Troviamo nel film di Kurosawa le stesse squallide periferie surrealmente deserte e gli stessi inimmaginabili affollamenti sui mezzi pubblici, gli stessi acquitrini putridi.
La stessa disperata e vana ricerca di dignità formale per sfuggire alla miseria morale della società.
Fin troppo facile osservare che situazioni simili, Roma e Tokyo che tentano di ritornare alla vita dopo essere passate per una guerra che ha tolto loro la dignità e il senso della vita, debbano avere effetti simili, e che Kurosawa può avere avuto indipendentemente da De Sica una ispirazione simile.
I riferimenti sono però troppi, e troppo precisi anche se a volte sarcasticamente depistanti, per pensare a semplici coincidenze.
Basti pensare al ladro di De Sica vestito in panni militari e con un berretto dell'esercito tedesco: Kurosawa fa indossare al suo poliziotto, per esigenze di travestimento, una tenuta militare altrettanto male in arnese e con un berretto praticamente identico.
Lo sgomento sul volto di Maggiorani quando si accorge del furto della bicicletta o quando insegue vanamente il ladro è lo stesso che leggiamo nel volto ugualmente pulito ed onesto di Mifune che si guarda intorno sconvolto e smarrito dopo avere anche lui perso le tracce del ladro in luoghi desolati quanto ostili.
In Ladri di biciclette vediamo Ricci girovagare per uffici stracolmi di scartoffie tentando di giustificarsi per aver subito un torto che che si trasforma in una sua mancanza di fronte a burocrati tendenzialmente umani eppure impotenti a sottrarsi alle regole del sistema.
In Cane randagio rivediamo Murakami esattamente nelle stesse circostanze e con gli stessi atteggiamenti che aveva Ricci.
E tutti e due li troviamo spesso senza alcun riparo sotto la pioggia dirompente, simbolo della inermità dell'essere umano di fronte al degrado, impegnati in corse affannose quanto vane.