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Diverse circostanze favorevoli erano presenti contemporaneamente in quella fredda notte innevata. Il gruppo dei fedelissimi si era trasferito alla spicciolata a Edo, rimanendovi nascosto finché non fosse arrivato il momento della chiamata.

Ognuno aveva conservato le armi personali, ma procurandosi nel frattempo altro materiale, evitando quando possibile di acquistarlo per non attirare l'attenzione.

Oishi aveva stabilito che il gruppo dopo essersi dato convegno in un punto prestabilito si sarebbe recato compatto verso la residenza di Kira, ancora sorvegliata e presidiata da uomini armati, per quanto il livello di guardia fosse ormai notevolmente calato.

Nella stampa di Kuniyoshi il samurai  che trasporta l'otsuchi, la grande mazza utilizzata dai pompieri per abbattere porte e pareti, è forseYasubei Horibe figlio di Yahei, il più anziano del gruppo. I due sono raffigurati anche in una stampa di Kunisada.

 

 

 

 

 

 

 

Dovevano apparire quindi come un gruppo di pompieri di ronda: i reparti di pompieri erano armati e rivestivano per proteggersi dal fuoco armature ed elmi di cuoio. Per quanto confezionate alla buona le divise dovevano apparire abbastanza credibili alla incerta luce delle lanterne.

Naturalmente erano muniti di scale, uncini, e quanto altro poteva servire per forzare le abitazioni.

Nella foto, proveneinte dal sito Samurai Archives e scattata al Tempio Oishi, vediamo una armatura in cotta di maglia appartenuta ad Oishi Kuranosuke.

E' probabilmente quella indossata la notte dell'assalto, celata sotto l'uniforme da pompiere.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I cospiratori avevano una pianta accurata della residenza: uno dei ronin era arrivato al punto di sposare la figlia dell'architetto che l'aveva progettata, pur di avere accesso alle informazioni.

Erano divisi in due gruppi, che comunicavano attraverso segnali emessi da fischietti.

Il gruppo più numeroso si schierò davanti alla porta principale, il secondo, comandato da Yoshikane Oishi che aveva all'epoca 16 anni, davanti a quella posteriore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il segnale di attacco venne dato da Oishi con un tamburo.

Il primo gruppo aveva l'incarico di sfondare la porta, sembra però che qui il maglio fosse manovrato dal giovane Ohotaka Genjo e non da Horibe, forse posizionato sul retro.

Contemporaneamente altri penetravano oltre il muro utilizzando le scale.

Il grosso del gruppo attendeva la forzatura delle porte per penetrare in massa nell'edificio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nell'attimo in cui venivano vibrati i primi colpi di maglio dei messaggeri partivano verso le dimore vicine per avvertire di quanto stava succedendo.

Uno dei samurai, salito sul tetto, annunciava intanto ad alta voce l'azione a chiunque fosse in ascolto, precisando che si trattava di un katauchi, la doverosa vendetta da parte di un gruppo di samurai intenzionato a vendicare il proprio onore oltraggiato, e non di una volgare rapina. Inoltre ognuno dei ronin portava indosso uno scritto in cui venivano ricapitolate le loro ragioni e dei cartelli vennero affissi per le strade.

Nessuno dei vicini intervenne o avvertì le autorità. Si dice che in una delle dimore adiacenti fosse presente un folto gruppo di guardia incaricato di tutelare la sicurezza di Kira, ma che il loro comandante abbia solidarizzato con gli aggressori ordinando ai suoi uomini di ignorare le grida ed il tumulto che provenivano dalla casa assaltata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I ronin, pesantemente armati e perfettamente organizzati, ebbero facilmente ragione di ogni resistenza: uccisero 16 delle guardie del corpo di Kira e ne ferirono 22, senza praticamente subire perdite. I superstiti, gli inservienti e le donne di servizio vennero rinchiusi e tenuti sotto controllo.

La stampa di Kuniyoshi rappresenta il ronin Kadono, armato di uno yarite (lancia corta) e protetto dall'armatura, mentre affronta la guardia del corpo Iwata.

I nomi, foneticamente vicini a quelli reali ma deformati per  accreditare la tesi che si trattasse di un'opera di fantasia sfuggendo così alla censura delle autorità shogunali, provengono da una delle tante versioni del Chushingura.

Come possiamo vedere tutti i più grandi artisti giapponesi si cimentarono, e ripetutamente, nella illustrazione delle gesta dei 47 ronin.

Ben presto i due gruppi si ricongiunsero all'interno della casa, di cui avevano ormai il pieno controllo.

Non vi era però alcuna traccia di Kira.

 

 

 

 

 

 

 

Dopo lunghe ricerche venne finalmente trovato nascosto in una legnaia, assieme ad alcune donne e a due uomini armati che tentarono una reazione ma vennero presto abbattuti.

L'uomo più anziano che avevano invano cercato di proteggere venne facilmente disarmato del wakizashi.

Nessuno era certo della sua identità, l'uomo rifiutava di dichiararsi, venne comunque fatto il segnale convenuto per il ritrovamento di Kira.

Oishi si convinse della sua identita illuminandone il volto con una lanterna: aveva ancora ben visibile la cicatrice del colpo infertogli da Asano.

Rivolgendosi a lui rispettosamente, gli rese note la sua identità e le motivazioni dell'assalto, ossia la vendetta per la morte oltraggiosa causata al signore del feudo.di Ako e la susseguente rovina della casata.

Propose poi a Kira di darsi onorevolmente la morte, utilizzando la stessa lama con cui aveva compiuto seppuku Asano. Sembra che Kira, in preda al panico, non sia stato in grado di rispondere.

A quel punto Oishi lo uccise immediatamente, per poi decapitarlo.

 

 

 

 

 

 

Rimaneva ancora da compiere una parte molto importante del rituale della vendetta: recare la testa di Kira sulla tomba di Asano, nel quartiere di Sengakuji presso l'omonimo tempio.

Il gruppo riprese quindi l'ordine di marcia ed abbandonò la casa, avendo cura di spegnere tutti gli incendi sviluppatisi durante la breve ma cruente battaglia, per evitare che il fuoco si estendesse

Lungo il percorso furono loro tributate molte manifestazioni di stima.

Passando davanti alla dimora del signore Matsudaira vennero fermati da un posto di blocco.

Dapprima allarmati, ebbero la piacevole sorpresa di essere invitati dal corpo di guardia a riposarsi per un poco e ad accettare di rifocillarsi prima di riprendere il cammino.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mentre attraversava il ponte di Ryogoku il reparto trovò invece la strada sbarrata da un samurai a cavallo, con lo stemma dello shogun sull'uniforme. Non erano in uso in realtà vere e proprie uniformi, ma l'abbigliamento seguiva canoni precisi nella stampa infatti l'artista ha rappresentato il samurai nella tenuta formale detta kamishino. La presenza del mon dei Tokugawa sull'aori, la sopravveste dalle ampie spalline, toglieva infine ogni dubbio.

Il rispetto per l'autorità dello shogun era tale che un solo uomo avrebbe potuto arrestare senza dover fare uso della forza l'intero gruppo.

L'ignoto samurai si dimostrò però solidale con i ronin: diede loro ordine di passare e di proseguire il cammino per le strade che lui avrebbe indicato, dove non avrebbero trovato altri ostacoli.

Per questo, come per altri episodi, è difficile giudicare se siano storicamente provati o non piuttosto rielaborazioni di racconti o dicerie. E' comunque uno dei pezzi più apprezzati del Chushingura, il dramma  ricavato dalla tragedia reale non solo rappresentato a teatro ma illustrato in vari album a stampa che non cessavano di essere pubblicati.

La stampa a lato, opera del grande Ando Hiroshige (particolare), proviene dalla prima delle cinque serie da lui dedicate al Chushingura, pubblicata nel 1836.

 

 

 

 

 

Arrivati finalmente a destinazione i 47 ronin lavarono accuratamente la testa di Kira presso un pozzo (la stampa lo rappresenta nelle condizioni in cui si trovava nel 1871), per poi deporla sulla tomba del loro signore.

Terminata la cruenta cerimonia la testa venne consegnata ai sacerdoti, che in seguito la resero ai familiari.

I samurai lasciarono al tempio anche una offerta in denaro, consistente in tutto quello che era loro rimasto.

Sapevano infatti che non ne avrebbero più avuto bisogno.

Avevano già deciso da tempo che si sarebbero consegnati alle autorità attendendo di essere giudicati. Vennero divisi in quattro gruppi, affidati alla custodia di altrettanti nobili.