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A Mauro, cui non ho potuto dare la gioia di rivivere assieme questa epopea.

 

Hiroshi Inagaki: Miyamoto Musashi
1954-56
Toshiro Mifune, Rentaro Mikuni, Kaoru Yachigusa, Koji Tsuruta

Hiroshi Inagaki (1905-1980), per quanto non abbia raggiunto in occidente la notorietà di Akira Kurosawa, ha avuto un percorso artistico simile.

 

Talento precoce, diresse la sua prima opera a 22 anni ancora all'epoca del cinema muto ed ha influenzato sia Kurosawa che Mizoguchi, giunti a maturità dopo di lui. Riscosse allori negli anni 50, prima proprio con Musashi che venne premiato con l'Oscar e poi con L'uomo del ricsciò che vinse il Leone d'oro a Venezia. Dopo, una prematura eclissi.

Il seguito della carriera di Inagaki fu infatti controverso, non tanto o perlomeno non solamente per il mancato apprezzamento delle opere successive da parte del pubblico ma soprattutto per l'ostracismo nei suoi confronti.  Veniva considerato portabandiera di un modo di fare cinema definitivamente sorpassato, troppo dispendioso e non più ricercato dal pubblico, i cui gusti erano mutati. Il forzato silenzio dei suoi ultimi anni è dovuto alla mancanza di commesse da parte degli studi di produzione.

Nel 1954 tuttavia la trilogia Samurai, che portava sullo schermo il romanzo Musashi di Eiji Yoshikawa che aveva affascinato milioni di lettori nell'anteguerra, ebbe vasta risonanza.

Fu l'archetipo cui poi fecero riferimento - e lo fanno ancora - le numerose altre versioni cinematografiche della avventurosa vita del grande guerriero solitario Miyamoto Musashi.

Come detto stiamo trattando di una trilogia, uscita nelle sale nel corso di tre anni, dal 1954 al 1956. Non viene ripreso tuttavia tutto quanto contenuto nel lungo romanzo di Yoshikawa (la versione italiana, che pure sfiora le 1000 pagine, è ridotta).:

La prima parte tratta del tormentato percorso di crescita di Takezo (il nome che ebbe alla nascita Musashi), incapace di controllare la sua prorompente energia e di indirizzarla verso un percorso di vita preciso.

Takezo (Toshiro Mifune) lo troviamo sull'alto di un albero, assieme all'amico inseparabile Matahachi (Rentaro Mikuni) intento ad ammirare il passaggio dei soldati che si recano al fronte, ove combatteranno la grande battaglia di Sekigahara. Ci troviamo dunque nell'autunno del 1600. I due decidono immediatamente di unirsi alle truppe. Matahachi promette alla sua promessa sposa, Otsu, di tornare da lei carico di gloria.

Mancano informazioni sicure, ma sembra che effettivamente Musashi, che aveva all'epoca probabilmente 17 anni, abbia combattuto a Sekigahara nell'armata dell'Ovest, destinata ad essere sconfitta da Tokugawa Yeyasu: il futuro shogun, dominatore del Giappone e capostipite di una dinastia che governò per 265 anni, dando il suo nome a questa lunga epoca di pace, prosperità e crescita culturale.

Certamente la realtà della battaglia è molto diversa da quanto immaginato da Takezo e Matahachi vedendo sfilare in file interminabili gli orgogliosi guerrieri dei tanti feudi che parteciparono al sanguinoso scontro.

Dobbiamo osservare per l'ennesima volta come lo straordinario talento di Mifune lo rende credibile in ogni personaggio, specialmente quelli un po' fuori dalle righe, con una vena di follia come il giovane, ingenuo, entusiasta ed irruento Takezo. 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mifune ha passato da molto la trentina quando impersona Takezo, ha oltrepassato anche l'età in cui Musashi, vinto il suo ultimo duello, si ritirò dai combattimenti, ed onestamente questo si nota.

Eppure impersona perfettamente il personaggio di un giovane impetuoso e tendenzialmente ottimista, che vede in una tragica guerra solo l'occasione per poter realizzare i suoi sogni divenendo samurai.

La sceneggiatura in questo ritratto di Takezo pecca un po' di verosimiglianza: per quanto le notizie sulla sua vita siano frammentatie e contraddittorie sappiamo dalla sua autobiografia che non solo era già per nascita di  lignaggio samurai ma che combattè vittoriosamente il suo primo duello ancora adolescente, all'età di 13 anni, contro Arima Kihei della prestigiosa scuola Shintô ryu.

 

 

Le illusioni di Takezo e Matahachi svaniranno nel fango di Sekigahara, dove hanno solo scavato trincee sotto una pioggia incessante, per poi essere travolti dalla fuga dell'armata dell'Ovest in rotta, senza aver nemmeno compreso quello che succedeva intorno a loro.

Takezo in un impeto di inutile ribellione ha rifiutato di unirsi alla fuga ed ha combattuto disperatamente.

La fine della battaglia trova ancora miracolosamente vivi sia lui che Matahachi, ferito.

Sono oramai dei perdenti, degli sconfitti, condannati a darsi alla macchia per non essere passati per le armi dai vincitori.