Haru: Primavera
Sodô
(1641-1716)
Yado no haru
nanimo naki koso
nanimo are
Primavera
nella mia capanna
non c'è nulla e c'è tutto
kigo:
yado no haru: lett. “primavera della mia capanna” (yado: “alloggio”);
nani-mo naki ... nani-mo are: “nulla” ... “tutto c’è”
Dietro l’assoluta povertà delle cose, oltre l’apparente nulla, palpita l’inesauribile ricchezza del cuore.
Il componimento esprime in modo luminoso uno dei sentimenti più alti e profondi dell’anima giapponese e del poeta di haiku in particolare: sabi, la serena, distaccata solitudine; la semplicità del cuore raggiunta attraverso la semplificazione dei bisogni, mediante l’ordinamento della vita attorno a un Centro vivente che coincide col Cuore del mondo e del tempo.
Bashô
(1644-1694)
Saki midasu
momo no naka yori
hatsu-zakura
Tra fiori di pesco
che sbocciano ovunque
il primo fior di ciliegio
kigo:
hatsu-zakura “primo (hatsu) fior di ciliegio”
Il primo fiore di sakura che sboccia fra la moltitudine di fiori di pesco esprime una distinzione aristocratica che ricorda quella cui allude il vecchio adagio: Hana wa sakura gi hito wa bushi, “Tra i fiori il ciliegio fra gli uomini il guerriero”.
Bashô
Fuku tabi ni
chô no inaoru
yanagi kana
A ogni soffio di vento
volteggiar di farfalle
tra i rami di salice
kigo:
chô, “farfalla”
Nao mitashi
hana ni akeyuku
kami no kao
Ancora vorrei veder
tra i fiori all'alba vagare
il volto del dio
nao: “ancora una volta”; mitashi (mitai): forma ottativa
Per un attimo solo, che vive intatto nel ricordo, il poeta ha visto, tra i fiori dell’alba, la manifestazione, “il volto del dio”: kami no kao. Di quale dio? Del genio del luogo o dell’albero? Non è necessario saperlo, né il poeta lo dice. Kami significa anche “divino”, esprime ciò che è sacro e da cui il sacro si manifesta.
Ciò che Bashô ha visto, per un attimo solo che neppure appartiene al tempo ordinario, è l’eternità radiante dell’Essere, il “corpo di gloria” del Buddha nei fiori dell’alba e vorrebbe coglierla di nuovo, vederla ancora (nao mitashi) tra i fiori di un’altra alba di primavera. Il sentimento che anima questo haiku è yû-gen: il sentimento che si prova dinanzi al subitaneo balenare del mistero nascosto dietro l’apparenza delle cose.
Yû significa, in cinese, “quieto”, “profondo” e gen significa “nero”, “misterioso”, “nascosto”. “La bocca vorrebbe parlare ma le parole scompaiono. La mente vorrebbe comprendere ma i pensieri svaniscono.” (Zenrinkushu)
Bashô
Kiri-shigure
Fuji wo minu hi zo
Omoshiroki
C'è nebbia e piove
il Fuji non si vede
oggi è un buon giorno
kigo:
kiri-shigure, “nebbia-piovasco primaverile”
Sembra quasi di vedere il poeta pronunciare queste parole mentre apre la finestra al mattino.
E tornano alla mente altre sagge parole: “Se il cuore non è in balia dei venti di tempesta, dovunque s’innalzano azzurre montagne e s’estendono cieli sereni” (Saikontan, 291)
Onitsura
(1660-1738)
Ara ao no
yanagi no ito ya
mizu no nagare
Come sono verdi
i penduli rami del salice
sull'acqua che corre
kigo: yanagi hito “i fili (hito) del salice (yanagi)”; ara ao no: lett. “del (no) [salice] intensamente (ara) verde (ao)”
Jôsô
(1661-1704)
Matsu-kaze wo
uchikoshite kiku
kawazu kana
Odo la brezza
correr tra i pini
fra canti di rane
kigo: kawazu “rana/e”
Mokudô
(1666-1723)
Harukaze ya
mugi no naka yuku
mizu no oto
Vento di primavera
corre fra campi d'orzo
murmure d'acque
kigo:
haru-kaze, “vento di primavera”;
mugi no naka: lett. “fra l’orzo”;
mizu no oto: lett. “suono (oto) d’acqua”
La primavera è resa magistralmente con solo tre elementi caratterizzanti: il vento; i campi d’orzo verdeggianti; il suono dell’acqua che corre.
Buson
(1715-1783)
Kusa kasumi
mizu ni koe naki
higure kana
Erbe nebbia
fra acque silenti
il tramonto
kigo:
kasumi “nebbia”;
mizu ni koe naki: lett. “fra (ni) acque (mizu) senza suono (koe naki)”;
higure (hi-kure): “tramonto”
Un pallido sole velato dalle nebbie si perde oltre immobili distese di erbe solcate da acque che scorrono senza rumore. Si avverte, soffuso sulle cose, il sentimento di nostalgia (mono no aware) indotto nel poeta dalla sera che scende sui campi ponendo fine a un altro giorno.
Allo stesso tempo, si sente la sensazione di solitudine (sabi) e di quiete, accentuata efficacemente dall’assenza di verbi. Sabi è anche il silenzio della mente e la quiete silenziosa del cuore che permette di cogliere il significato riposto nelle cose e nei fenomeni della natura, il tralucere dell’inesprimibile.
Buson
Hashi nakute
hi bossen to suru
haru no mizu
Non c'è ponte
il giorno è finito
acqua di primavera
kigo:
haru no mizu: "acqua di primavera"
Si fa notte. L’ora e l’assenza del ponte rende impossibile il guado. Solo allora, costretto a fermarsi, il poeta accetta gli eventi e, nella quiete della sera, s’accorge del sussurrante splendore dell’acqua che corre portando con sé primavera.
Vi è una storia zen che illustra una situazione simile: qualcuno, inseguito da una tigre, fuggendo si trova sul bordo di un precipizio.
Mentre la tigre ringhia minacciosa sopra di lui e sotto si spalanca l’abisso, persa ormai ogni possibilità di risalire o scendere, il fuggiasco si aggrappa ad un appiglio e vede, dinanzi a sé una piantina di fragole. Ne coglie una, l’assapora ed esclama: “Quant’è buona!”
Issa
(1763-1827)
Uguisu ya
gozen e detemo
onaji koe
L'usignolo canta
dinanzi a sua maestà
lo stesso canto
kigo:
uguisu, "usignolo"
In giapponese makoto è la sincerità e la fedeltà alla propria natura ed alla natura delle cose. Il canto dell’uguisu, che s’effonde liberamente dal cuore, è immagine poetica della virtù più cara all’etica del Giappone tradizionale: makoto, leale espressione di verità attraverso l’espressione della propria natura. Si narra che un maestro zen, famoso per la sua saggezza e santità, mentre si accingeva a pronunciare un sermone dinanzi ad una moltitudine di monaci convenuti d’ogni parte per ascoltarlo, sostò lungamente in ascolto del canto dell’uguisu.
Quando l’usignolo terminò il suo canto, il maestro s’inchinò verso i suoi monaci e si accomiatò dicendo che il sermone era terminato e che, da parte sua, egli non avrebbe saputo aggiungere altro.
Issa
Asagao no
hana de fuitaru
iori kana
La mia capanna
è ricoperta
da convolvoli in fiore
kigo:
asagao, "convolvoli" (lett. "volto del mattino")
Povertà materiale che s’ammanta di gloria ad ogni nuova primavera; povertà della mente in cui sbocciano i fiori del Risveglio, in cui rifulge la radiosa ricchezza dello spirito: il Corpo di Gloria del Buddha.
Issa
Yû-zakura
kyô mo mukashi ni
nari ni keri
Ciliegi sul far della sera
anche quest'oggi
è diventato ieri
mukashi: lett. “tempo passato”
Contemplando i ciliegi fioriti, sul far della sera, il poeta avverte la caducità della vita, l’inesorabile legge del tempo che tutto travolge, sentimento che ogni anima sensibile prova e che il giapponese rende con mono-no aware: “compassione” (aware), per ogni cosa e creatura. Allo stesso tempo, però, anche senza esprimerla con le parole, percepisce l’eternità nella fragile bellezza dei fiori e nello scorrer del tempo, come solo il saggio e il poeta sanno percepirla.
Kyôshi
(1874-1959)
Saezuri
takamari owari
shizumarinu
Un canto d'uccello
s'innalza svanisce
silenzio
kigo:
saezuri, “gorgheggio”;
takamaru: “innalzarsi”;
owaru: “finire”
Haiku di rara armonia, la sua dimensione più profonda è il silenzio da cui il canto sembra prorompere per poi essere riassorbito in esso. E, come un canto d’uccello che sgorga improvviso rompendo il silenzio, anche lo haiku nasce dal silenzio per tornare al silenzio dopo solo diciassette sillabe.
Il sentimento, espresso intensamente, è lo yûgen, lo stupore sacro dinanzi al profondo mistero sottinteso ad ogni cosa e ad ogni manifestazione della natura. “Il vecchio pino stormisce la divina saggezza. L’uccello nascosto nel bosco canta l’eterna armonia.” (Zenrinkushu).