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Akira Kurosawa: Ran

1985

Tatsuya Nakadai, Akira Terao, Jinpachi Nezu, Daisuke Ryu, Mieko Harada, Yoshiko Miyazaki, Peter

Se nelle opere gendai Aikira Kurosawa aveva a più riprese dato sfogo ad un pessimismo senza rimedio, in quelle jidai si era sapientemente tenuto in equilibrio tra storie marcate da profonda delusione verso il genere umano ma in cui il male trovava sempre la sua punizione (Rashomon o Il trono di sangue per fare solo due esempi) ed altre sia pure venate da un velo di malinconia, talvolta da aperto cinismo, in cui era il bene a trionfare (I sette samurai, La fortezza nascosta, Yojimbo, Sanjuro).

Nelle opere tarde Kurosawa sembra voler caricare volutamente i toni e i chiaroscuri, come in molte opere di Caravaggio, lasciandoci due capolavori come Kagemusha e Ran: non facili, non gradevoli, ma che lasciano sicuramente tracce profonde in ogni spettatore. L'impatto visivo è di per se sconvolgente: nessuno aveva mai rappresentato sullo schermo in modo così realistico l'orrore, affascinante orrore, delle guerre feudali, guerre che pure erano infinitamente più "a misura d'uomo" di quelle moderne.

La guerra è presente già nel titolo, Ran: questa parola signifca generalmente confusione, ma anche guerra civile o guerra fratricida, ed effettivamente Kurosawa ci presenta la storia di una guerra. I fratelli Ichimonji si dilaniano assieme ai loro seguaci per ereditare il potere del padre Hidetora, vecchia tigre che ha spietatamente lasciato il suo segno sanguinoso ovunque è passato.

Hidetora Ichimonji presenta se stesso in uno dei magici incipit di Kurosawa - tanto più sorprendente in quanto per la prima volta i personaggi sono perfettamente immobili, in attesa di qualcosa che diverrà chiaro solo dopo, a cavallo in un paesaggio idilliaco e allo stesso tempo selvaggio ed inquietante, ben poca cosa rispetto alla maestosità della natura; eppure pieni di se e concentrati su di se. Autoironicamente Hidetora si paragona al  vecchio cinghiale cui ha appena dato la caccia, troppo vecchio ed indigesto per essere un buon boccone, per interessare a qualcuno. E annuncia il suo ritiro per lasciare il potere al figlio Taro (Akira |Terao), che dovrà essere fedelmente assistito dai fratelli Jiro (Jinpachi Nezu) e Saburo (Daisuke Ryu).

Kurosawa si ispira ancora una volta per questa opera all'occidente: la trama gli è fornita da Shakespeare col suo Re Lear, l'ambientazione dalla saga giapponese del nobile Mori, che aveva tre valorosi figli a ognuno dei quali consegnò una freccia chiedendogli di spezzarla, cosa che fecero con facilità irrisoria. Rimanendo però colpiti dalla impossibilità di spezzare un fascio di tre frecce riunite, come venne loro richiesto immediatamente dopo. Riflettendo sulla leggenda, Kurosawa cominciò a chiedersi come sarebbe andata a finire se i tre fratelli non fossero stati valorosi, concordi e leali? Sarebbe bastato l'esempio mostrato loro dal padre? E fu così che Kurosawa iniziò la preparazione dell'opera che poi divenne Ran.