regole e convenzioni [4] e che certifichi l’esistenza di un vincitore e di un vinto.

La competizione viene tuttavia affrontata, perlomeno nelle arti meno contaminate dalla mentalità utilitaristica occidentale che cerca soprattutto la vittoria ad ogni mezzo, senza tatticismi o trucchi del mestiere e con una attitudine tecnica e mentale che rinuncia deliberatamente al difensivismo ed accetta il confronto a pari condizioni con l’avversario, verso cui viene mantenuto comunque un atteggiamento rispettoso.

Per questo nelle arti giapponesi, come del resto in quelle occidentali, viene formalmente rivolto un saluto all’avversario, sia all’inizio che alla fine della competizione. [5]

 

2.3 Arti marziali relazionali

In questo gruppo di arti, di cui probabilmente l’aikidō è l’esponente di maggiore diffusione e maggiore notorietà, si pratica costantemente assieme ai compagni, in coppia od in gruppo (kakarikeiko), alternandosi nelle parti di assalitore e difensore, che di norma prevale ma senza schiacciare od annientare la controparte, adeguando il livello della sua azione al livello di aggressività o pericolosità dell’attacco.

Va sottolineato che l’assenza di controparte dei metodi formali e la ricerca sistematica della supremazia delle arti competitive non sono fattori limitanti o negativi. Rappresentano metodi di lavoro differenti che non sono tuttavia in contrasto con quelli relazionali anzi possono esserne vantaggiosamente complementari. Non è raro infatti che gli insegnanti ed i praticanti avanzati di aikidō scelgano di completare la loro formazione e di integrare il loro continuo addestramento con la pratica di una o più arti governate da metodologie differenti.

Va rimarcato anche che le arti di relazione, che potrebbero essere assimilate ad un linguaggio di comunicazione, dovrebbero essere di conseguenza governate dalle leggi della retorica, che è l'arte della comunicazione tra esseri umani. Ma rimandiamo per ora questo approfondimento e continuiamo ad esporre la tesi di questo scritto.

 

2.3.1    L’aikidō

L’aikidō, appartenente al gruppo disciplinare delle arti marziali relazionali, venne elaborato all’inizio dell’epoca Showa (esattamente a partire dal 1925 circa) avendo come base principale un antico sistema conosciuto come Daito ryu aikijujutsu, di cui si attribuisce la fondazione nel XII secolo a Minamoto Yoshimitsu che codificò un precedente metodo di alcuni secoli anteriore.

Un ramo cadetto della famiglia Minamoto, i Takeda, stabilitosi nella regione di Aizu, continuò ininterrottamente fino ai nostri giorni a coltivare l’arte e Ueshiba Morihei fu discepolo di Takeda Sokaku (1859 -1943), caposcuola del Daito ryu.

Il fondatore dell’aikidō, il grande maestro (o sensei) Morihei Ueshiba era originario di Tanabe ove nacque nel 1883 e si trasferì a Tokyo sul finire degli anni 20 del XX secolo per diffondere la sua arte. Ancora oggi a Tokyo si trova la Scuola Centrale (Hombu Dojo) dell’aikidō, ove ha sede anche lo Zaidan Hojin Aikikai: Fondazione Culturale dell’Associazione dell’Aiki. E’ all’inizio degli anni 40, nel pieno del suo coinvolgimento come consigliere del governo Giapponese, allora al massimo del suo  impegno bellico, che Ueshiba Morihei divenne cosciente della necessità di differenziare esplicitamente l’aikido dalle arti calibrate sul combattimento.

 

3. Conclusioni

 

Studiando le preziose reliquie dei tempi passati rappresentate dai koryu osserviamo che il processo di trasformazione da disciplina di combattimento a disciplina marziale non si è concretizzato solamente nella creazione di nuove arti, ma anche nella trasformazione, concettuale e non meramente tecnica, dei koryu.

E' quindi ancora più necessario l'utilizzo di una terminologia rigorosa, in quanto non ci vengono in soccorso per sciogliere i nostri problemi di ricerca di una metodica né l'appartenenza formale delle discipline al sistema jutsu o , né l'epoca della loro creazione. Allo scrivente sembra possibile porre termine a questi equivoci dovuti all'uso di terminologia non univoca utilizzando quella che viene proposta nello scritto che avete avuto la cortesia di prendere in esame.

Accettando questa premessa è inevitabile concludere che l'aikidō è una arte marziale, così come lo sono discipline apparentemente molto lontane come filosofia, ad esempio judō o iaidō ma accomunate da un obiettivo comune, perlomeno quando non sfigurate da interpretazioni troppo moderne: la ricerca del'azione giusta, in armonia con le leggi della natura e dell'universo, e già solo per questo necessariamente vincente.

 


[1] Rispettivamente metodo del guerriero, metodo di spada, metodo di adattabilità da cui poi derivarono via del guerriero, via della spada, via dell’adattabilità.

[2] Questa scissione tra arti tecniche (jutsu) ed arti formative () è storicamente corretta, ma non si deve credere che ogni componente etica sia assente dalle arti del jutsu, né che basti la semplice denominazione a classificare l’appartenza all’uno o all’altro gruppo, o la prevalenza dell’uno o dell’altro metodo.

[3] Non sono poche in ogni caso le arti marziali storiche pervenute integre fino ai nostri giorni: tra le discipline di spada più legate per ragioni varie al mondo dell’aikidō sia il Kashima Shinto ryu che l’Itto ryu risalgono al XVI secolo, mentre il Daito ryu aikijujutsu, su cui si basa nucleo tecnico dell’aikido venne formalizzato addirittura nel XII secolo ma risale a circa 4 secoli prima.

[4] Per esempio nel judō, disciplina competitiva che non prevede uso di armi e in cui si cerca di proiettare o immobilizzare al suolo l’antagonista, la proibizione delle leve articolari al polso o alla spalla per limitare il pericolo di incidenti. Nel kendō, scherma giapponese, vengono indossate protezioni e viene utilizzata una una spada flessibile in lamina di bambu al posto di quella in legno di quercia adoperata per le antiche competizioni di kenjutsu. I bersagli validi sono limitati a 4 punti specifici ove si indossano le protezioni. La pur indispensabile adozione di queste precauzioni limita fortemente il realismo di queste competizioni ed impedisce che vengano considerate probanti terreni di prova per combattimenti reali.

[5] Va comunque notato che queste formalità sono presenti anche nelle specialità agonistiche occidentali che maggiormente si avvicinano alle arti marziali, come ad esempio la scherma, e che se ne è avvertita recentemente la necessità anche in altri sport, come ad esempio la pallavolo o più recentemente il calcio, introducendo dei rituali informali, ci si perdoni la contraddizione in termini, in cui i contendenti si salutano prima dell’inizio della tenzone e si riconciliano al termine.