Gendai
Akira Kurosawa - 1949
Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Chieko Nakakita, Miki Sanjo
Come spesso nelle opere di Kurosawa, è un insistente ed inquietante rullo di tamburi che accompagna le immagini di apertura del film, mentre scorrono gli ideogrammi dei titoli di testa.
E, come spesso in altre opere, è una pioggia incessante che introduce l'azione.
Ci troviamo nel 1944, nei territori occupati dalle forze giapponesi durante la seconda guerra mondiale.
Gli edifici che vengono illuminati attraverso la pioggia dai fari dei camion sono chiaramente costruiti in fretta e furia.
Si tratta di un ospedale di fortuna, dove si accalcano per ogni dove soldati feriti che hanno necessità di cure ma devono attendere che ci si sia occupati di quelli più gravi.
La pioggia non risparmia nemmeno l'interno delle improvvisate baracche, dove gli nfermieri vanno e vengono curvi sotto il peso delle barelle.
Due uomini con il camice dei dottori giacciono sfiniti appoggiandosi ad una parete.
Uno di loro cerca di recuperare le forze nervose, è evidente che di energie fisiche gliene rimangono poche, fumando una sigaretta.
L'altro non riesce a fare nemmeno quello, sembra completamente svuotato di ogni energia.
E' il dottor Kyoji Fujisaki (Toshiro Mifune), che cerca di recuperare quanto può prima di una difficile operazione.
Il caldo asfissiante, nonostante la pioggia che cade dappertutto anche all'interno della sala operatoria, l'assistenza di personale digiuno di medicina, il continuo arrivo di nuovi feriti, lo stanno riducendo all'estremo delle forze.
L'operazione che lo attende oltre ad impegnarlo fino allo spasimo cambierà il suo destino.
Le condizioni di lavoro sono proibitive come detto, la luce è scarsa e il caldo opprimente.
Per poter portare a termine il lavoro Fujisaki decide di liberarsi dei guanti e continuare a procedere nell'operazione a mani nude.
Si sta avviando ormai verso la fine, portando a termine la sutura della ferita.
Forse è per un momento di disattenzione dato dalla vicinanza del traguardo, forse per la stanchezza, che commette l'errore che lo perderà.
Lascia sul tavolo degli strumenti un affilatissimo bisturi nella posizione sbagliata, con la lama rivolta verso l'esterno. Basta un gesto affrettato, un attimo, per tagliarsi.
Fujisaki si rende immediatamente conto che la ferita rappresenta un grave pericolo.
In quelle condizioni igieniche il pericolo di infezione è elevatissimo, la presenza di una ferita lo rende quasi una certezza.
Non ha però posibilità di fare nulla: si fa sommariamente disinfettare la ferita e porta a termine l'operazione.
Richiederà un'altra ora, durante la quale la sua ferita rimarrà costantemente esposta ai rischi dell'ambiente e a contatto con il sangue del paziente.
Nonostante tutto la difficile operazione è riuscita.
Il soldato sopravviverà, ed è stato portato in un'altra parte dell'improvvisato ospedale.
Fujisaki lo cerca, deve fargli una domanda molto importante per lui: se è vero che è contagiato dalla sifilide.
Il soldato conferma.
Fujisaki sa ora che le probabilità di essere stato contagiato sono talmente elevate da non lasciare spazio alla speranza. Ordina immediatamente una analisi del suo sangue, ma la risposta non potrà arrivare subito.
Quando infine il responso arriva, è solo per via indiretta attraverso la reticenza e l'imbarazzo dell'assistente Origuchi: ancora dopo due settimane continua a negare che siano arrivate le analisi.
E' chiaro invece allo sfortunato dottore che sono arrivate, e con un responso che gli suona come una condanna: quella insignificante ferita ha già cambiato, tragicamente, la sua vita.
In un ospedale da campo disperso in mezzo alla giungla non dispone di alcuna medicina che possa intervenire in tempo per arrestare il contagio, e i feriti che continuano ad arrivare in continuazione richiedono la precedenza su ogni altra cosa.
La giornata, che sembra alludere alla imminente fine della guerra attraverso l'immagine di un soldato che suona serenamente il suo flauto alle prime luci dell'alba, si è tuttavia aperta per Fujsaki all'insegna dell'orrore.
La contaminazione con una malattia che genera repulsione e che si contrae attraverso rapporti promiscui e mercenari annienterà sicuramente i suoi progetti di vita.
Bastano a Kurosawa pochi tratti impressionistici per informarci che l'azione si sposta ora nell'immediato dopoguerra; la scritta in sovraimpressione appare superflua.
Le solite periferie degradate in cui si immagina che solo esseri umani degradati possano vivere, i soliti acquitrini melmosi, i soliti segni nonostante tutto di una ricostruzione febbrile, del desiderio di ritornare quanto prima ad una vita normale.
Del resto l'opera è del 1949, nel pieno di quel periodo, in cui si cominciava ad intravedere solamente la luce, all'uscita del lungo tunnel in cui la guerra aveva immerso gran parte del mondo.
Ci troviamo ora all'interno di un ospedale ginecologico.
Nessuna traccia per il momento del dottor Fujisaki: sarà attraverso l'azione del "coro" che apprenderemo gradualmente che ne è stato di lui dopo la terribile rivelazione.
Un poliziotto appena entrato scambia alcune parole con una donna, evidentemente ricoverata.
Sembra che l'abbia salvata da un tentativo di suicidio.
Lei è incinta, ma non ne sembra particolarmente felice ed è l'apprendista infermiera Rui Minegishi (Noriko Sengoku).
In un film di Kurosawa è inevitabile che lo spettatore preveda di veder sbucare sullo schermo presto o tardi Takashi Shimura.
Gli rimangono la curiosità di scoprire in quale ruolo verrà utilizzato e la certezza che sarà inappuntabile e credibile, per quanto inedita possa essere la sua caratterizzazione.
Impersona Konosuke Fujisaki, padre di Kioji e proprietario della clinica.
E' intento ad un difficile colloquio con Misao (Miki Sanjo), l'ex fidanzata di Kioji. Questi ha deciso di rompere il fidanzamento, dopo 6 anni tra cui la lunga attesa del periodo bellico, senza dare alcuna spiegazione. Lei non riesce a spiegarsi come la guerra possa cambiare così una persona.
In realtà Kioji Fujisaki non è cambiato, o perlomeno non in peggio. Ne ha accennato Kurosawa in una breve sequenza precedente, in cui lo mostra al termine di una difficile operazione discutere con i parenti del malato, rassicurandoli che il loro congiunto verrà curato anche se non fossero in grado di far fronte all'onorario.
Lo stesso Konosuke ci viene mostrato come una sorridente figura paterna, sempre preoccupato di avere una parola gentile o un gesto di premura per ognuno dei suoi pazienti; ma anche lui si dichiara impotente a comprendere cosa passi nella mente del figlio.
Nonostante assicuri di essere perfettamente in grado di controllarsi e badare a se stessa, Misao è chiaramente sconvolta.
Konosuke ordina praticamente al figlio, che invano tenta di accampare scuse, di accompagnare a casa la ragazza. Potrebbe essere l'occasione di un chiarimento tra i due.
E' evidente che Fujisaki vorrebbe liberarsi del suo peso, confessando che ama ancora Misao ma deve lasciarla perché affetto senza colpa da una malattia sessuale contagiosa quanto infamante.
Ma non riesce ad andare al di là di vaghe allusioni, che lasciano Misao ancora più triste e disorientata.
La sola conclusione cui può arrivare è che Fujisaki stia accampando delle scuse per non confessare di essersi semplicemente stancato di lei.
Una breve scena interrompe momentaneamente il dialogo tra i due.
Una infermiera constatando continue sparizioni di scatole di Salvarsan, un medicinale utilizzato per la cura della sifilide, ha chiesto a Rui Minegishi se ne sa qualcosa.
La ragazza ha inteso la domanda come un'accusa, difendendosi in lagrime.
Se avesse qualcosa a che fare con la sifilide, ossia se si prostituisse, sarebbe forse così povera?
Lo spettatore ha già compreso naturalmente che le sparizioni dei medicinali vanno attribuite a Fujisaki, che si cura di nascosto non avendo trovato il coraggio di rivelare a nessuno il suo dramma.
Viene però sorpreso mentre si inietta il medicinale da Rui, la ragazza che lui stesso ha accolto nell'ospedale come apprendista infermiera, eppure ha verso di lui uno strano sentimento di amore ed odio; gli rimproveran infatti di non averla voluta aiutare a sbarazzarsi del bambino.
Il flacone è là sul tavolo, Fujisaki non tenta nemmeno di negare. Rui lo guarda a lungo, in silenzio, poi si allontana.
Fujisaki sa che il suo segreto potrebbe essere rivelato da un momento all'altro.
Dovrà convivere, non sa per quanto tempo, con questa spada di Damocle che gli pende sulla testa, appesa al fragile filo degli umori di Rui.
Nonostante tutto tenta di proseguire con la sua routine quotidiana, tentando di non lasciare trapelare nulla della sua tempesta interna, dedicandosi ai suoi malati per dimenticare se stesso.
C'è però chi non riesce a dimenticare, ed è comprensibile visto che Fujisaki in ogni suo atteggiamento richiama l'idea di una persona sensibile e premurosa, mentre il suo rifiuto nei confronti di Misao è stato brusco, immotivato, reticente.
Non c'è da sorprendersi che Misao torni a trovarlo, confessando di avere percorso inavvertitamente, quasi contro la sua volontà, il percorso che aveva fatto tante volte negli anni passati, sia per venire a trovare lui che per visitare il dottor Konosuke nel periodo bellico in cui lui era assente.
Misao ha intuito che qualcosa tormenta Fujisaki, e gli chiede di aprirsi.
Invano: Kioji non ne ha la forza.
La discussione tra i due viene interrotta dall'arrivo fortuito di Rui.
Tra le due donne corre una evidente tensione.
Misao rimprovera all'altra la sua apparente mancanza di gratitudine nei confronti di Kioji, che dopo averla salvata dal tentativo di suicidio le ha anche trovato un lavoro come apprendista nell'ospedale.
Kioji ne approfitta per chiederle se si sta preparando all'esame per diventare infermiera di ruolo.
Lei però non sembra trovare che la sua situazione sia migliorata: quello che voleva era solo liberarsi del bambino e ritornare libera. Misao, probabilmente rendendosi conto che continuare la discussione non ha senso, abbandona la stanza.
Kioji non demorde, tenta di scuotere Rui dal suo ostinato egoismo.
Se non voleva dare vita ad un essere umano, che ormai è già formato e non può essere soppresso a cuor leggero, perché non ha preso delle precauzioni?
Rui esasperata le rinfaccia di non essere in grado di dare lezioni a nessuno.
Che morale può pretendere di insegnare, e quali precauzioni ha preso lui, se è costretto a iniettarsi di nascosto il Salvarsan?
Fatalità vuole che proprio in quel momento Konosuke Fujisaki si trovi a passare davanti alla porta, ascoltando suo malgrado quanto viene detto dai due ad alta voce e con tono alterato.
Il colpo è per lui terribile.
La spada di Damocle, anche se non ancora precipitata su Kioji, comincia già ad aprire delle sanguinose ferite, su lui e sulle persone a lui care.
Il passare del tempo viene reso da Kurosawa, come suo costume, ricorrendo a delle metafore visive. In questo caso il fiorire primaverile sulla cancellata fuori dalla finesta, osservato da Misao al termine di uno dei suoi vani colloqui con Kioji. L'inquadratura successiva è spoglia, tormentata dal vento invernale.
Sarebbe vano pretendere di riassumere le intricate vicende che intercorrono in un sia pur ristretto gruppo di esseri umani alle prese con una situazione di crisi.
Kurosawa carica la parte centrale dell'opera con una serie di accorgimenti volti ad aumentare la tensione, che si scaricherà finalmente nel finale quano è divenuta non più sopportabile.
Nuoce forse alla leggibilità della storia l'inserimento di un'altra vicenda. Il ritorno di Susumu Nakada (Kenjiro Uemura), il soldato ferito che ha contaminato Fujisaki, da questi incontrato casualmente.
Cinico, sbandato, incurante del male contagioso da cui è affetto, Nakada attende un figlio dalla moglie Takiko (Chieko Nakakita). Fujisaki ed il padre si sforzeranno in ogni modo di convincerlo a curarsi e a tutelare la vita del nascituro, che potrebbe venire alla vita immaturo o con gravi menomazioni.
Probabilmente il racconto non aveva bisogno di una ulteriore complicazione e di altri personaggi da seguire, che sostanzialmente non aggiungono molto alla storia.
Sarebbe stato più avvincente sottraendo il superfluo, mentre la straordinaria coincidenza dell'incontro tra dottore e paziente, tra vittima inconsapevole ed incolpevole e carnefice involontario ma incurante del male che arreca a se stesso ed agli altri, contribuisce a rendere meno plausibile il comportamento e la figura di Fujisaki.
Questi si dimostra nobile e coraggioso con persone sostanzialmente estranee, pavido ed irresoluto con la persona che ama, che continua suo malgrado a cercarlo.
Infatti l'opera non ha avuto accoglienza favorevole dalla critica, che non ha mancato di notarne l'eccessiva enfasi.
Va detto però che queste critiche - pur non immotivate - sono doverose per chi ha il dovere di tentare una analisi dell'opera d'arte ma non influenzano più di tanto lo spettatore.
Presumibilmente è entrato nella sala di proiezione con il preciso desiderio di lasciarsi coinvolgere ed è questo che l'artista ha il dovere di proporgli.
Il tempo trascorso non può in realtà essere molto, si tratta di pochi mesi, eppure qualcosa è cambiato, a volte nell'atteggiamento interiore, a volte solamente in quello esteriore, di tutti i protagonisti.
Rui, dopo aver ascoltato di nascosto il colloquio in cui Kioji confessava al padre la sua infamante malattia ma al tempo stesso rivendicava la sua innocenza, ha riflettuto.
E' da poco diventata madre, accettando il suo ruolo senza vittimismi e sta studiando con serietà per passare l'esame di infermiera; ed è diventata amica e confidente di Kioji.
Questi ha ormai rotto ufficilamente il fidanzamento con Misao, che formalmente era solo congelato. Lei nonostante si sia fidanzata con un altro uomo e sia ormai vicina alle nozze non lo ha dimenticato; ancora una volta i suoi passi la portano all'ospedale.
La tensione di Koji è testimonata dalla compulsiva pulizia del dit, quello rimasto ferito durante l'operazione che gli fu fatale. Un gesto che gli vedremo spesso ripetere ossessivamente, per tutta la durata del film.
La conversazione tra i due sembra finalmente rilassata, amichevole, ma non potrà così durare a lungo. Misao non si è ancora liberata dal tormento di non sapere le ragioni del rifiuto di Kioji, tuttavia il momento in cui tutto sarà finito è vicino: le sue nozze sono fissate per il giorno dopo.
Solo in quel momento i due sembrano rendersi conto che non hanno più tempo, l'una per chiedere, l'altro per parlare.
In realtà riescono a esprimere a parole solo futili concetti, ragionando sull'orario dei treni per il viaggio di nozze.
Sembra per un attimo che la barriera tra i due possa essere superata d'istinto, stanno per gettarsi l'uno nelle braccia dell'altra.
Poi improvvisamente un lampo, che Kurosawa drammaticamente visualizza sullo schermo, approfittando del maltempo mostrato dalla solita finestra che dà sulla solita cancellata, attraversa la mente e il corpo stesso di Kioji. Non deve. Non può.
I due in quel momento si separano, ormai per sempre. E ora Misao torna a soffermarsi su particolari insignificanti, di nuovo impotente ad esprimere quello che sente.
Misao se ne va, materialmente, percorrendo il vialetto della clinica sotto una pioggia incessante. Sullo sfondo le rovine della guerrra appena terminata.
La sirena di un treno nelle vicinanze evoca l'idea della partenza irreversibile.
Muta, mentre in precedenza tra le due donne si era stabilita una certa familiarità ed un desiderio reciproco di confidarsi, Rui la vede allontarsi.
Ora Rui e Kioji sono rimasti da soli. Lei si accinge a preparargli la solita iniziezione di routine, e non riesce a trattenere il desiderio di chiedere qualcosa di più sulla triste vicenda di Kioji e Misao.
Le sue domande, per quanto naïf e tendenzialmente indelicate, hanno l'effetto di scatenare finalmente in Kioji quel necessario processo di autoanalisi che può portarlo a riacquistare la serenità.
Come mai, pur visibilmente e fortemente attratto da Misao, è riuscito a trattenersi?
Evidentemente appartiene a quel genere di malati, e già qui Fujisaki senza dimenticare di essere un dottore riconosce di essere anche un malato , soprattutto nell'animo, che non manifesta il proprio timore e la propria sofferenza ma si macera nell'angoscia.
E' necessario conoscere quanto sia stata importante questa scena, per Kurosawa certamente - che così nel parla nel suo Something like an autobiography - ma non solo per lui.
Per quella scena avevo progettato un piano sequenza [in cui la macchina da presa rimane sostanzialmente immobile] di insolita lunghezza per quel periodo: più di cinque minuti. La notte prima delle riprese né Mifune né Noriko Sengoku, riuscirono a dormire. Sentendomi un pò alla vigilia di una battaglia, anche io passai una notte insonne.
...
Mifune e la Sengoku recitavano come se si trattasse di vincere o morire. Man mano che trascorrevano i secondi, la loro interpretazione raggiungeva un grado di intensità insostenibile. ... Finalmente, quando Mifune ruppe in lagrime confessando la sua sventura, sentii tremare i riflettori accanto a me. Capii subito che ero io che tremavo
Diedi una occhiata alla macchina da presa e soprassalii. L'operatore, che guardava attraverso il mirino e azionava la macchina da presa, stava piangendo come un bambino .... se la macchina da presa fosse andata fuori fuoco perché Mifune e la Sengoku erano riusciti a far piangere l'operatore, tutto sarebbe stato inutile ... Quando l'operatore, con la faccia distorta e coperta di lagrime, finalmente gridò «Stop, buona» alla fine dell'azione, provai un immenso sollievo. Mentre tutti i presenti erano ancora presi dalla tremenda tensione della scena, io mi sentivo altrove. Avevo persino dimenticato di dire «Stop!». Com'ero giovane allora...
Nel corso del colloquio la maschera di impassibilità fino ad allora mantenuta da Kioji Fujisaki cede, e l'uomo scoppia in lagrime maledicendo la sua folle pretesa di rimanere puro per essere degno di Misao, solamente per essere contaminato innocente dalla follia di un'altra persona.
Gli è impossibilie accettare l'idea di perdere Misao, per quanto la coscienza tenti di imporglielo.
E' troppo anche per l'apparentemente cinica Rui, che non riesce a porre fine al suo pianto, irrefrenabile e interminabile.
Fujisaki si scusa con lei per averla messa in imbarazzo confidandole dei segreti così pesanti.
Raccoglie poi da terra lo stetoscopio, che aveva gettato via con rabbia, tentando così anche simbolicamente di rientrare nella sua maschera di impassibilità e nel ruolo di dottore che la vita gli ha assegnato.
Non gli sarà così facile: al termine della terribile confessione anche Rui ha gettato la maschera.
Si dichiara pronta a soddisfare ogni suo desiderio, accettando anche la sua malattia, come se fosse un semplice favore senza grande importanza.
Confessa di amarlo.
E' troppo tardi, Fujisaki è ormai rientrato nella parte che si è imposto. E' ritornato al suo duello silenzioso.
Chiede a Rui la cartella clinica di un paziente appena operato, e si immerge nello studio delle analisi, incurante di lei.
Passa altro tempo, lo spettatore se ne rende conto dalle consuete immagini di uno dei protagonisti, questa volta Fujisaki, che osserva dalla finestra il susseguirsi delle stagioni.
La routine quotidiana della clinica viene turbata da un imprevisto: Takiko Nakada sta attendendo in sala dii aspetto, senza aver fissato alcun appuntamento. Rui arriva appena in tempo per soccorrerla mentre viene colta da un malore.
La situazione è grave, ci sono poche speranze per il bambino e la donna deve essere operata nel tentativo di salvarle la vita. Mentre attende di entrare nella sala operatoria, Kioji le chiede se vuole aspettare l'arrivo del marito.
La donna gli confessa di avere lasciato per sempre Susumu Nakada, l'origine involontaria ma non innocente dei molti mali di tutti i protagonisti della vicenda.
L'operazione sarà, lunga difficile.
Dopo che sono entrati i due Fujisaki nella sala operatoria cala la notte.
Solamente quando tornano le luci del giorno Rui e Rioji ne escono, spingendo la barella su cui si trova Takiko Nakada, ormai salva.
Lei ha la forza di chiedere cosa ne è del bambino.
Le risposte dapprima sono reticenti, poi brusche, infine ferme e con un tentativo di spiegazione: è meglio che non lo veda.
In quel momento fa irruzione nella clinica Susumu Nakada, completamente ubriaco, aggressivo ed armato di un bastone.
Ha intenzione di vendicarsi di Rioji, colpevole secondo lui di tutti i suoi guai, ma in realtà è talmente ubriaco da non poter essere realmente pericoloso, per quanto il suo atteggiamento sia aggressivo ed irragionevole.
Basterà Rui a tenerlo a bada, schiaffeggiandolo con tutte le sue forze non appena apprende che è stato lui a contagiare il dottor Fujisaki.
E non contento di questo continua con il suo folle egoismo a seminare lutti, sia tra gli estranei che le persone che dice gli siano care.
Nakada non ha la sensiibilità necessaria per riflettere su queste accuse, non l'ha mai posseduta.
Adesso quello che gli preme è solo vedere il suo bambino, probabilmente non per un tardivo moto di affetto ma perché lo considera un oggetto di sua proprietà, che non deve essergli sottratto.
Invano tentano prima di dissuaderlo e poi di trattenerlo: con insospettabile energia si divincola ed entra nella sala.
Ma ne esce distrutto. Il contaggio della malattia ha dato origine ad una creatura orrendamente deforme.
Il suo intelletto, a sua volta già corroso dalla spirocheta, non regge al colpo: Nakada impazzisce.
Ancora qualche tempo dopo, Takiko sta riprendendosi dalla difficile operazione e dalla dura esperienza psicologica.
I suoi problemi non sono certamente terminati, anche lei naturalmente è stata contagiata dalla sifilide, e dovrà curarsi a lungo.
Rui tenta di sollevarle il morale: deve mantenere la speranza, basta curarsi con metodo e con fiducia nel futuro, come fa il dottor Fujisaki.
Takiko ha intuito che nel cuore di Rui c'è una forte inclinazione verso il dottore, e ne chiede conferma, illuminandola scherzosamente con uno specchio, come per vedere meglio dentro di lei.
Rui si schermisce e cambia discorso.
Il dottor Konosuke è felice di potersi coccolare appena può il bambino di Rui.
E si stupisce un poco di sentire dal poliziotto che avevamo conosciuto all'inizio che suo figlio viene considerato una specie di santo.
Sta solamente cercando di dare speranza a chi sta peggio di lui. In fondo, se avesse avuto una vita facile e felice, sarebbe probabilmente divenuto nientaltro che uno snob.
Alle sue spalle, la finestra che ha visto sussegursi tante vicende umane, al di là della quale abbiamo visto i fiori della primavera, il vento dell'autunno, la neve invernale.
Kioji Fujisaki indifferente a tutto quanto si dice di lui si trova in quel momento in sala operatoria, concentrato al massimo nel suo difficile compito.
Accanto a lui è Rui, ma solo per passargli i ferri e assisterlo professionalmente.
Cane randagio (Nora Inu)
Aikira Kurosawa, 1949
Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Keiko Awaji, Eiko Miyoshi
Nelle immagini di apertura vediamo il primissimo piano di un cane (nora inu, un cane "dei campi", randagio) anelante sotto la calura estiva. Una calura opprimente che sarà la costante di tutta l'azione, che si svolge nella Tokyo dell'immediato dopoguerra dove uomini e donne vivono la loro giornata come altrettanti cani randagi ridotti a soddisfare i bisogni immediati e primordiali, senza potersi permettere il lusso di pensare al domani.
L'angelo Ubriaco (Yoidore Tenshi)
Aikira Kurosawa - 1948
Takashi Shimura, Toshiro Mifune
Si compone in questo film una indimenticabile coppia che accompagnerà gli spettatori per decenni; in quasi tutti i successivi film di Kurosawa Takashi Shimura gioca in mille ruoli, spesso di contorno ma tutti magistralmente interpretati, mentre Toshiro Mifune ha sempre la parte dell'eroe, positivo o negativo, della vicenda.
Mifune aveva esordito nel cinema l'anno prima, ma questo è il primo di una lunga serie di opere da lui interpretate sotto la direzione di Kurosawa. Il sodalizio si ruppe dopo un ventennio, quando il regista durante le riprese del fallimentare quanto ambizioso progetto di Akahige soffrì la personalità di Mifune che diede al suo ruolo una impostazione non condivisa da Kurosawa.
E' strano notare come le vicende narrate nei film jidai di Kurosawa, pur venate di ricorrente pessimismo lascino sempre spazio a conclusioni e morali tutto sommato positive (la natura introversa e depressa di Kurosawa esplode irrefrenabile solo nelle grandi opere della vecchiaia, Kagemusha e Ran), mentre le opere di impostazione moderna sembrano spesso ammonire che nulla di buono può nscere da una società corrotta come quella che si è imposta nel XX secolo.
L'ambientazione dell'Angelo ubriaco ricorda molto quelle care al neorealismo italiano, di cui Kurosawa era dichiaratamente debitore. I desolati ambienti di periferia, lo squallore del degrado sociale ed umano, le acque torbide e maleodoranti degli acquitrini nelle borgate, gli sguardi assenti dei ragazzi di strada, potrebbero benissimo appartenere ad opere come Ladri di biciclette o, su un versante meno impegnato eppure profondo, I soliti ignoti.
Quel viadotto ferroviario sotto cui scorrono le acque inquietanti di un fiume malato quanto la città che attraversa, sembra proprio il "ponte di ferro" di Roma dove Vittorio de Sica colloca la chiatta del ricettatore nel suo Sciuscià...
Gli atteggiamenti dei personaggi, quel vano ricercare la perfezione estetica in chi vuole sottrarsi alla miseria dei luoghi e delle circostanze, le sciocche imitiazioni del modo di vestire e di comportarsi dei vincitori "americani", i riti sociali che obbligano a cercar di ricostituire il tessuto umano distrutto dalla guerra dentro squallide balere, il ricorrente accendersi della sigaretta.
Tutto ricorda analoghe situazioni dell'Italia degli anni 40 e 50: la guerra lasciò qui e lì le sue impronte, nel sangue dei campi di battaglia e nel fango delle periferie dilaniate.
La trama è semplice: il dottor Sanada, alcolizzato e burbero fino alla asocialità ma profondamente umano - come tanti personaggi di Kurosawa - prende a cuore le sorti di un giovane arrogante gangster malato, che lo ricambia con ceffoni ed insulti.
Lo strano rapporto viene reso alla perfezione da Takashi Shimura nella parte del dottore e dal ventisettenne Toshiro Mifune che impersona il gangster Matsunaga, che non riuscirà - questo era chiaro fin dalla prima inquadratura - a sfuggire al suo destino.
La strana coppia si allontana verso una pasticceria, lasciando lo spettatore tutto sommato un po' sollevato a vedere la parola fine sullo schermo.
Akira Kurosawa: Una meravigliosa domenica
1947
Isao Numazaki, Chieko Nakakita
Ancora alla ricerca della sua strada, Kurosawa presenta nel 1947 una favola dolceamara ambientata nella Tokyo dell'immediato dopoguerra ma che potrebbe immaginarsi in qualunque altra città che stia riemergendo a fatica dagli orrori bellici.
Sono evidenti i richiami al neorealismo italiano, anche nella scelta di due protagonisti praticamente sconosciuti, per non distogliere l'attenzione dalla storia.
Altri legami diretti tuttavia non se ne avvertono, a differenza ad esempio di quanto vedremo poi in Cane randagio. Lì non solo la trama verrà chiaramente ripresa da Ladri di biciclette di Vittorio De Sica ma Kurosawa disseminerà nell'opera svariati omaggi alla sua fonte di ispirazione. Sorprendentemente nessun critico sembra averci fatto caso nei decenni passati da allora, forse per i depistaggi volontari dovuti a una sorta di gioco malizioso dello stesso Kurosawa, che dichiarava di essersi ispirato invece alle atmosfere dei libri di Georges Simenon.
D'altro lato - storia a parte - sarebbe una insanabile contraddizione cercare il realismo attraverso la copia di modelli provenienti da un'altra realtà, che nulla potrebbero avere di realistico. Potremmo dire che Kurosawa manovra il pennello secondo i principi di una innovativa tecnica di avanguardia proveniente d'oltremare. Ma il quadro porta comunque solo l'impronta della sua mano e i paesaggi umani che dipinge sono quelli della sua terra.
Privi di risorse e sull'orlo di perdere la speranza due giovani fidanzati, Yuzo e Masako, sono costretti a vedersi solo nell'arco della domenica prima di ritornare alla loro frustrante routine quotidiana, cercando invano un angolo, un attimo, di poesia.
Passeranno dalla disillusione all'amarezza, ma proprio quando sembra che Kurosawa si sia lasciato vincere dal suo pessimismo di fondo, nel vuoto palco dove si è tenuto il concerto cui non hanno potuto assistere, lei lancia un appello al pubblico, con un espediente che ricorda il teatro di Pirandello, invitandolo ad immaginare quanto manca. E mentre i due si abbandonano al piacere della danza, la colonna sonora fino ad allora priva di ogni effetto rimanda le note dell'incompiuta di Schubert, su cui si chiude il film.
Le immagini di apertura ci portano invece all'interno di una brulicante stazione ferroviaria ove si incontrano i giovani Yuzo (Isao Numazaki) e Masako (Chieko Nakakita). La critica sottolinea la scelta di Kurosawa, aderente alla metodica del neorealismo, di selezionare come protagonisti due attori sconosciuti e dall'aspetto di persone normali.
Per la verità, se questo appare plausibile nei confronti della Nakakita, appare meno convincente per il protagonista maschile, Isao Numazaki, che appare troppo sofisticato per essere uno dei tanti giovani disperati alla ricerca di un barlume di serenità nel cupo dopoguerra, e non abbastanza carismatico per distinguersi e colpire lo spettatore pur quando il personaggio deve apparire come uno dei tanti.
Ma queste sono doti esclusive dei grandi artisti come Toshiro Mifune, che solo più tardi iniziò la straordinaria collaborazione con Kurosawa.
Del resto la carriera dei due attori conferma queste valutazioni: in seguito Numazaki comparve in ruoli di comprimario solamente in una esigua manciata di film, e la sua ultima apparizione sullo schermo risale al 1952.
Non si può fare a meno di osservare che il suo destino fu simile a quello di Lamberto Maggiorani, protagonista di Ladri di biciclette, forse la più nota opera del neo-realismo mondiale.
La donnetta come tante, Chieko Nakakita, che aveva all'epoca 21 anni (Numazaki invece 31) ebbe invece - paradossalmente - lunga e fortunata carriera come attrice.
Kurosawa la utilizzò anche in L'angelo ubriaco ma soprattutto in Duello silenzioso, in cui ricopriva un ruolo fondamentale: la moglie del soldato Nakada malato di sifilide, condannata a partorire un figlio deforme.
La troviamo brevemente anche in un'altra opera recensita su questo sito, L'uomo del ricsciò di Hiroshi Inagaki, nella parte della sorella di Yoshiko, la protagonista. Scomparve nel 2005, dopo aver recitato in 95 film.
Kurosawa osservò che erano perfetti per la parte, dovendo apparire come due persone comuni senza alcuna caratteristica che li distinguesse dalla massa, e che questo loro anonimato agevolò le riprese, effettuate spesso dal vivo per le strade, con la cinepresa mascherata in qualche modo, senza che nessuno si accorgesse che si trattava di attori intenti a recitare in un film.
La recensione dell'opera, che segue, è condotta sulla edizione italiana, che è purtroppo ricavata da una copia in condizioni pessime e che è stata doppiata in modo troppo artificioso, senza rispettare la tonalità di recitazione richieste da Kurosawa ai suoi interpreti.
Mentre Masako sta arrivando al loro appuntamento, a bordo di un treno sovraffollato, Yuzo attende silenzioso nell'atrio della stazione, appoggiato al muro.
Sta fissando spasmodicamente a terra, pur cercando di mascherare la sua tensione.
E' un mozzicone di sigaretta che ha attirato la sua attenzione: il desiderio di raccoglierlo da terra per fumarlo è troppo forte. Cede.
Non riuscirà a fumarla.
Mentre la sta portando alla bocca arriva Masako, che gliela strappa di mano rimproverandolo.
Yuzo cerca di discolparsi: sono tre giorni che non fuma, non ha resistito.
L'episodio lo ha comunque messo di malumore: pensa che sarebbe stato meglio se Masako non fosse venuta all'appuntamento, non hanno comunque alcuna possibilità di passare una bella domenica assieme.
Yuzo non ha che 15 yen con se, e si rifiuta di utilizzare quel poco che ha Masako: considera umiliante accettare che le donne partecipino alle spese.
L'entusiasmo di Masako riesce però alla fine a smuoverlo: tenteranno di passare una meravigliosa domenica mettendo assieme i loro averi: 35 yen.
Corrispondevano all'epoca a circa 70 lire: il costo in Italia di una bottiglia di vino o di 3/4 caffé al bar.
Anche unendo le loro risorse quindi non ci sarà molto da scialare.
Per alimentare i loro modesti sogni Yuzo e Masako iniziano di conseguenza con una iniziativa a costo zero.
Attirati da un cartello si recheranno a visitare una casa tradizionale che è in vendita, al prezzo per loro assolutamente irreale di 100.000 yen.
Invano Masako tenta di scuotere il compagno dal suo pessimismo, che sembra divenuto irreversibile.
L'arrivo di una seconda coppia in cerca di alloggiio rischia di aggravarlo, è troppo lampante la differenza di condizione economica e di atteggiamento tra chi non ha margini per sperare e chi invece se la passa bene.
Offre invece l'inaspettato spunto per un soffio di speranza.
Visibilmente benestanti per quanto i loro discorsi lascino trasparire un animo gretto, con le braccia ingombre dei pacchi degli acquisti di giornata, i due trovano mediocre la casa che era sembrata così lussuosa alla giovane coppia e parlano con aperto disprezzo di una casupola in affitto a buon mercato, visitata in precedenza.
Masako intravede immediatamente la possibilità di una buona occasione per se e Yuzo, e si fa spiegare come andarci.
Perfino Yuzo esce di colpo dal suo torpore.
Nella fretta di andare sul posto perde anche la scarpa, doverosamente bucata e malridotta, che aveva rimirato sconsolato poco prima cadendo in preda allo sconforto.
Anche i passaggi a livello cospirano nel far rallentare l'impeto dei due fidanzati, ma infine arrivano all'indirizzo indicato, in un desolato borghetto di periferia.
La conversazione con la persona che trovano dentro l'edificio non è incoraggiante.
Si tratta di una sola stanza è piccola, umida e gelata d'inverno e rovente d'estate, la cui unica finestra dà sui gabinetti della fabbrica che si trova davanti.
L'occupava lui stesso, ma ammalatosi e impossibilitato a pagare il canone aveva dovuto cambiare stanza e accettare di fare da intermediario per le richieste di affitto. Il suo consiglio spassionato è di lasciar perdere. Ma se proprio sono interessati, l'affitto è di 600 yen al mese, più 2.000 di deposito.
Nonostante tutto la tentazione è forte, assommando lo stipendio di entrambi arrivano a 1200 yen: potrebbero pagare l'affitto, per quanto la sistemazione sia misera, ma non rimarrebbero margini per mangiare, per tacere del resto.
Delusi, racchiiusi nei loro cupi pensieri, nemmeno si rendono conto di quanto succede intorno a loro.
Dei bambini intenti a giocare a baseball hanno ripetutamente chiesto loro di rendere la palla, finita dalle loro parti, ma non se ne sono nemmeno accorti,.
Quando finalmente realizza, Yuzo decide però che è l'occasione che fa per lui.
Ha bisogno di dimenticare i pensieri neri, e cosa di meglio che giocare un po' con un gruppo di monelli di strada?
Il suo primo tentativo è inglorioso: impacciato dall'impermeabile, e forse dalle scarpe inadatte e in fin di vita, manca il colpo e finisce lungo disteso per terra, in mezzo al fango.
Punto nel vivo, decide di fare finlamente sul serio.
Liberatosi dai vestiti superflui si concentra sulla battuta, come se fosse la cosa più importante della sua vita.
Questa volta colpisce la palla perfettamente, inviandola lontanissimo con un colpo da manuale.
Forse troppo lontano...
La palla entra nel negozio di un pasticciere dall'altro lato della piazza, dopo averne sfondato l'insegna.
Il pasticciere esce, con aria alquanto irritata.
Ironicamente Kurosawa accompagna il momento in cui Yuzo si reca a parlamentare con l'infuriato negoziante con la marcia dei toreador (dalla Carmen di Bizet).
In casi del genere è inevitabile sentirsi rimproverare dell'essersi dedicato a giochi da bambini per quanto grande e grosso.
E' una trafila che tocca anche a Yuzo.
E non è nemmeno la parte più dolorosa: la palla è andata ad atterrare proprio in mezzo ai prodotti esposti, rovinando irrimediabilmente 3 mochi (dolci di riso).
Anche se con uno sconto Yuzo è obbligato ad acquistarli: sono 10 yen, e quasi un terzo della somma a loro disposizione per la domenica se ne va di colpo.
Potranno perlomeno con i resti dei dolci consolare i bambini dall'interruzione del loro gioco.
Nonostante tutto l'ennesima disavventura ha mutato in positivo l'umore nero di Yuzo.
In quei tempi in cui era necessario accontentarsi di poco anche delle condotte poggiate in mezzo alla piazza possono diventare il luogo adatto per mangiare quello che resta dei mochi.
Yuzo commenta filosoficamente che se non fosse stato per quel mezzo disastro non avrebbero mai avuto il coraggio di comprarsi dei dolci.
Quandecco che gli cade dalla tasca un biglietto: è l'indirizzo di un vecchio compagno d'armi, che ha incontrato per caso qualche tempo prima: adesso è proprietario di un cabaret.
Masako non sa resistere: non è mai stata al cabaret, bisogna approfittare di questa coincidenza.
Ed è così che Yuzo si trova coinvolto in una surreale esperienza.
All'indirizzo indicato dal biglietto da visita è evidente che non si aspettano e non gradiscono visite da gente come Yuzo.
Lo guardano con malcelato senso di disgusto, per quanto cerchi di mantenere un aspetto dignitoso il tono del locale, volgarmente lussuoso, è nel loro giudizio troppo al disopra delle sue pretese.
Lui dal canto suo non può fare a meno di guardare con stupore quella categoria umana di cui nemmeno conosceva l'esistenza.
Viene trattato rudemente, fino a quando perde la pazienza e chiede di parlare urgentemente col presidente Segawa, che non gli sanno o vogliono dire se ci sia o no, esibendo il biglietto da visita in suo possesso.
A questo punto il tono di chi gli sta di fronte cambia drasticamente.
Con una cortesia formale ai limiti dell'untuosità, l'uomo della ricezione lo invita a seguire giù per delle scale un impeccabile inserviente in livrea.
L'attonito Yuzo si ritrova a percorrere, seguendo l'inserviente, una lunga teoria di corridoi sotterranei, in condizioni di autentico squallore che risalta ancora di più per il contrasto con l'opulenza dei piani superiori, popolato da inquietanti e misteriosi personaggi che appaiono e scompaiono, intenti in attività non comprensibili.
Dopo un lungo andirivieni Yuzo viene condotto in uno scantinato e fatto accomodare ad un tavolo, ove gli viene offerto da bere.
Al tavolo è già seduto un uomo male in arnese, che tiene sotto stretta sorveglianza quanto succede nel locale accanto oltre la porta.
E' lì che i camerieri vanno a gettare nei bidoni gli avanzi dei pasti serviti ai piani superiori.
Lui ne approfitta per servirsene abbondantemente e farne il proprio pasto; sono degli avanzi, certamente, ma pur sempre di piatti che costavano anche 100 yen.
L'omino è in vena di confidenze, anche se interrotte per un attimo dall'arrivo di una ragazza completamente ubriaca, in cerca di un posto per vomitare.
E' una delle attrazioni del locale: deve indurre i clienti a bere, e viene pagata un tanto per ogni tappo di bottiglia che consegna. Si riducono tutte in quel modo, dopo poche ore di lavoro.
La ragazza sviene di colpo, ma in qualche modo viene riaccompagnata via dall'omino, che continua le sue spiegazioni.
Chiedere del direttore è una delle tattiche preferite degli scrocconi, o forse dei piccoli malviventi.
I gestori del locale per evitare disordini offrono a queste persone la consumazione.
Chiedere del presidente è più vantaggioso, ma più rischioso: a volte si ottiene molto di più, anche del denaro, ma spesso si viene cacciati in malo modo senza avere ottenuto nulla.
Ritorna in quel momento l'addetto alla ricezione, e consegna a Yuzo su un vassoio, una busta.
Da parte del 'presidente'.
L'omino è esterefatto: Yuzo ha evidentemente puntato grosso, e ha vinto.
Ma Yuzo non è dello stesso parere.
Disgustato lascia la busta sul tavolo e va via.
L'omino a suo modo è una persona onesta.
Lo rincorre lungo i corridoi e le scale, fino al lussuoso androne d'ingresso.
Inutilmente cerca di rendere a Yuzo la busta: non ne vuole sapere.
Una coppia abbigliata con grande eleganza e dalle movenze ricercate, osserva stupita l'animata discussione tra quei due esseri venuti da un altro mondo.
Per rimarcare la distanza non colmabile tra i due gruppi umani, Kurosawa non inquadra direttamente Yuzo e il suo compagno di pochi minuti, ma riprende la loro immagine sul presuntuoso specchio appeso alla parete.
Yuzo, di pessimo umore, non risponde alle domande di Masako che era rimasta ad attenderlo fuori del locale.
SI allontana silenzioso, a grandi passi, senza dire se ha incontrato o no il suo amico. Lei lo segue perplessa.
Invano due fotografi ambulanti li riprendono, ofrfrendo loro gratuitamente le stampe quando si rendono conto che i due giovani non vogliono o più probabilmente non possono pagarle.
Il malumore di Yuzo è tale che nemmeno questo piccolo gesto di spontanea cortesia vale a smuoverlo.
E' già passato l'inverno, con la sua austera bellezza.
Altrimenti avrebbero potuto fare dei pupazzi di neve, anche se non attrezzati per resistere bene al freddo, ed entrambi con le scarpe malridotte.
Davanti al rustico sedile che hanno scelto per mangiare finalmente quei dolci costati loro così cari sembra non esserci nulla di notevole.
Eppure è sempre meglio che rifugiarsi dentro una condotta di cemento, e già si annunciano i primi segni della primavera, Yuzo osserva che tra non molto cominceranno a fiorivi i ciliegi.
Sembra una parabola del difficile momento, loro e dell'intera nazione, in cui una epoca difficile, un rigido inverno, si è concluso mentre la primavera tuttavia tarda ad arrivare.
D'improvviso si materializza davanti a loro un bambino, miseramente vestito e sudicio, che li guarda muto.
Risponde negativamente alle domande di Masako; non ha genitori, non ha fratelli. Non ha famiglia.
Ma ha una richiesta da fare: potrebbe avere uno dei dolci?
Non chiede che gli venga regalato: estrae dalla logora giacchetta un rotolo di banconote, e offre tranquillamente 10 yen per uno dei dolci.
Come sappiamo è la stessa cifra che i due hanno pagato per tutti i dolci.
Masako non accetta il denaro, e dona al bambino il dolce voluto.
Il piccolo vagabondo (Shiro Mizutani, che avrà una parte due anni dopo in Cane randagio, per poi non lasciare più tracce sullo schermo) finalmente sorride mentre accetta il dolce dalla mano di Masako.
La sua serenità non dura a lungo.
Si è seduto sulla staccionata per mangiare il suo dolce, ma i due insistono per sapere qualcosa di lui, con l'evidente intenzione di aiutarlo.
La sua risposta è aggressiva, soprattutto nei confronti di Yuzo.
Cosa ne sanno loro della vita? Hanno di che vivere? Hanno un nido dove rifugiarsi?
E' evidente che non hanno nulla di tutto questo e che quell'orfanello, pagando il prezzo terribile della perdita della sua infanzia e della sua innocenza, ha saputo adattarsi meglio di loro, ed è più autosufficiente di loro.
Dopo questo imprevisto e sconvolgente episodio i due faticano a lungo a riprendersi, e non hanno più il coraggio di guardare le famiglie che passeggiano lungo i viali, tenendo per mano i bambini, senza ripensare al cinico orfanello.
Hanno bisogno di qualcosa di positivo, e una volta tanto il caso viene in loro soccorso.
Un cartello, chiaramente pensato per i bambini, indica la direzione per il giardino zoologico.
Sì, quella sarà l'occasione per passare qualche ora spensierata, ritornando bambini.
In realtà l'essere umano difficilmente riesce ad estraniarsi dai suoi problemi.
Gli animali vivono invece attimo per attimo, in assoluta spontaneità e senza retropensieri.
Solo le condizioni innaturali in cui sono costretti a vivere gli animali in un giardino zoologico possono renderli paragonabili ad esseri umani, ed è proprio quello che faranno Yuzo e Masako, abbandonandosi al piacere di identificare tipi umani negli animali che incontrano.
Nonostante tutto il modesto investimento del biglietto dello zoo, pur riducendo a 23 yen tutti i loro averi, si è dimostrato fruttifero; hanno passato qualche ora in serenità.
Li attende però all'uscita un nuovo imprevisto: una pioggia insistente che li costringe a cercare un riparo sommario.
Se la neve, che rimpangono, copre tutto di un manto immacolato e induce alla serenità, la pioggia talvolta riesce solo a dare fastidio.
Yuzo propone di cercare rifugio nel suo appartamentino: la persona con cui lo divide non rientrerà che a mezzanotte, non c'è molto di cui disponga ma perlomeno un te caldo lo potrà offrire.
E' evidente però che Masako non si sente pronta a restare sola in intimità con Yuzo, la proposta la imbarazza.
Propone allora che sia Yuzo a recarsi da lei.
Ma qui c'è il problema opposto, sono 16 persone in 4 stanze e di intimità non è assolutamente il caso di parlarne. Inoltre la sorella di Masako ha la proprietà di essere involontariamente invadente e mettere in soggezione Yuzo.
I due si trovano di nuovo ad un punto morto.
Yuzo pensa che a qul punto tanto vale salutarsi, senza stare a prendere inutilmente l'acqua ed il freddo: dopo tutto una domenica da 35 yen vale sempre e soltanto 35 yen.
Ancora una volta il caso viene loro in aiuto.
Masako nota che proprio dove si sono rifugiati per sfuggire alla pioggia è affisso il manifesto di un concerto di musica sinfonica, che annuncia musiche di Franz Schubert.
Potrebbero andarci... come erano andati una volta prima della guerra ad un concerto avente lo stesso programma.
Yuzo non sembra entusiasta, e le sue obiezioni non appaiono molto logiche: sicuramente - secondo lui - non sarà la stessa orchestra d'anteguerra, e certamente non suoneranno allo stesso modo.
Ma infine si lascia convincere: andranno al concerto di Schubert. Il biglietto costa 10 yen a persona, e ne hanno ancora 23.
Masako e Yuko si sono precipitati a prendere il treno per andare a comprare i biglietti.
Sono ormai inzuppati irrimediabilmente e le scarpe fradice, ma perfino i loro piedi ballano di contentezza, soprattutto quelli di Masako che sente il bisogno di esprimere anche fisicamente la propria contentezza.
Sempre sotto la pioggia battente attraversano di corsa tutta la città, correndo all'impazzata per non arrivare tardi.
La fila per i biglietti è già lunga, ma sembra che i due siano arrivati appena in tempo: dietro di loro la fila si allunga vertiginosamente in poco tempo, ma non sono molto lontani dalo sportello della biglietteria.
Invece scopriranno di essere arrivati con un attimo, uno solamente ma fatale, di ritardo.
Proprio davanti a loro c'è l'uomo che renderà mpossibile il loro progetto.
E' un bagarino, e appena arrivato alla biglietteria chiede con arroganza, forzando le obiezioni della cassiera, perché dichiara suo diritto acquistare ciò che vuole se è in grado di pagare, di acquistare tutti i biglietti di categoria B.
Sono quelli che costano 10 yen e su cui puntavano i due giovani.
I loro sogni sono svaniti in un attimo.
Tutti i biglietti da 10 yen sono appena passati nelle mani dell'uomo che già i suoi complici iniziano a proporli ad alta voce alla gente in attesa, al prezzo di 15 yen.
Alla cassa è apparso un cartello: i biglietti da 10 yen sono esauriti.
I soli biglietti rimasti hanno un prezzo inavvicinabile.
Yuzo ha un moto di ribellione e prende di petto l'uomo: gli dia due biglietti, e al prezzo di 10 yen: quello che sta facendo è illegale.
La risposta è volgare e sprezzante, e provoca la reazione di Yuzo, che invano tenta a lungo di trattenersi.
Si getta addosso al bagarino e gli sferra un pugno che lo manda lontano ruzzoloni.
Purtroppo per lui questi approfittatori agiscono sempre in gruppi e sono sempre pronti ad agire per evitare che la loro 'autorità' venga messa in dubbio.
Yuzo viene immediatamente circondato dai teppisti e picchiato in malo modo.
Nè Masako che assiste impotente né le persone che facevano la fila per i biglietti hanno il coraggio di intervenire.
Si allontanano anzi, al temine dell'imprevisto spettacolo, lasciandolo solo nella melma.
Tenta faticosamente di rialzarsi, assistito dalla impaurita Masako.
I due giovani si sentono in gabbia.
Condannati ad una esistenza miserabile senza alcun barlume di speranza.
Masako ha accompagnato Yuzo nel locale dove alloggia, vincendo le sue obiezioni di principio.
Non è un ambiente che incoraggi i lieti pensieri, è chiaramente una sistemazione di ripiego destinata a chi non ha risorse.
Il colpo è stato duro per Yuzo, moralmente prima ancora che fisicamente.
Stenata a riprendersi, e sembra che non ci sia nulla che Masako possa fare per ridargli fiducia in se stesso e nel mondo.
Forse è effetto della frustrazione, ma infine Yuzo trova qualcosa che potrebbe rianimarlo: cerca un rapporto fisico con Masako.
Non è escluso che lei abbia valutato questa possibilità, se infine ha accettato di recarsi da lui.
Ma non è certamente quello il modo in cui un essere umano possa sognare il primo rapporto con la persona amata, frutto della frustrazione e dell'amarezza.
Masako si sottrae all'abbarccio di Yuzo, prende la porta e lo lascia solo.
Rimasto solo, Yuzo riesce a ritrovare lentamente se stesso.
Rgira tra le mani l'orsetto portafortuna dimenticato da Masako.
Si rende conto di quello che sta rischiando di perdere assieme a Masako.
I suoi pensieri vengono interrotti dalla porta di ingresso che si apre.
Masako ha deciso di tornare ed il suo atteggiamento, i suoi gesti, lasciano capire che vorrebbe acconsentire al desiderio di Yuzo.
Non può fare a meno però di considerarlo, in quelle circostanze, come un altro passo verso quel degrado cui stanno cercando disperatamente di sfuggire, alla disperata ricerca di una meravigliosa domenica.
Yuzo se ne è reso conto.
Le chiede scusa.
E le propone di ricominciare per l'ennesima volta da capo, uscendo di nuovo in centro alla ricerca della felicità.
Ed è così che poco tempo dopo li troviamo seduti al tavolino di un locale, in fiiduciosa attesa di quello che hanno ordinato.
L'ordine è stato frutto di una attenta valutazione, per sfruttare al massimo il poco denaro loro rimasto lasciando un piccolo ma sicuro margine di sicurezza.
Purtroppo sono destinati alla ennesima disillusione.
Il caffé portato è pessimo, il latte aggiunto con il contagocce, e le paste servite come accompagnamento sono addirittura immangiabili.
La vera brutta sorpresa deve ancora arrivare: il conto riporta una cifra ben superiore a quella esposta.
Solo controllando attentamente riescono a capire come sia successo: per attirare la clientela i gestori nascondo nei prezzi esposti al pubblico spese addizionali che vengono comunque invariabilmente aggiunte al conto quando si è ormai ordinato e consumato.
Yuzo è ancora una volta fuori di se, ma riesce a trattenersi.
Si alza per andare alla cassa, e consegna tutto il denaro che posseggono.
Sapeva già che sarebbe stato insufficiente e per garantire il pagamento della differenza, per cui tornerà in settimana, lascia in pegno il suo cappotto.
Il barista non si scompone più di tanto: sono cose che capitano, in tempi duri è normale accordare credito.
Si atteggia quasi a benefattore insomma.
Masako e Yuko ne hanno ormai passate tante da far crollare anche le persone più irriducibilmente ottimiste.
Potrebbe essere l'inizio della fine, o perlomeno della rinuncia, ma è fortunatamente già scattato dentro di loro qualcosa, che li renderà invincibili.
Usciti dallo squallido locale, si ritrovano di notte in una località ancora più squallida, dove però decidono di abbandonarsi ai sogni.
Se sono stati trattati in modo indegno in quel locale, il bar che apriranno quando i tempi saranno migliori, il Giacinto, riserverà ad ogni cliente un trattamento impeccabile.
E se non troveranno i locali adatti lo apriranno là, all'aperto, continuando a generale richiesta servire i clienti anche in caso di pioggia.
Dopo avere a lungo bisticciato scherzosamente con Masako per decidere i colori e la disposizione dell'insegna del locale, Yuzo sente il bisogno di fare una prova.
Servirà il primo caffé a Masako, che deve immedesimarsi nei panni della prima cliente.
Naturalmente confermerà di essersi sentita completamente soddisfatta.
Solo dopo diverso tempo i due giovani si rendono conto di avere attirato con la loro burlesca messa in scena tutti gli sfaccendati dei dintorni.
Uomini e donne, vecchi e bambini, immobili a guardare la strana rappresentazione che avviene davanti a loro.
I due devono allontanarsi, ma sono finalmente immersi in una atmosfera magica in cui le cose possono andare solo di bene in meglio.
Troviamo in questa scena due elementi ricorrenti nelle opere di Kurosawa: la luna innanzitutto, presente in tanti film che dobbiamo rinunciare ad elencarli e rimandiamo alla sua filmografia.
E l'altalena, dove adesso Yuzo e Masako giocano infantilmente e che alcuni anni dopo sarà lo sfondo dell'addio alla vita del protagonista di Vivere.
Dall'alto dell'altalena, lo sguardo di Yuzo cade su un cartello lì vicino.
Indica la direzione dell'Auditorium, dove si è tenuta l'esecuzione della sinfonia Incompiuta di Schubert, evento che è rimasto per loro incompiuto di nome e di fatto, è lì vicino.
Perché non andarci?
Correndo ancora una volta a perdifiato, mano nella mano, ma stavolta con la sicurezza di trovare quanto vanno cercando, raggiungono l'Auditorium.
E' all'aperto, quindi nessuno impedisce loro di entrare, e si siedono nella platea umida dopo la pioggia, sotto un cielo in cui le luci della città si alternano a quelle delle stelle.
Kurosawa racconta nel suo Something like an autobiography (pubblicato anche in italiano da Dalai nel 2000 ma praticamente introvabile) che la sceneggiatura di Una meravigliosa domenica fu oggetto di lunghe discussioni tra lui ed il suo vecchio compagno di scuola Keinosuke Uekusa.
In quel momento collaborava con lui in qualità di sceneggiatore, attività che era anche molto importante per Kurosawa: se diresse 30 film, scrisse la sceneggiatura per 71 opere.
Uekusa lo avrebbe sempre accompagnato anche nella vita professionale e in quella privata, formando uno strano connubio più volte scioltosi come per caso ma per poi sempre ricompostosi in modo apparentemente altrettanto casuale. Avevano all'epoca entrambi 37 anni.
Concordarono immediatamente per grandi linee: Yuzo, sulle ali dell'entusiasmo, decide di immaginare di dirigere una orchestra nella esecuzione della incompiuta di Schubert, con Masako come unica spettatrice.
Una imprevista difficoltà si manifestò quando Kurosawa e i suoi colalboratori si resero conto della assoluta insensibilità musicale di Numazaki, assolutamente non credibile nella direzione dell'orchestra immaginaria, alla cui guida avrebbe invece dovuto avere un tocco oniricamente realistico.
La preparazione dovette essere così lunga e rigorosa che il direttore musicale del film, Tadashi Hattori, commentò che alla fine perfino Kurosawa, la cui goffaggine manuale era proverbiale, sarebbe stato in grado di dirigere il primo movimento dell'Incompiuta di Schubert.
Nonostante il suo entusiasmo iniziale, Yuzo si sente improvvisamente perduto.
Ha già chiesto a Masako di avere fede, di credere che effettivamente una orchestra suonerà per lei, ma anche la natura, sotto forma di un gelido vento che sferza sia il palco che la platea, sembra essere ostile a quel raggio di speranza.
Yuzo sta per rinunciare.
A questo punto Masako si rivolge direttamente agli spettatori,
In lagrime li implora, li scongirua, di avere fede nel miracolo.
E chiede loro di applaudire, di rompere col loro consenso quella cortina ghiacciata che impedisce al sogno suo e di Yuzo di materializzarsi.
L'applauso di Masako, cui si unirà quello del pubblico, darà a Yuzo la forza di continuare.
Questa scena finale fu materia di controversie: Uekusa avrebbe preferito che dopo l'appello della protagonista partisse un applauso, che poi si sarebbe rivelato provenire da una seconda coppia celata dal buio all'interno della sala.
Kurosawa volle rimanere fedele alla sua idea: tentare di provocare un applauso spontaneo da parte del pubblico, coinvolgendolo emotivamente e materialmente nella scena.
Fu un fiasco totale in Giappone, ove gli spettatori non avevano il coraggio di abbandonare la loro parte convenzionale lasciandosi trascinare all'interno della vicenda.
Qualche tempo dopo Kurosawa venne a sapere che durante le proiezioni a Parigi il pubblico applaudiva freneticamente all'appello di Masako, generando l'emozione che lui si era prefisso.
Solo dopo l'applauso da parte del pubblico immaginario, o quello reale da parte del pubblico in carne ed ossa, Yuzo si libera ed inizia a dirigere con passione la sua orchestra, mentre la colonna sonora inizia finalmente a diffondere le note della Incompiuta.
Perfino gli elementi sembrano concordare in questo intento benevolo, ora le foglie mosse dal vento si muovono - o appaiono muoversi - in perfetta armonia col ritmo della musica.
Kurosawa la lascia a lungo protagonista unica e assoluta della scena.
Terminata la partitura con l'abbraccio commosso dei due giovani innamorati, Kurosawa inquadra l'orsacchiotto portafortuna di Masako, che fa capolino dalla borsa lasciata poggiata sulla umida panca nella platea.
Più tardi, a notte fonda, stanno aspettando il treno che riporterà a casa Masako.
Sono immersi nei loro pensieri, ma non sono più pensieri cupi.
Perfino lo squallore della stazioncina di periferia, col cestino dei rifiuti sciaguratamente collocato accanto alla panchina, sembra ora più tollerabile, a loro come allo spettatore.
Il treno è arrivato,
Si debbono lasciare.
Ma ora lo possono fare con serenità, con una luce di speranza negli occhi.
Hanno passato una meravigliosa domenica.
Rimasto solo Yuzo si tira sul i bavero della giacca, non dimentichiamo che ha dovuto lasciare il cappotto in pegno, e sta per incamminarsi a sua volta dentro casa.
Come nella scena iniziale, gli cade l'occhio sopra un mozzicone di sigaretta.
E' però solamente un riflesso condizionato.
La guarda con indifferenza, e non la raccoglierà.
Adesso è un uomo libero.
Dopo il termine delle riprese Kurosawa ebbe una enorme soddisfazione, umana e professionale, ricevendo una cartolina che diceva: Al termine del film, si riaccesero le luci nella sala di proiezione. Un uomo anziano era rimasto al suo posto piangendo. La cartolina proveniva dal signor Seiji Tachikawa, il maestro elementare che aveva educato sia Uekusa che Kurosawa, che continuava: Quando ho visto apparire nei titoli di coda i nomi di Seinosuke Uekusa per la sceneggiatura e Akira Kurosawa per la regia, lo schermo divenne confuso e non riuscii a leggere il resto.
Tachikawa sensei venne invitato presso gli studi della Toho per una cena con i suoi due vecchi allievi. Era invecchiato, e debole al punto da non riuscire a masticare i sukiyaki offertigli. Ma assentiva, guardando i due ex monelli, emettendo dei sommessi suoni di approvazione.
Fu allora la volta di Kurosawa a vedere confusamente, per la commozione, il volto del suo vecchio maestro.
Akira Kurosawa: Nessun rimpianto per la mia giovinezza (Waga seishun ni kuinashi)
1946
Setsuko Hara, Susumu Fujita, Denjiro Okochi, Akitake Kono, Takashi Shimura.
Il titolo del mio primo film post bellico divenne una frase popolare. Dopo la sua distribuzione ci si imbatteva spesso nell'uso di "nessun rimpianto per .... " nei giornali e negli altri media. Ma per me personalmente la sensazione fu opposta. Ho molti rimpianti riguardo a questo film. La ragione è che la sceneggiatura venne riscritta contro la mia volontà.
Akira Kurosawa, Something like an autobiography, p. 148
Nel 1946 la casa di produzione Toho, in cui Kurosawa aveva mosso i primi passi e con cui doveva collaborare ancora a lungo portando a termine la maggior parte dei suoi capolavori, venne scossa da un lungo periodo di sommosse sindacali, che ebbero il loro culmine proprio nel momento in cui si girava la prima opera di Kurosawa successiva al periodo bellico.
Come spesso succede la sconfitta nella guerra aveva provocato un forte senso di rifiuto del passato, e maggiormente attivi e zelanti nella autocritica furono proprio coloro che maggiormente si erano compromessi col passato regime. Kurosawa, non ritenendo dignitoso criticare a posteriori quanto non aveva avuto il coraggio di combattere quando sarebbe stato il momento, mantenne una posizione neutrale e venne guardato con sospetto.
Venne "riabilitato" quando accettò di collaborare ad un film di scoperta propaganda poltica (I costruttori dell'avvenire) in cui il protagonista, un lavoratore dello spettacolo, prende coscienza grazie alla critica delle figlie della sua condizione di sfruttato e si ribella sfilando in piazza il primo maggio, ove gli viene concesso di portare la bandiera rossa. Dopo una sola settimana di riprese però Kurosawa sentì che non poteva continuare una collaborazione non sentita con una causa non sua e rassegnò le dimissioni, tornando nel limbo in cui era stato provvisoriamente collocato.
Ebbe una nuova occasione quando venne approvata la produzione del suo nuovo film, ambientato presso l'Università di Kyoto ed ispirato ad un fatto di cronaca che aveva fatto scalpore prima della guerra.
Ma nel frattempo presso gli studi di produzione era stato istituito un Comitato di Revisione delle Sceneggiature, fortemente politicizzato, con la missione di vigilare che ogni opera in corso di produzione rispondesse ai criteri ideologici voluti dal sindacato. La sceneggiatura originale di Nessun rimpianto per la mia giovinezza, uscita dalla mente di Eijiro Hisaita, venne completamente riscritta per riassemblarla cucendola assieme ad una seconda sceneggiatura, che trattava di un tema analogo, che era stata presentata al Comitato e godeva di forti appoggi politici.
Le obiezioni di Kurosawa, secondo lui solo apparentemente le due storie erano simili ma in realtà avevano intonazioni completamente diverse ed avrebbero dovuto dare origine a due film assolutamente differenti, non vennero ascoltate. Solamente negli ultimi venti minuti del montaggio Kurosawa deliberatamente cercò di riportare la trama sulle tematiche da lui volute, rinunciando tuttavia alla congruenza tra la parte precedente e quella finale e firmando un'opera che sapeva incoerente.
Ebbe tuttavia qualche sia pur platonica soddisfazione postuma: lo stesso Comitato di Revisione ammise che la sua visione dell'opera era tanto giusta quanto incompatibile con le modifiche impostegli, e il comitato di censura delle autorità di occupazione statunitensi, che si stava orientando a non approvare la distribuzione dell'opera, cambiò completamente opinione proprio grazie a quei venti minuti finali, e alcuni dei suoi componenti strinsero calorosamente la mano del regista al termine della proiezione.
Le agitazioni sindacali non avevano però ancora terminato di fare danni: alcune delle figure più rappresentative della Toho, e soprattutto gli interpreti più famosi, decisero esasperate di uscirne, aderendo alla nuova casa di produzione Shin Toho (Nuova Toho). Occorsero anni prima che la Toho riuscisse a riprendersi dalla emorragia, ma fortunatamente questa nuova difficoltà, che obbligò Kurosawa a ricorrere a nuovi talenti emergenti e semisconosciuti o sconosciuti del tutto, portò nuova linfa. Basti ricordare la scoperta, avvenuta grossomodo l'anno seguente, del meraviglioso talento di Toshiro Mifune e la rivalutazione dello straordinario Takashi Shimura, che sembrava destinato ad una non gloriosa carriera di caratterista.
In questo film Kurosawa utilizza ancora, per l'ultima volta, Denjiro Okochi e Susumu Fujita, che erano stati i protagonisti nelle sue opere precedenti (Sugata Sanshiro, Tora no ofumu otokotachi e Zoku Sugata Sanshiro). Fujita impersona il giovane intellettuale militante Ryukichi Noge, Okochi (in basso) il professor Yagihara, combattuto tra la necessità di allinearsi alla ideologia dell'epoca - in quanto riveste un ruolo ufficiale - e le sue convinzioni interne che lo portano a condividere i principi anche se non i metodi della ribellione di Noge.
La trama del film ripercorre, ovviamente a grandi linee, un episodio che come abbiamo detto aveva fatto scalpore alcuni anni prima: la destituzione del professor Takigawa accusato di avere impostato il suo insegnamento sulle dottrine marxiste, e le conseguenti dimissioni per protesta dei suoi colleghi della facoltà di Legge dell'Università di Kyoto.
Nel film la giovane Yukie, figlia del professore Yagihara la cui figura palesemente allude a quella di Takigawa, è divisa tra l'amore di due giovani, il tranquillo e un po' conformista Itokawa (Akitake Kono) e l'impulsivo Noge, che si contendono le attenzioni di Yukie durante una gita di gruppo nel bosco.
Noge verrà perseguitato, imprigionato ed infine ucciso dalla polizia politica. Yukie, imprigionata a sua volta come complice e liberata solo diverso tempo dopo, rimarrà fedele alla sua memoria. Senza alcun rimpianto per la sua giovinezza perduta. Si recherà nel lontano villaggio dei suoceri e là farà violenza alla sua natura borghese per vincere la loro diffidenza e conquistarsi il loro rispetto, affrontando senza un lamento il duro lavoro dei campi.
La riluttanza di Kurosawa è manifesta nel film, il suo rimpianto per avere accettato di trattare temi non sentiti emerge prepotentemente appena dopo la parte iniziale, in cui si sente evidentemente più a suo agio.
Il professor Yagihara ha deciso di trascorrere una serena giornata in mezzo alla natura, sulle sponde di un lago, assieme alla moglie.
Si sono uniti alla gita un gruppo di studenti, in divisa come era costume dell'epoca, e la loro figlia Yukie.
I caratteri ed i sentimenti dei ragazzi vengono tratteggiati da Kurosawa attraverso le sue consuete metafore, insolite ed innovative quanto attraenti.
In questa parte iniziale praticamente nessuno dei protagonisti parla: tutto viene espresso attraverso il comportamento, i gesti, le espressioni del viso
L'impulsiva e probabilmente viziata Yukie (Setsuko Hara), che indossa un vestito assolutamente inadatto ad una scampagnata, si trova in difficoltà nel momento di guadare un torrente.
La ragazza è visibilmente contesa tra due giovani: Itokawa, anonimo e conformista, per non dire pavido, e l'idealista Noge.
E' naturalmente il secondo che rompe gli indugi e la raggiunge in mezzo al guado, prendendola senza complimenti nelle braccia per portarla sulla riva, mentre lei inutilmente sgambetta contrariata.
E appena deposta a terra, lei va scherzosamente a rimbrottare il mortificato Itokawa, quasi come per rassicurarlo che nonostante tutto il prescelto sarà lui.
Si lancia poi in una corsa a perdifiato in mezzo al bosco, sicura che tutti verranno dietro di lei.
Oltre a dare un altro tocco nel contornare la figura irrequieta di Yukie, Kurosawa anticipa già molti degli stilemi cui ricorrerà nei capolavori che gli diedero notorietà mondiale.
Aveva l'anno precedente girato Tora no ofumu Otokotachi, nel folto di una foresta per esigenze di copione, ed evidentemente questa esperienza lo aveva attratto. Fino ad allora infatti le riprese all'interno dei boschi erano considerate troppo difficili e da evitare, lui vi ricorse al contrario appena possibile.
Il tema della corsa nel bosco ritornerà in Rashomon, e il segno della battaglia finale in I sette samurai è la corsa dei guerrieri ai loro posti di combattimento quando suona l'allarme. In Rapsodia in agosto, girato 45 anni dopo questo film, la corsa disperata dei familiari che rincorrono Kane, sferzati da una pioggia sovrannaturale, chiude l'opera.
Questa non è però una corsa disperata e drammatica come quelle che vedremo nelle opere successive: è dionisiaca, liberatoria.
Nonostante intonazioni così diverse la stessa tecnica, quella del panning in cui la macchina da ripresa segue la persona, con un effetto di mosso dello sfondo mentre il personaggio rimane maggiormente a fuoco, viene utilizzata da Kurosawa in tutte queste sequenze..
Al termine della sua corsa Yukie si riposa serena sul prato, come se si fosse liberata da troppe tensioni represse.
Man mano che la trama si sviluppa ne divengono più evidenti i punti deboli: in un eccesso di retorica i temi trattati vengono dati per scontati, ed il protagonista della ribellione al sistema, che dovrebbe essere in primo piano, rimane una figura sfuocata che si esprime solo con generiche frasi fatte, prive di incisività.
A peggiorare la situazione dà il suo efficace contributo l'ennesimo deprecabile doppiaggio in italiano che non tiene in alcun conto le intonazioni originali volute dal regista e le espressioni volitive degli attori, in palese disaccordo con i toni queruli da soap opera scelti dai doppiatori o fatti loro scegliere.
Kurosawa dal canto suo fa quello che può, ma è evidente che non riesce a rendere al meglio temi non suoi.
Continuano le discussioni e a volte gli scontri tra Noge e la giovane Yukie, cui assiste muto lo scialbo Itokawa.
Se Noge appare poco credibile nella fumosità dei suoi ideali, lo è però ancora di meno Yukie di cui non si capisce l'opposizione di principio ad affermazioni vaghe ma proprio per questo condivisibili, mentre la sua focosità appare come uno scontato stratagemma che vuole preparare lo spettatore allo sbocciare dell'amore tra i due.
Sicuramente Kurosawa è rimasto profondamente insoddisfatto di questa opera: lo prova alcuni anni dopo quando riprende in L'idiota, sviluppandoli con maggiore serenità e mano più felice, alcuni dei temi solamente e grossolanamente abbozzati nel Rimpianto.
Yukie per sfogare le sue inquietudini suona al pianoforte per Noge I quadri di una esposizione di Mussorgskij, come farà nella seconda opera Ayako per Kameda, e quando l'idillio sfocerà nel matrimonio dopo alcuni anni di separazione il suo comportamento diverrà ancora più capriccioso, ai limiti della paranoia, come tornerà a fare Ayako.
Un tentativo di Kurosawa di approfondire i temi della emotività femminile, cui non seppe tuttavia abbandonarsi completamente, per un misto di rispetto e di timore reverenziale. I protagonisti delle sue opere sono quasi sempre uomini, le eccezioni sono talmente poche da numerarsi sulle dita di una sola mano e le vogliamo qui elencare:
Nel 1944 l'operaia Tsuru nel film di propaganda bellica Lo spirito più elevato
Nel 1946 la ribelle suo malgrado Yukie in questa opera
Nel 1947 la romantica Masako in Una meravigliosa domenica
Appaiono poi occasionalmente coprotagoniste, spesso tragiche ma talvolta grandi nella loro tragedia: in Rashomon la donna contesa Masako (un caso che il nome sia ancora quello, ma in una situazione così diversa e diametralmente opposta?). In L'idiota Ayako e soprattutto Taeko. E poi Asaji, avvelenata dall'ambizione in Il trono di sangue, e che rimane una delle sue figure più forti. Viene poi un lungo periodo in cui la figura femminile appare soprattutto di contorno, non sfuggendo a questa regola nemmeno la capricciosa principessa Yuki in La fortezza nascosta. Solamente nel 1985 in Ran la crudele Kaede riporta una donna ad essere struttura portante - anche se non la sola e non la principale - di una vicenda narrata da Kurosawa. Dobbiamo arrivare ancora più lontano prima che una donna, l'ultima, torni ad essere protagonista assoluta.
Nel 1991 la tormentata Kane in Rapsodia in agosto.
Assodato che la rappresentazione dell'animo femminile ha spesso messo in difficoltà Kurosawa, che fu il primo a riconoscerlo, va detto comunque che nella seconda parte del film proprio la figura di Yukie riscatterà i punti deboli costituzionali della vicenda.
Esasperato dalla volubilità di Yukie Noge trova invece solidarietà nel padre, per quanto appartengano a mondi differenti ed abbiano ruoli e caratteri diversi.
E' il professore per primo a segnalare l'infittirsi dei controlli governativi sopra la dissidenza, che arrivano a minacciare apertamente dalle pagine dei giornali le chiusure delle facoltà considerate più sovversive.
Rotti temporaneamente i rapporti con l'esasperante Iukie, Noge è uno degli animatori dei moti studenteschi, delle cui motivazioni d'altronde poco capiremmo se dovessimo affidarci solamente alle immagini del film e alle traduzioni dei generici striscioni di protesta che appaiono in sovraimpressione.
Verrà arrestato durante una manifestazione di protesta, e portato via da un nugolo di poliziotti.
In un discorso tenuto alla platea degli studenti Yagihara riconosce la sconfitta, e privatamente consiglia i loro capi di non mettere a repentaglio inutilmente la loro carriera universitaria. Nella realtà il professor Tagikawa venne destituito dal Ministro della Pubblica Istruzione e i suoi colleghi della facoltà di GIrurisprudenza diedero le dimissioni per protesta, si trattava quindi di un episodio dai contorni molto diversi di quelli tratteggiati nella sceneggiatura, se veramente la trama la si voleva ispirata soprattutto alle agitazioni politiche dell'epoca si è persa una buona occasione .
Itokawa, per indole e per le pressioni della famiglia che si sacrifica per mantenerlo agli studi, vuole staccarsi dal movimento studentesco. Di più. E' disposto a tradirlo per assicurarsi l'immunità. Scoperto dai compagni, viene anche lasciato definitivamente da Iukie.
La sequenza successiva ci trasporta 5 anni dopo, nel 1938. La mano pesante del governo militarista si sente sempre più forte e reparti in arme percorrono le strade di Kyoto.
Iukie non ha trovato una soluzione od uno sfogo ai suoi problemi esistenziali. La sua gioventù continua a consumarsi inutilmente, è distratta ed apatica nello studio, irritabile ed incostante negli interessi personali.
La vediamo disfare con stizza il lavoro ikebana che stava tentando inutilmente di assemblare, e che avrebbe dovuto portarle invece serenità.
Itokawa che ha fatto carriera - è procuratore - sta invano cercando di convincere il professore a chiudere il suo studio di consulenze legali gratuite, malvisto dalle autorità. Trattenendosi a cena, si è riavvicinato a Iukie, aveva annunciato una importante novità: tra alcuni giorni avrebbero rivisto Noge.
Noge, che sembra molto più rilassato e sicuro di se di una volta, dichiara infatti di essere cambiato nei 5 anni passati in prigione: ha letto molto, è maturato.
Iukie si è già resa conto di non essere fatta per vivere una vita tranquilla e monotona al fianco di Itokawa, la attirano lo spirito di avventura e lo slancio vitale incurante delle conseguenze di Noge. Lo ha già ammesso con lo stesso Itokawa, ma non le sarà facile confessarlo a Noge.
Questi dal conto suo, che ora ha un lavoro nell'esercito, confessa di essere cambiato anche nello stile di vita, e sembra avere rinunciato ai suoi slanci rivoluzionari.
I sentimenti di Iukie i suoi progetti di vita non sono chiari nemmeno a lei stessa ed infine prenderà la decisione di andare a vivere da sola, per capire meglio cosa vuole veramente dalla vita.
Si trasferirà a Tokyo, ma nemmeno lì troverà serenità, sempre vagheggiando nuovi progetti come quello di trasferirsi in Cina, ma sempre incapace di trovare interesse in qualcosa.
La ritroviamo così 3 anni dopo, nel 1941, quando il Giappone sta per entrare nella seconda guerra mondiale.
Non ha mai tentato di incontrare di nuovo Noge, ma viene a sapere da Itokawa, ormai sposato e prossimo a diventare padre, che anche lui risiede ora nella capitale.
Da lui viene a sapere che Noge dirige ora un istituto di ricerche storiche e sociali. Non dice nulla, ma sa già he lo andrà a cercare.
Anche in un'opera indiscutibilmente poco riuscita, ed anche nei momenti meno felici, Kurosawa è pur sempre un grande artista, ed il suo soffio poetico a volte è impetuoso ed emerge, nonostante ogni circostanza avversa.
Iukie dopo essersi fatta annunciare, senza tuttavia lasciare il suo nome, rinuncia e si allontana.
Tornerà da allora molto spesso e per lungo tempo alle porte dell'istituto, senza trovare mai il coraggio di entrare di nuovo.
La lunga sequenza in cui Iukie, nelle varie stagioni, abbigliata modernamente o col tradizionale kimono, vaga per quella strada senza sapere che fare, è singolarmente leggera e piacevole anche se priva di fatti, di dialoghi e di altri personaggi.
Non sapremo mai se è per caso che Noge finalmente la incontra, mentre intenta ai suoi pensieri nemmeno si accorge del suo arrivo.
Già a questo punto il film vira verso altri orizzonti: non più il tentativo di rendere conto di avvenimenti epocali che probabimente Kurosawa non si sentiva di rappresentare sentendosene troppo coinvolto di persona, ma la vicenda di due esseri umani. Tutto il resto, per quanto drammatico, rimarrà sullo sfondo.
Yukie sente che l'ideale che brucia Noge può dare un senso anche alla sua vita, e chiede di esserne messa a parte.
Nonostante tutto il suo tentativo resterà vano, ed il suo carattere capricciosamente irrequieto non le consentirà di trovare appagamento nemmeno nella unione con Noge, con cui va ben presto a vivere.
I rapporti tra i due pur conoscendo momenti felici saranno sempre tesi: l'inquietudine di Yukie ha origini lontane, e Noge anche per tutelarla non le confida tutto. Lei in qualche modo avverte la necessità di questo riserbo ma caratterialmente lo interpreta come una mancanza di fiducia.
Come già detto Kurosawa replicherà in L'idiota questa situazione di difficoltà tra due persone che pure si amano, protagonisti il visionario e romantico Kameda e l'inquieta Ayako, come se avesse sentito di non essere riuscito ad esprimere tutto quanto avrebbe voluto qui rendere manifesto sullo schermo.
Se è così Kurosawa stava forse pretendendo troppo dalla sua pur grande maestria di narratore: vi sono sentimenti che è possibile rappresentare ma rimangono impermeabili ad ogni tentativo di approfondimento.
Col tempo sembra che le oasi di serenità inizino ad allargarsi, e Noge a confidarsi maggiormente con Yukie. Porta sempre con se la foto degli anziani genitori, che vivono in uno sperduto paese di campagna, e che non vede ormai da 10 anni.
I due non avranno modo di continuare la loro reciproca scoperta.
Noge ha un appuntamento in un ristorante, e porta con se un pacco. La polizia sicuramente lo sorvegilava da tempo, in attesa di coglierlo sul fatto con del materiale compromettente.
Il cameriere che sembra attendere i suoi ordini è in realtà un poliziotto travestito, che si getta su Noge e lo trattiene per dare tempo ai colleghi di intervenire ed arrestarlo.
Yukie non vedrà mai più Noge.
Anche lei viene arrestata, dopo una irruzione nella casa da parte di un nugolo di poliziotti in borghese, e condotta in prigione.
Vi rimarrà dverso tempo per fiaccarne la resistenza ed indurla ad una confessione.
Kurosawa lascia intuire l'entità del tempo trascorso, e le angosce della giovane donna precipitata in un incubo di cui non intravede nemmeno la fine, attraverso il moto di una pendola in sovraimpressione.
E' incaricato del suo interrogatorio un disincantato funzionario di polizia.
E' impersonato da Takashi Shimura, dopo i brevi ruoli di contorno ricoperti in Lo spirito più evelato e Gli uomini che camminavano sulla coda della tigre alla sua prima prova di un certo impegno, ricca di primi piani e che richiede grandi doti di caratterista.
Sappiamo che diventerà poi in breve uno dei pilastri portanti sui quali Kurosawa fondò i suoi maggiori capolavori.
Durante uno degli interrogatori gli altoparlanti della radio presenti ovunque diffondono a grande volume un comunicato: le forze giapponesi hanno attaccato la base navale statunitense di Pearl Harbour, dando inizio alla guerra.
Questo certamente non contribuisce ad alleggerire la posizione dei due, accusati di spionaggio. Per quanto provata Yukie non cede, del resto non avrebbe nulla da confessare nemmeno volendo.
Quando improvvisamente viene liberata e riportata a casa dal padre non sa spiegarsene la ragione, ma non ne ha nemmeno le forze.
Dietro la sua liberazione c'è in realtà Itokawa, che è diventato un importante funzionario della Procura.
Il professor Yagihara si reca da lui: ha esaminato le carte e non crede alla colpevolezza di Noge: intende assumerne la difesa.
Nonostante sia ormai anziano sente di dover fare qualcosa, quello che non ha avuto energia di fare nei 10 anni da quando ha abbandonato l'università. Sente di avere imparato qualcosa, lui maestro, dal suo antico allievo.
Ma è troppo tardi: Itokawa gli comunica che quella notte Noge è deceduto nel carcere della questura.
La notizia annienta Yukie.
Il padre tenta di farla riprendere dalla crisi: deve dimostrarsi degna moglie di Noge.
E deve sempre ricordare quello che le ha detto quando decise di andare a vivere da sola per essere più libera: la libertà ha un prezzo.
Yukie si scuote e all'improvviso prende una decisione: andrà dagli anziani genitori di Noge.
Yukie ha portato con se le ceneri di Noge e le ha consegnate alla madre (Haruko Sugimura).
Di notte - così non si seppelliscono nemmeno i cani commenta l'anziana madre - le depongono in una fossa che lei ha scavato con le sue mani.
La gente del luogo ha creduto che Noge fosse una spia e le due donne sono costretti a seppellirne i resti clandestinamente.
E' solo la prima di una lunga serie di prove che Yukie dovrà superare, passando attraverso l'inferno non per rivivere ma per iniziare finalmente, per la prima volta, semplicemente a vivere.
La casa è sprangata per evitare visite di malintenzionati, e ogni giorno appare sui muri qualche scritta ostile.
I genitori di Noge vivono come uccelli notturni, senza mai vedere la luce del sole ed uscendo solo nell'oscurità, per evitare di incontrare altre persone, a sbrigare le loro faccende.
Yukie fatica anche a farsi accettare.
Il suo desiderio è di rimanere a vivere assieme ai mancati suoceri, ma il padre di Noge (Kokuten Kodo) è piombato in uno stato apatico da cui nulla sembra riuscire a scuoterlo. Non le parlerà mai.
La madre dal canto suo è scettica sulle possibilità di una donna di città di adattarsi alla dura vita della campagna.
Yukie non si dà per vinta e chiede di essere messa alla prova ma la donna non ha tutti i torti: oltre a superare le difficoltà ambientali Yukie dovrà anche sfidare l'ostilità della gente.
Lo strenuo lavoro fisico richiesto dal lavoro dei campi mette a dura prova la resistenza di Yukie, solo l'ostinata volontà di rendersi degna di essere la moglie di Noge, di gridarlo con orgoglio anche di fronte ad un mondo ostile, la sorregge.
La sfida del lavoro per quanto impegnativa non le basta: libera dalle assi inchiodate la porta di casa e nonostante lo sbigottimento della vecchia esce per recarsi nei campi in pieno giorno, affrontando l'ostilità del paese.
Verrà attorniata e derisa dai bambini ogni giorno, mentre gli adulti la ignorano metodicamente, limitandosi a fissarla con ostilità , ad additarsela l'un l'altro o al contrario a chiudere la porta di casa al suo passaggio, o infine a deriderla nascosti dietro gli alberi quando cade al suolo spossata dalla fatica.
Il solo risultato che Yukie riesce ad ottenere è quello di conquistare perlomeno la stima e l'apprezzamento da parte della suocera. Lavorano fianco a fianco per mesi nel campo di riso, in mezzo all'acqua gelida.
La voce immateriale di Noge, che le ripete incessantemente i suoi incitamenti a non cedere, a perseguire i propri ideali a qualunque costo, le fornisce l'energia interna necessaria per non cedere, anche se il corpo è giunto al limite dello sfinimento e forse lo ha addirittura oltrepassato.
Negando l'evidenza anche a se stessa continua a lavorare anche con i sintomi della febbre provocanta dalla continua permanenza nell'acqua.
Crollerà proprio quando la suocera ride estasiato al vedere la grande distesa di piantine di riso in germoglio, che hanno piantato da sole.
Nemmeno quando è a letto scossa dalla febbre però il suocero le rivolge la parola.
Il giorno seguente una terribile sorpresa attende le due donne: i loro campi sono stati distrutti dagli altri contadini. I parenti delle spie non devono nemmeno vivere.
Nel campo sconvolto sono stati piantati dei cartelli: "I traditori della patria non hanno diritto di coltivare".
Yukie li strappa con rabbia, ed inizia a raccogliere le piantine sradicate per tentare di recuperare qualcosa della semina.
Con loro grande sorpresa vedono una figura barcollante avanzarsi correndo tra i campi: è il vecchio.
Travolto dalla furia ha però recuperato la parola ed inizia ad inveire contro i crudeli e sciocchi contadini che hanno emesso ed eseguito di persona quella inumana sentenza.
Yukie e la suocera sorridono: quella assurda ed implacabile ostilità e quella nuova tragedia hanno avuto perlomeno il merito di farli diventare una famiglia unita.
Nella sequenza successiva Kurosawa indugia sulle mani di Yukie che si muovono agili sulla tastiera. La donna è colta da un attimo di nostalgia per la sua vita trascorsa, noiosa ma indubbiamente comoda?
L'immagine sfuma, le mani di Yukie sono ora immerse nell'acqua, intente al lavoro quotidiano nella risaia.
Un passante la chiama: sta cercando la casa dei Noge: lei può indicarla?
E' solo lentamente, riemergendo da un altro mondo, che Yukie riconosce Itokawa.
Ed è solo a stento e con stupore che lui la riconosce a sua volta.
E' venuto su richiesta della madre di Yukie, per convincerla a tornare a casa.
Ma fa immediatamente un passo sbagliato, criticando le scelte sbagliate di Noge.
La reazione di Yukie lo lascia stupito, ma non ammette repliche.
Dapprima si limita a fissarlo muta, con un enigmatico sorriso, e quando poi lui chiede di visitare la tomba di Noge glielo proibisce.
E gli rammenta che non è in grado di giudicare le scelte di Noge: solo il tempo potrà permettere di comprendere se fossero giuste o meno.
A Itokawa, consapevole di essere di fronte a qualcosa che non sarà mai in grado di comprendere, non resta che allontanarsi.
La guerra è finalmente finita.
Il professor Itokawa è tornato alla Università di Kyoto per tenervi un discorso,.
E per ricordare quel suo vecchio allievo, Ryukichi Noge, che sedeva un giorno in platea assieme agli altri, quel suo allievo da cui lui ha potuto imparare tanto.
Ed è nella speranza di veder nasce un altro Noge, un secondo, tanti altri ancora, che ha deciso di tornare alla Università e riprendere l'insegnamento.
La tastiera del pianoforte conosce ancora le mani di Yukie.
E' tornata in visita ai suoi genitori.
Invano la madre la incita a rimanere, essendo raggiunto il suo scopo, quello di dimostrare con i genitori di Noge di essere stata la degna compagna del loro figlio.
Yukie fa notare le sue mani: si sono trasformate, sono ormai quelle incallite ed indurite di una contadina. Il suo posto è sempre là.
Accanto alla trasformazione delle mani chiaramente ne è avvenuta anche un'altra, più importante, nell'animo di Yukie.
Sente che ritornando nella campagna potrà realizzare quello che era l'ideale di Noge: vivere una vita che si possa lasciare infine quando sarà il momento, senza la sensazione di averla sprecata, gettata al vento, senza alcun rimpianto per la propria giovinezza.
Yukie si reca ancora una volta presso il lago dove lei ed il gruppo di studenti erano andati in gita tanti anni prima.
Indugia sui bordi di quel ruscello dove Noge l'aveva presa in braccio, quasi di prepotenza, per portarla sull'altra riva.
Degli universitari in gita attraversano a loro volta il torrente. Cantano la stessa canzone che cantavano loro quel giorno.
Lei li fissa, pensierosa.
Sta ora ritornando dai suoceri, camminando a piedi su una strada sterrata che sembra interminabile.
Passano dei camion, che portano contadini sul cassone, e l'ultimo si ferma.
L'hanno vista, e vogliono darle un passaggio.
Tra i contadini solo volti sorridenti, felici di vederla tornare a casa.
Yukie sta vincendo la sua battaglia.
Akira Kurosawa: Lo spirito più elevato (Ichiban utsukuchiku)
1944
Yoko Yaguchi. Takako Irie, Takashi Shimura
E' questo l'unico film di Kurosawa ambientato al momento corrente, quasi una instant-movie: tratta degli eroici sforzi delle operaie di una fabbrica di strumenti di precisione per supportare l'impegno bellico del Giappone.
Dovendo preparare un elenco delle opere meno riuscite di Kurosawa, molti la includerebbero senza esitazione. E' comprensibile, ma non è del tutto giusto. E' praticamente la sola opera in cui Kurosawa non ha avuto alcun margine di scelta, trovandosi oltretutto agli esordi della carriera come direttore dopo una lunga gavetta come sceneggiatore.
Aveva solamente 33 anni durante le riprese ed era al suo secondo film come regista, quindi aveva scarso potere contrattuale. Forse addirittura nullo se consideriamo il tempo di guerra ed il crescente rigoroso controllo delle autorità sui mezzi di comunicazione.
Eppure non possiamo negare che il film raggiunga in pieno gli obiettivi - certamente discutibili - che si era proposto e che Kurosawa abbia saputo dirigere magistralmente sia la cinepresa che gli attori. Nemmeno si può dire che Kurosawa sia rimasto famoso per la sua acquiescienza con la rigida censura degli anni di guerra.
Durante il montaggio del film Cavalli, che il suo maestro Kajiro Yamamoto gli aveva affidato per il montaggio, gli venne imposto dal colonnello Mabuchi, dirigente della censura, il taglio della scena più importante del film. Ascoltando alla radio una vendita all'asta di cavalli Yamamoto aveva udito in sottofondo il sospiro di dolore di una donna che aveva appena visto vendere il suo animale e volle replicare la scena, facendo scoppiare in pianto la protagonista al momento di una festicciola familiare in cui si beveva del sake.
Sfortunatamente all'epoca vigeva la proibizione di bere alcolici durante il giorno, e venne imposto bruscamente di tagliare tutto. Kurosawa rifiutò altrettanto bruscamente. Infine, dietro pressione del produttore Morita, che gli aveva visto sul volto la tipica espressione di quando diventava irremovibile, si recarono di persona una sera all'abitazione di Mabuchi per chiederne ragione. Ironicamente, la moglie di Mabuchi servì del sake, ma i tre uomini dopo aver bevuto rimanevano impassibili l'uno di fronte all'altro, in posizione formale, senza nulla dire.
L'imbarazzata padrona di casa continuò a rifornirli di sake per un tempo interminabile, mentre le bottiglie si accumulavano ma nessuno apriva bocca. Infine il colonnello si inchinò a Kurosawa dicendogli "Mi dispiace. Per favore, tagli quella scena." Solo allora, alle prime luci dell'alba, Kurosawa succintamente rispose "Va bene, lo farò." Un episodio che potrebbe apparire così com' è, senza alcun adattamento, in uno qualsiasi dei suoi film.
Questo film fu molto importante per la vita personale di Kurosawa: durante la lavorazione infatti, dopo una serie di bisticci iniziali che sembravano anchessi appartenere alla sceneggiatura di un film, si innamorò della protagonista Yoko Yaguchi e finì per sposarla.
Solo dopo lei si rese conto, ricorda ironicamente Kurosawa, che il suo stipendio come regista era solo una frazione di quelli riservati agli attori di grido.
La fabbrica Toa produce come detto strumenti di precisione (il set è una vera officina, quella della Nippon Kogaku in Hiratsuka), ed il direttore ha richiesto alle maestranze un periodo di impegno straordinario per fronteggiare le esigenze belliche: tutta la produzione viene praticamente assorbita dalle necessità di sistemi di puntamento per vari tipi di armi. Agli uomini viene richiesto di aumentare la loro produzione del 100%, alle donne del 50%.
Ma le operaie non ci stanno, manifestando il desiderio, l'esigenza insopprimibile di fare qualcosa di più per aiutare la lor nazione, e si impegnano spontaneamente, del resto sono tutte volontarie e quindi particolarmente motivate - a incrementare il prodotto del 70%.
Kurosawa aveva deciso di girare un film in stile documentario, rimuovendo ogni artificiosità dal gruppo di attrici selezionato per ricoprire i vari ruoli chiave.
Organizzò quindi la loro vita quotidiana in ogni minimo particolare: per stimolare il loro spirito di gruppo le suddivise in squadre che si dedicavano alla corsa non agonistica, jogging si direbbe oggi, o alla pallavolo.
Questo non gli creò particolare difficoltà.
Fu veramente arduo invece convincere le riluttanti ragazze ad accettare di far parte di una banda di fiati e ottoni che sfilava quotidianamente per le strade, ogni mattina prima dell'inizio della giornata lavorativa, attirando l'attenzione di tutti.
Naturalmente dispose di farle alloggiare nei dormitori collettivi della fabbrica, sottoposte agli stessi turni di lavoro delle maestranze vere e proprie e prendendo anche i pasti in comune.
Ottenne così di far perdere loro ogni artificiosità di aspetto o di atteggiamento, ed una notevole credibilità nel ruolo di operaie specializzate.
Ancora molti anni dopo, riguardando il film, poteva concludere di essere riuscito in quello che si era prefissato: raffigurare le vicende di un gruppo di ragazze normali, piene di energia e di ingenue aspettative sulla vita.
Rimase l'unica opera di Kurosawa che ebbe come protagoniste assolute delle donne.
In cui anzi gli uomini rimangono relegati in ruoli assolutamente secondari.
Rivedendo l'opera ancora molti anni dopo Kurosawa continuava a convenire sulla assoluta impossibilità di rendere - o tentare di rendere - sentimenti di assoluto patriottismo e completa dedizione attraverso la recitazione. Era assolutamente necessario creare coesione e solidarietà all'interno del gruppo di lavoro, generando così autentici sentimenti da far riprendere agli obiettivi.
L'impegno quotidiano delle attrici e delle maestranze nel lavoro della fabbrica, contribuì anche a far assumere a tutti un atteggiamento più naturale, ed i volti delle persone concentrate nel comprendere il funzionamento dei meccanismi o a controllare la qualità delle lenti prodotte riuscirono a trasmettere fedelmente, secondo il regista, la vitalità e la bellezza delle persone al lavoro.
Per le riprese delle operaie al lavoro venne adottata paradossalmente una marcia militare "nemica": Semper fidelis, composta nel 1888 da John Philip Sousa ed adottata nel 1909 dal corpo dei marines. L'occhiuta censura tuttavia non se ne accorse
La protagonista del film, che rimane comunque corale come molte delle opere di Kurosawa, è la giovane Tsuru Watanabe (come già sappiamo interpretata da Yoko Taguchi), leader del gruppo di operaie arruolate volontarie nella fabbrica di strumenti di precisione Toa Kogyo.
E' lei che propone di elevare la quota di produzione, è lei che sprona continuamente le compagne.
La maestra Mitsushima ha invece l'incarico di fare un po' da sorella maggiore al piccolo gruppo, curando non solo l'efficienza del dormitorio e del refettorio ma anche il loro morale.
Kurosawa amava ricordare che l'attrice prescelta, Takako Irie, aveva delle doti materne naturali.
In brevissimo tempo era arrivata a ricoprire esattamente lo stesso ruolo di punto di riferimento per l'intero gruppo di giovani attrici.
Gli alti e bassi della produzione concordano con le vicende umane, piccole e grandi, liete e tristi, delle operaie.
Si esaltano per una partita di pallavolo ben giocata o si deprimono per l'infortunio di una compagna costretta a lasciare per qualche tempo la fabbrica.
L'incerta salute di un'altra compagna, Hisae Yamaguchi, in preda a febbri continue, genera scoramento.
Il congedo forzato di Asako Suzumura, ammalata, è un altro colpo al morale: la produzione crolla.
Lo spirito combattivo riitornerà più tardi, quando si scoprirà che la povera Yamaguchi continuava a lavorare di nascosto nonostante le sue febbri ricorrenti.
Andrà alle stelle quando Susumura farà ritorno guarita.
Tra le compagne festanti non c'è Watanabe. Per caso una lente non controllata è finita tra le migliaia di lenti già collaudate pronte per il montaggio.
Durante la notte Watanabe le ricontrolla da capo una per una, cantando ininterrottamente la canzone del gruppo per resistere alla stanchezza crescente.
Ogni volta che sta per addormentarsi le appare la visione raccapricciante di un pilota che viene abbattuto per essersi trovato nel momento dell'estremo bisogno con uno strumento di mira difettoso.
Al termine della notte insonne, e di una estenuante ricerca coronata tuttavia dal successo, le viene consegnata una lettera del padre dal villaggio natìo.
La madre è improvvisamente deceduta, ma lui la invita a rimanere nella fabbrica a compiere il suo dovere, rinunciando a vedere per l'ultima volta il corpo esanime della genitrice e renderle gli onori funebri.
I dirigenti della fabbrica tentano di convincerla, ma invano. Watanabe rimarrà al uo posto di lavoro. Cede anzi la licenza che le spetta di diritto a Yamaguchi, che potrà così ritornare anche lei in piena efficienza e contribuire allo sforzo comune.
Va detto, giunti al momento di tirare le somme, che la decisione di Kurosawa di adottare uno stile documentario attenua l'eccesso di retorica della trama ma non può farlo dimenticare.
Di conseguenza l'opera non può dirsi un capolavoro: non ve ne erano assolutamente le condizioni. Lo stesso Kurosawa riconosceva che non era una delle sue opere migliori, pur tenendola tra quelle più care.
Inoltre continuò a chiedersi per tutta la vita come mai di quel gruppo di giovani, volenterose e brillanti attrici, nessuna abbia poi continuato la carriera artistica.
Prima del termine delle riprese praticamente tutte si erano sposate ed erano ritornate ad una vita normale. Era forse stato lui la causa di tutto questo, chiedendo loro troppo?
Nessuna di quelle donne gli confermò in seguito questa impressione, quando ebbe modo di porre la domanda. Ma il dubbio rimase sempre nell'animo di Kurosawa.
Se non è possibile al critico consigliare Ichiban Utsukushiku come spettacolo, se non va annoverato tra i capolavori e nemmeno tra le opere migliori del maestro, va ricordato comunque che costituisce una importantissima testimonianza del periodo bellico e dello spirito con cui le autorità giapponesi tentarono di far affrontare al popolo un compito improbo, infine terminato con un tragico quanto inevitabile e prevedibile insuccesso.
Kon Ichikawa: L'arpa Birmana
(Biruma no tategoto)
1956
Rentaro Mikuni, Shoji Yasui, Tanie Kitabayashi
E' sorprendente che un autore prolifico, eclettico e apprezzato come Kon Ichikawa sia conosciuto in occidente, e soprattutto in Italia, praticamente per una sola delle sue tante opere. L'arpa birmana fece scalpore all'epoca della sua uscita sugli schermi europei presentandosi come un caso anomalo nella filmografia nipponica, fino ad allora nota soprattutto per le sue frequenti celebrazioni delle virtù guerriere del popolo giapponese.
Di colpo invece veniva presentata un'opera apertamente pacifista che denunciava gli orrori della guerra e alludeva sia pure molto velatamente alla durezza dell'occupazione giapponese. Si trattava in realtà di una impressione errata dovuta alla mancata conoscenza di tante opere che solo ora stanno emergendo alla portata del pubblico, lo stesso Ichikawa aveva già affrontato il tema in opere precedenti. Fu veramente anomalo il disinteresse che ci fu in seguito verso Ichikawa, uno dei "quattro re" del cinema giapponese, che lasciò durevole impronta di sé con una produzione prolifica che continuò praticamente fino alla morte. Ne riparleremo al termine della recensione, ma prima che il lettore vada avanti sentiamo il dovere di prevenirlo che alcune immagini del film - qui riproposte - possono turbare la sua sensibilità.
Nel luglio 1945, praticamente al termine della seconda guerra mondiale, le truppe giapponesi in Birmania erano sull'orlo del tracollo. Un piccolo reparto, comandato dal capitano Inoue (Rentaro Mikuni) tenta con una lunga marcia tra le selvagge montagne di raggiungere il confine con la Tailandia per sfuggire all'accerchiamento dei reparti anglo australiani e ricongiungersi con l'esercito nipponico.
Inoue è una figura fino ad allora sconosciuta nella filmografia giapponese: un ufficiale che nei modi carismatici lascia pensare ad una discendenza samurai, di uomo destinato al comando, che pure dimostra gentilezza e sensibilità rari in un uomo d'arme chiamato al suo dovere in circostanze tragiche.
Essendosi diplomato alla Scuola Musicale Inoue ha voluto diffondere nel suo reparto l'abitudine al canto e alla musica, e spesso li dirige in coro.
Ha stretto un forte legame spirituale col sergente Yasuhiko Mizushima (Shoji Yasui), che si è dimostrato particolarmente sensibile alla musica pur essendone stato fino ad allora completamente digiuno ed è in grado di suonare alla perfezione, e con molte variazioni personali sui temi, l'arpa di tipo birmano (saung) che i soldati hanno fatto costruire.
Solo nelle inquadrature finali verremo a scoprire che la voce narrante è quella di un soldato che si sentiva estraneo a quanto il capitano Inoue ricercava attraverso i cori ed infastidito dalla ricerca musicale di Mizushima.
All'inizio della lunga marcia, durante una sosta nella foresta, Inoue per risollevare il morale dei soldati esausti li incita a cantare. Li ascoltiamo per la prima volta, accompagnati dall'arpa birmana. La canzone è Hanyu no yado, molto popolare in Giappone e che oltre ad essere il ricorrente tema musicale del film costituisce parte integrante della trama. Ichikawa comprendendo l'importanza della musica nell'impianto dell'opera decise di farne in un certo senso la protagonista assoluta, con l'indispensabile ausilio ovviamente del musicista Akira Ikufube responsabile della colonna sonora.
Dopo alcuni giorni di cammino il reparto, a corto di viveri, si ferma presso un villaggio birmano dove pensa di ricevere una accoglienza ostile. Con loro sorpresa vengono invece accolti benevolmente e rifocillati a loro piacimento, e la sera intrattengono gli abitanti con i loro canti. Ma al momento in cui Inoue chiede di ascoltare qualche canto birmano, silenziosamente gli indigeni si alzano ed abbandonano il villaggio. Allarmati i soldati scrutano dalle finestre e si accorgono che nel buio della foresta ci sono movimenti sospetti: il nemico li sta circondando. Si fingono ubriachi per recuperare, cantando e schiamazzando per non destare sospetti, il carro con le munizioni lasciato all'esterno. Rientrano poi nella capanna e si preparano per il combattimento attendendo in silenzio che Inoue, sciabola sguainata, dia l'ordine dell'attacco: un disperato tentativo di rompere l'accerchiamento.
Ma - un attimo prima - un canto viene a spezzare il silenzio: gli attoniti soldati riconoscono le note di Hanyu no Yado, che le truppe nemiche nascoste nella foresta stanno cantando a loro volta. Mizushima non si trattiene dall'unirsi al coro con la sua arpa, e per qualche ragione che non sanno spiegarsi anche gli altri soldati inziano a cantare. Con i bianchi turbanti che spiccano nella notte, i soldati indiani che compongono il reparto nemico si avvicinano cantando al villaggio, stringendo in pugno le armi ma senza puntarle contro i giapponesi.
E' in questo magico e suggestivo modo che il reparto viene informato, in quel remoto villaggio sperduto tra le montagne della Birmania, che il Giappone ha firmato da tre giorni la resa, e la guerra è finita.
Generazioni di spettatori hanno assistito a questa scena, rimanendone invariabilmente colpiti ma quasi sempre senza comprenderne fino in fondo il meccanismo. Basti sapere - sicuramente lo ignoravano e lo ignorano tuttora quasi tutti i giapponesi e nella finzione scenica si suppone che lo ignorino totalmente i soldati - che Hanyu no yado è in realtà una canzone occidentale, Home sweet home, molto conosciuta nel mondo anglosassone.
Il reparto viene internato in un campo di prigionia, ed Inoue tiene un breve discorso in cui riconoscendo con dolore la sconfitta della patria incita i suoi uomini a preservare la loro vita ed il loro morale, e continuare la loro battaglia scegliendo la vita piuttosto che la morte o l'abbattimento. Occorre sapere infatti che la reazione più "naturale" per molti giapponesi era di considerare la sconfitta come una vergogna inaccettabile, al punto che non solo molti soldati preferirono andare incontro alla morte certa piuttosto che arrendersi, ma alcuni combattenti rifiutarono per anni di riconoscere la realtà ed gettare le armi, continuando a lungo una vana resistenza.
Il più celebre episodio ebbe per protagonista il tenente Hiroo Onoda, che per diversi anni continuò una sua guerra privata nella boscaglia dell'isola di Lubang nelle Filippine, e che viene creduto a torto un caso isolato. Onoda comandava un piccolo reparto infiltrato dietro le linee nemiche, formato da 4 uomini. Ritennero che i volantini lanciati dagli aerei americani per annunciare agli sbandati la fine della guerra fossero solo propaganda, anche perché si continuava ad aprire il fuoco contro di loro.
Il primo uomo del reparto ad arrendersi fu Yuichi Akatsu, dopo essersi allontanato dagli altri ed essere vissuto diversi mesi in solitudine, nel 1950.
Nel 1954 Shiochi Shimada venne ucciso in uno scontro a fuoco con i reparti che davano la caccia agli irriducibili, che in tutti quegli anni non interruppero mai la loro attività di "guerriglia". Solo nel 1972 venne abbattuto anche Kinshichi Kozuka ed Onoda restò solo.
Nel 1974 venne raggiunto da Norio Suzuki, che stava compiendo un viaggio intorno al mondo alla ricerca di animali o persone leggendarie, si era sparsa infatti la voce infatti che Onoda fosse ancora vivo nonostante la sua morte presunta fosse stata dichiarata già nel 1959. Suzuki tentò di convincerlo ad arrendersi ma gli venne risposto che solo un ordine superiore l'avrebbe reso possibile. Fu così che l'ex maggiore Taniguchi, lasciando momentaneamente la sua professione di libraio per tornare ad indossare la divisa, nel marzo 1974 diede di persona ad Onoda l'ordine di arrendersi, 29 anni dopo avergli dato l'ordine di missione. Viste le circostanze eccezionali della sua vicenda Onoda non venne perseguito per i suoi atti di guerra e tornò in Giappone, dove tuttavia non fu a suo agio, trovando una nazione sul punto di dimenticare le sue origini e le sue tradizioni e venendo sottoposto personalmente a troppe pressioni mediatiche.
Raggiunse il fratello Tadao in Brasile, dove divenne una persona di riferimento per la comunità giapponese e ricevette onoreficenze dal governo. A partire dagli anni 80 si recò periodicamente in Giappone dove fondò una organizzazione per la riabilitazione dei giovani, e durante una visita a Lubang, dove era rimasto in guerra per quasi 30 anni, fece una donazione alla scuola locale. Nato nel 1922, per quanto si sa è al momento ancora in vita. Ha scritto un libro sulla sua esperienza: "Non mi arrendo", edito in italiano da Mondadori.
E chiudiamo questa parentesi, utile per comprendere l'episodio seguente del film.
Il capitano Inoue viene informato che un reparto giapponese continua a combattere, asserragliato dentro una caverna a mezza costa su una parete rocciosa, ad una mezza giornata di marcia dal campo di prigionia, e chiede a Mizushima di recarsi a parlare con loro per informarli della resa e convincerli ad arrendersi. La missione è autorizzata dalle forze britanniche, che scortano Mizushima fin dove possibile e gli concedono mezzora di tregua per raggiungere il reparto di irriducibili e parlare con loro. Ma non avrà esito: dominati dalla loro convinzione che la resa sia un'infamia, comandante e soldati rifiutano di arrendersi.
Mizushima insiste, e riesce ad ottenere che i soldati ne discutano, per poi arrivare ad una votazione. Ma sull'onda dell'emotività, senza che Mizushima abbia avuto il tempo per tentare almeno di spiegare, non solo infine rifiutano ma lo insultano e quasi lo aggrediscono.
Il sergente tenta allora di raggiungere l'imbocco della caverna per chiedere di prolungare la tregua, sventolando una bandiera bianca, ma proprio in quell'attimo termina la breve tregua concessa dal comando inglese, riprende il cannoneggiamento. Si interrompe solo quando dalla inaccessibile caverna non arriva più alcun segno di vita.
Al reparto nessuno ha più avuto sue notizie, ma il capitano Inoue non sa darsi pace e continua le ricerche del sergente, di cui si sente responsabile: ha giurato di ritornare in Giappone con tutti i suoi uomini. Ma nessuno sa dargliene notizia, e la supposizione più sensata è che sia morto durante l'attacco.
Però qualche tempo dopo, ritornando dal campo di lavoro, il reparto incrocia lungo un ponte un monaco con un pappagallo sulla spalla. Sembra proprio Mizushima, ma non risponde alle loro domande e i soldati non possono fermarsi a parlare, vengono costretti dalle guardie a proseguire.
Il film ricostruisce gli avvenimenti con una serie di flashback incrociati, che la logica dello scritto obbliga a trasgredire, ricostruendo cronologicamente quanto successo a Mizushima prima ed al suo reparto poi.
Il solo sopravvissuto al terribile cannoneggiamento inglese era stato proprio Mizushima, scaraventato dallo spostamento d'aria di uno dei primi proiettili in fondo alla caverna dove era relativamente al sicuro. Al suo risveglio, intorno a lui è un'ecatombe.
Trova appena le forze per lasciarsi rotolare a valle dalla imboccatura della caverna, per poi perdere i sensi. Lo ritroverà un bonzo che lo curerà salvandogli la vita .
Per qualche tempo Mizushima si trattiene con lui, ma solo il tempo di rimettersi in forze: sente il dovere di ricongiungersi al reparto. E' in grado di parlare la lingua locale ma non alla perfezione, celandosi sotto le vesti di un bonzo silenzioso invece può passare inosservato. Quindi si appropria delle vesti del suo salvatore e si incammina.
Lungo un'aspra pietraia tra le montagne che sta attraversando troverà ad attenderlo l'orrore della guerra cui pensava di essersi sottratto, e che lo condurrà verso il suo nuovo destino.
Il percorso è cosparso di cadaveri di soldati giapponesi rimasti insepolti. I birmani, come gli spiegherà poi il bonzo, che non lo ha perso di vista, non usano seppellire i corpi degli invasori.
Mizushima avverte dapprima l'impulso di fuggire, ma sente che non può, e si ferma a ricomporre i loro resti.
Ma il suo calvario è solo iniziato: nell'attraversare una fitta boscaglia, si imbatte di nuovo nei resti di numerosi soldati. Dai loro effetti personali si possono ricostruire i loro sogni spezzati.
Raccoglie quanta più legna può e brucia in una pira i loro corpi, per poi riprendere il suo cammino.
Giunto sulla sponda di un largo fiume che non sa come attraversare vaga alla ricerca di un guado.
Ma incontra solamente cataste su cataste di cadaveri ammucchiati oscenamente, nella stessa posa in cui li ha colti la morte.
Si arresta e ancora una volta tenta di dare umana sepoltura a quei poveri corpi abbandonati agli uccelli rapaci ed alla corrente del fiume.
Ma l'impresa è troppo grande per le sue forze e soprattutto per il suo animo ormai irrimediabilmente scosso.
La temporanea salvezza giunge in barca: è l'impassibile bonzo senza nome.
Non fa nemmeno menzione del furto delle sue vesti da parte di Mizushima, sembra non importargli nemmeno che il suo travestimento profani l'abito talare.
Gli lascia a disposizione la barca e la guida, che lo porterà fino al campo di concentramento dove potrà ricongiungersi con i suoi compagni.
Mizushima va, ed arriva fino ad un passo dalla meta che ha così testardamente perseguito.
Ma la visione dei suoi camerati morti insepolti non lo lascia. Capisce che non lo lascerà mai. Torna indietro: ha deciso a dedicare la sua vita al recupero delle loro salme, violentando sé stesso fino al punto di non voler nemmeno più vedere i suoi camerati, per non far vacillare la sua decisione.
Inoue e tutti gli uomini del reparto, rimasti senza alcuna notizia sulla sua sorte, non avevano cessato di ricercarlo e l'incontro sul ponte aveva ridestato le loro speranze.
Con l'aiuto di una vecchietta (Tanie Kitabayashi) che ha libero accesso al campo per vendere ai soldati le sue povere mercanzie, cercano di incontrarlo di nuovo.
La ricerca si concluderà solo alla vigilia del loro ritorno in Giappone.
Il misterioso incontro sul ponte ha trasmesso ai soldati la stessa ansia del loro comandante e non cessano di escogitare nuovi espedienti - più o meno ingegnosi - per attirare il monaco enigmatico che sentono in qualche modo essere Mizushima.
Si danno i turni per cantare ininterrottamente davanti ai reticolati del campo di prigionia, nella speranza che il loro canto lo attiri, o che gli giunga notizia dagli esterefatti birmani di quello loro strana abitudine e venga attirato a vedere di persona.
La vecchia birmana conosce anche la storia del pappagallo che il monaco ha sempre su una spalla: è difficile incontrarlo, inutile farsi illusioni, ma è stata proprio lei qualche tempo prima a darglielo, e ne ha uno gemello.
I soldati danno fondo ai loro scarni averi per comprare il secondo pappagallo, e con pazienza infinita lo addestrano a ripetere queste parole: "Mizushima, torna in Giappone con noi".
Cercheranno poi attraverso la vecchia, che si dimostra persona di buon cuore e non solamente attaccata ai profitti del suo piccolo commercio, di farlo avere al bonzo.
Anche il suono di un'arpa che si sente di tanto in tanto e suona le "loro" canzoni li sorprende e li attira. Ma si rendono conto che è solo un ragazzo di strada birmano, e che la sua mano non è chiaramente quella di Mizushima.
Non possono sapere che quel ragazzo si accompagna spesso a Mizushima e da lui ha appreso quelle melodie.
Eppure ogni tanto quelle note arrivano suonate in modo diverso, e da una mano diversa. Una mano inconfondibile...
Sembra che il mistero non si possa più svelare: viene annunciato quello che tutti attendevano da tempo, il ritorno in patria. E' forse quella la notizia che smuove l'animo di Mizushima? Di sicuro il messaggio dei suoi compagni gli è arrivato.
Infatti una sera, immediatamente prima del giorno fissato per la partenza, arriva anche la notizia che tutti attendevano: il monaco sta in attesa fuori dai reticolati, con entrambi i pappagalli sulle spalle ed accanto l'orfanello con l'arpa; i soldati si precipitano sul posto.
Ma devono arrestarsi davanti ai reticolati, senza poter comunicare col bonzo: anche un fosso li separa. Perché? Nella inquadrature precedenti abbiamo visto che era possibile avvicinarsi fin quasi a toccare il reticolato. Ichikawa rimarca la volontà di Mizushima di spiegare che due barriere li dividono: non solo le drammatiche circostanze, ma anche una sua esplicita volontà, una sua irrevocabile decisione.
Ma a superare ogni barriera ancora una volta è il linguaggio della musica. Mentre i soldati cantano Hanyu no Yado, il ragazzo inizia ad accompagnarli con l'arpa. Il bonzo ascolta in silenzio.
Nemmeno la sua volontà inflessibile può reggere all'infinito.
Commosso, afferra l'arpa ed accompagna il canto dei suoi ex compagni.
Per loro che lo stanno guardando con gli occhi sbarrati, è la conferma che tutti attendevano, è lui Mizushima.
E' assente dal gruppo Inoue, assiste in silenzio da lontano senza mostrare alcuna emozione. Ha già capito ogni cosa, e nel suo cuore ha già dato addio a Mizushima.
La gioia incontenibile dei soldati dura solo un attimo. Mizushima al termine della canzone non depone l'arpa: suona Aogeba totoshi, la canzone dell'addio, saluta inchinandosi silenziosamente, volge le spalle e si allontana.
Il destino del reparto è di tornare in patria, unito come è sempre stato durante la terribile guerra. Il suo è un altro.
La spiegazione del suo gesto arriverà: attraverso la vecchia, Mizushima fa arrivare ad Inoue e ai compagni una lettera e il suo pappagallo, che ha addestrato a ripetere le parole "Non posso tornare in Giappone con voi".
Inoue leggerà la lettera solo a bordo della nave che sta rimpatriando i soldati, per evitare altri tentativi ingenui, e dolorosi per Mizushima, di sottrarlo al suo dovere. Premettendo che per lui la lettura del messaggio è superflua: ha già compreso, già sa.
Alcuni hanno criticato questa scena, giudicandola inutile, mera ripetizione di quanto lo spettatore ha appena visto. Ma non dimentichiamo che nella finzione scenica i soldati ne sono completamente all'oscuro, quindi una spiegazione era resa necessaria dalla trama. Inoltre, siamo proprio sicuri che tutti abbiano immediatamente compreso il messaggio di Mizushima? Che non ci sia bisogno di ripeterlo?
Trattandosi di un film incentrato soprattutto sulla musica, sembrerebbe inevitabile parlare molto della colonna sonora composta dal maestro Ikufube. Ma in realtà gli appartengono solamente alcuni pezzi, e soprattutto non quelli fondamentali.
Stranamente sembra essere stata pubblicata una sola versione della colonna sonora: quella italiana su disco in vinile edita dalla RCA nel 1958, probabilmente in seguito al successo del film al festival di Venezia del 1957 ove ottenne il premio San Giorgio e numerose menzioni e rimase a lungo in lizza per il Leone d'oro. Ovviamente è introvabile. Elenca 5 pezzi di cui uno intitolato Rosse di sangue le valli e le rocce di Burma accompagna i titoli di testa e quelli di coda. Un altro Il tema della pietà accompagna la lettura della lettera di addio di Mizushima. Entrambi vanno attribuiti a Ikufube. Gli altri temi hanno una storia ben diversa.
Coro della pace (Home sweet home - Hanyu no yado)
La musica venne composta dall'inglese sir Henry Rowley Bishop, su libretto dell'americano John Howard Payne, per l'operetta Clari, maid of Milan che venne eseguita per la prima volta nel 1823 al Covent Garden di Londra. Tratta del tormentato amore tra il raffinato duca di Vivaldi e la rustica Clari, che indifferente ai preziosi regali del nobile chiede solo di poter tornare alla sua dolce casa. Potete qui ascoltare una breve versione strumentale dal sito del Progetto Gutenberg. Qui invece la versione integrale, eseguita nel 1980 accompagnandosi al piano dal professore Derek Scott. Henry Bishop fu il primo musicista inglese ad essere nominato nobile, su iniziativa della regina Victoria che aveva molto amato questa canzone. Risale all'epoca vittoriana anche la traduzione in giapponese, pubblicata nel 1889 e dovuta a Tadashi Satomi, che potete ascoltare qui in versione strumentale e qui, al minuto 8,49 dalla riedizione del film curata dallo stesso Ichikawa. E' anche il tema dell'incontro tra il sergente O' Rourke ed il figlio che torna a casa in divisa da tenente, in Fort Apache di John Ford, che risale al 1948.
Il testo dell'edizione in inglese:
Home sweet home
1823
John Howard Payne, Henry R. Bishop
Mid pleasures and palaces though we may roam
Be it ever so humble, there's no place like home!
A charm from the skies seems to hallow us there
Which seek thro' the world, is ne'er met elsewhere.
Home! Home!
Sweet, sweet home!
There's no place like home
There's no place like home!
An exile from home splendour dazzles in vain
Oh, give me my lowly thatch'd cottage again!
The birds singing gaily that came at my call
Give me them with the peace of mind dearer than all.
Home! Home!
Sweet, sweet home!
There's no place like home
There's no place like home!
Il testo dell'edizione in giapponese
Hanyu no yado
Tadashi Satomi
1889
Hanyu no yado mo waga yado,
Tama no yosoi, urayamaji.
Nodokanari ya, haru no sora,
Hana wa aruji, tori wa tomo.
O, waga yado yo, tanoshi tomo, tanomoshiya.
Fumi yomu mado mo, waga mado,
Ruri no yuka mo, urayamaji.
Kiyoranari ya, aki no yowa,
Tsuki wa aruji, mushi wa tomo.
O, waga mado yo, tanoshi tomo, tanomoshiya
Ryoshu
(malinconia del viaggiatore)
Ryoshu, da non confondere con Takuboku ryoshu, è una canzone tradizionale giapponese che tratta dell'eterno tema della solitudine e del rimpianto di chi si trova lontano dalla casa e dagli affetti. Ricorre una sola volta nel film, per quanto sia molto suggestiva. Potete ascoltarla qui.
Canzone dell'addio (Aogeba totoshi)
E' il pezzo brevemente suonato da Mizushima al momento di congedarsi per sempre dai suoi compagni. Si tratta di una canzone tradizionale, che potete ascoltare qui in una delle tante versioni, interpretata da un coro scolastico. Infatti viene cantata dagli alunni nel corso della cerimonia di consegna dei diplomi, al momento di dare l'addio ad un mondo per entrare in un altro.
Testo in giapponese
Aogeba totoshi waga shi no on
oshie no niwa nimo haya ikutose
Omoeba ito toshi kono toshituki
Ima koso wakareme iza saraba
Tagaini mutsumishi higoro no on
Wakaruru nochinimo yoyo wasuruna
Miwa tate nawo age yoyo hagemeyo
Imakoso wakareme iza saraba
Asa yuu narenishi manabino mado
Hotaru no tomoshibi tsumu shirayuki
Wasururu mazo naki yuku toshitsuki
Imakoso wakareme iza saraba
Traduzione in inglese
How fast time flies, I can't believe wow quiclivy the moments have passed.
The precious years have come and gone too soon, here with you.
I 've learned from you the right way to do what must be done.
Now is the time to say farewell, with an eternally grateful heart.
How close and deep our connection has continued to be.
I will always remember your teaching and carry your wisdom through my life.
And will always throw out my chest and keep my head held high.
Now is the time to say farewell, with an eternally grateful heart.
How hard I worked from dawn to dusk in the classroom with you.
The season when the glowfly shines and the season when the snow piles.
And will never forget all the wonderful things I have learned from you.
Now is the time to say farewell, with an eternally grateful heart.
Altre canzoni rimangono ancora da identificare, la colonna sonora non ne fa alcuna menzione, prima fra tutte quella cantata ininterrottamente dai soldati giapponesi davanti ai reticolati.
Kon Ichikawa (1915-2008) diresse nel corso della sua lunga ed eclettica carriera, iniziata intorno al 1935 come disegnatore di cartoni animati, 89 opere di cui praticamente solo L'arpa birmana è conosciuta in occidente. Scrisse oltre 50 sceneggiature e produsse una decina di film tra cui il purtroppo fallimentare Dodes'ka-den di Akira Kurosawa. Diresse inoltre due opere documentarie, l'autobiografico Ichikawa Kon monogatari del 2006 e Kurosawa, del 2001. Citiamo come curiosità la produzione nel 1967 di Toppo Jijo no botan senso, apparso in Italia come Topo Gigio e la guerra del missile, avente come protagonista il pupazzo nato nel 1958 dall'inventiva di Maria Perego, animato alla giapponese da burattinai nascosti in uno sfondo nero. Apparve prima come personaggio di trasmissioni per bambini nella televisione italiana e divenne poi celebre in tutto il mondo.
La prima opera che portava la firma di Ichikawa fu Musume Dojoji (la ragazza del tempio), un breve cartone animato del 1946 che venne confiscato dalle autorità d'occupazione americane per eccesso di tradizionalismo e non venne mai distribuito nelle sale. La carriera di Ichikawa conobbe una svolta dopo l'incontro ed il matrimonio con Natto Wada (1920-1983), che fu sua stretta collaboratrice fino al momento dell suo ritiro negli anni 60 al termine della produzione di Tokyo Olimpiad, un documentario sui giochi olimpici tenuti in Giappone nel 1964. L'abbandono fu dovuto ad una crisi di sfiducia nei confronti del mondo artistico, considerato dalla Wada ormai privo di tensione morale. Fino a quel momento Ichikawa e Wada avevano firmato assieme quasi tutte le loro sceneggiature.
Il soggetto di Biruma no tategoto deriva da una novella per bambini di Michio Takeyama (1903-1984), insegnante di tedesco che aveva soggiornato in Francia e Germania, pubblicata dapprima a puntate nel 1946 nella rivista letteraria per bambini Akatombo e pochi anni dopo in volume. Conobbe un crescente successo che rimase praticamente l'unico nella carriera di Takeyama. Originariamente il soggetto era stato affidato a Tasaka Tomotaka (1902-1974) ben conosciuto in Giappone per la sua produzione di film bellici, ma per le sue precarie condizioni di salute subentrò infine Ichikawa, che per la sceneggiatura si affidò come di consueto alla moglie Natto. Furono girati due differenti film, rilasciati a poche settimane di distanza l'uno dall'altro, il primo di 63 minuti ed il secondo di 80. La versione internazionale però, quella tuttora disponibile, venne assemblata e ridotta ad un solo film di 116 minuti. Inevitabilmente la manipolazione dell'opera lasciò insoddisfatto Ichikawa, che nel 1985 decise di girare una nuova edizione dell'opera.
I protagonisti furono Koji Ishizaka (Inoue), Kiichi Nakai (Mizushima) e ancora una volta a distanza di quasi 30 anni Tanie Kitabayashi (la vecchia birmana). L'opera conobbe un buon successo di critica e di pubblico in Giappone, ma è praticamente sconosciuta in occidente.
In questo sito potete trovare le recensioni di due sue opere di ambientazione jidai: 47 ronin, una ricostruzione della conosciutissima saga molto accurata sia sotto il profilo storico che sotto quello psicologico, e Dora heita che è invece un'opera di totale fantasia ma rappresenta una situazione molto realistica: un samurai isolato e anticonvenzionale in lotta contro la corruzione delle istituzioni, utilizzando la spada a malincuore e - sembra suggerire Ichikawa con malizia - in fondo nelle emergenze meno pressanti. Contribuirono alla preparazione dell'opera altri famosi direttori tra cui Akira Kurosawa, ma venne portata sugli schermi soltanto dopo la loro scomparsa, come omaggio postumo. Un'ultima opera di ambientazione gendai da noi recensita, anchessa incentrata sul dramma della seconda guerra mondiale e di alcuni anni posteriore a L'Arpa Birmana, è Nobi.