Indice articoli

Akira Kurosawa - 1951
L'idiota
da F. Dostoevskij

Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Masayuki Mori, Setsuko Hara, Yoshiko Kuga

 

L'idiota fu probabilmente l'opera cui Kurosawa affidò le maggiori ambizioni. Era un astro già alto nel firmamento internazionale dopo il successo di Rashomon che aveva trionfato al festival di Venezia l'anno precedente. Come fin troppo spesso gli accadde nel corso della sua lunga e pur  straordinaria carriera, proprio quello fu invece un clamoroso insuccesso.

E' basato sull'omonimo romanzo che Fëdor Dostoevskij aveva scritto in esilio per debiti tra la Svizzera e l'Italia (lo terminò nel 1869 a Firenze) narrando le amare vicende del principe Myskin, tradito dal suo amore per esseri destinati alla perdizione, uomini e donne, che l'autore così anticipava:

Da tempo mi tormentava un'idea, ma avevo paura di farne un romanzo, perché è un'idea troppo difficile e non ci sono preparato, anche se è estremamente seducente e la amo. Quest'idea è raffigurare un uomo assolutamente buono. Niente, secondo me, può essere più difficile di questo, al giorno d'oggi soprattutto.

L'idea evidentemente attrasse come una falena anche Kurosawa, che decise di effettuare le riprese nella gelida isola di Hokkaido per ricreare le atmosfere della Russia di Dostoevskij. Ne volle fare una opera impegnativa (era prevista una durata di 4 ore e trenta minuti, da dividere in due parti) ma i drastici tagli imposti dalla produzione limitarono la versione distribuita nelle sale a 2 ore e 45  minuti. Come già detto, le accoglienze da parte di pubblico e critica furono molto fredde.

Leggiamo che il film venne parzialmente rivalutato anni dopo grazie al successo di Rashomon, e non possiamo fare a meno di sorriderne: come già detto Rashomon era stato girato l'anno prima e dopo essere stato premiato a Venezia nel 1950 ottenne anche il premio Oscar mentre iniziavano le riprese dell'Idiota.

Kurosawa non se ne dette comunque per inteso, e le sue opere successive, Ikiru (Vivere, 1952) e Shichinin no samurai (I sette samurai, 1954) sono considerati da pubblico e critica concordi i suoi capolavori, rispettivamente nel genere gendai e in quello jidai. Lui tuttavia continuò per sempre a dichiarare che la sua opera migliore era L'idiota.

Il regista, come di consueto, è anche autore della sceneggiatura. Se le opere che portano la sua firma di direttore sono trenta, quelle da lui sceneggiate sono molte di più: oltre settanta.

Trasporta l'azione dalla Russia della seconda metà 800 al Giappone del dopoguerra, ossia in epoca praticamente  contemporanea e di cui lo spettatore aveva nel 1951 conoscenza e ricordi diretti.

All'inizio della Parte Prima (Amore e sofferenza) ci troviamo a bordo di una nave che trasporta dei reduci. La scritta in sovraimpressione dice Hokkaido, Juni gatsu: Hokkaido, dicembre (dodicesimo mese).

Nelle stive di quella nave, stipate di passeggeri costretti a viaggiare ammassati, a dormire sul nudo pavimento, ad essere assordati dal rumore della sala macchine, avviene l'incontro tra i due principali protagonisti della intricata e drammatica vicenda.

Sono Kinji Kameda (Masayuki Mori) che nella trama di Dostoevskij è il principe Myskin e Denkichi Akama (Toshiro Mifune) che corrisponde al personaggio di Rogozin (nella versione recensita viene stranamente chiamato Amada nei sottotitoli).

I due erano già stati antagonisti l'anno precedente in Rashomon. Mori nei panni del samurai Takehiro e Mifune in quelli del brigante Tajomaru.

Kameda si risveglia urlando da un incubo, tremando. Dostoevskj aveva immaginato che Myskin, epilettico, tornasse in patria dopo un ricovero in Svizzera per curarsi della sua epilessia. Akama, che appare subito una persona molto diretta, ai limiti della sfrontatezza ma non priva di sensibilità (ruolo che Mifune interpreta come di consueto con inarrivabile maestria) si trova accanto a lui. Sentiamo la sua inconfondibile voce prima ancora che appaia sullo schermo, e ci chiediamo come sia riuscito ad essere sempre se stesso pur impersonando figure completamente differenti.

I due iniziano a discutere, e da lì prende il via l'intera vicenda. Kameda ha sempre lo stesso incubo: sta per essere fucilato. Era stato accusato infatti di crimini di guerra e condannato a morte, per uno scambio di persona chiarito solamente in extremis quando era già di fronte al plotone di esecuzione. Non si è più ripreso da quel trauma. Le sue crisi lo portano ogni volta ad uno stato di idiozia.

Qui Kurosawa ricorda allo spettatore con delle didascalie (che altrove coprono invece i vuoti dei tagli imposti dalla produzione) che fu Dostoevskij a voler scegliere ironicamente, per incarnare il personaggio di un uomo troppo buono per essere compreso ed apprezzato dagli altri esseri umani, un idiota. Il primo a rimanere stupito di tanta autolesionistica sincerità, e non sarà ovviamente l'ultimo, è Akama.

Immediatamente avverte un forte simpatia nei confronti di Kameda, e assume un atteggiamento protettivo nei  confronti del fragile e febbricitante compagno casuale di viaggio.

Sappiamo già dal monito di Kurosawa che nonostante tutto Kameda è destinato alla rovina; presto apprenderemo che il cammino verso la fine dovrà passare proprio attraverso l'amicizia con Akama.

Il loro viaggio continua in treno. Akama, sia pure con modi rudi e sbrigativi, si preocccupa sempre di trovare un posto a sedere per Kameda e di rendergli più agevole la convivenza con la sua debolezza.