Frank Lloyd Wright

Le stampe giapponesi. Una interpretazione

con saggi di Francesco Dal Co e Margo Stipe

Electaarchitettura, 2008

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Frank Lloyd Wright (1867-1959) è stato probabilmente assieme allo svizzero Le Corbusier il maggiore architetto del secolo XX. La corrente architettonica di cui entrambi erano esponenti mirava a proporre opere organiche, ossia non fini a se stesse ma proporzionate e commisurate all'ambiente in cui dovevano essere inserite e agli esseri umani che dovevano esserne i fruitori.

La fallingwater o Casa sulle cascate, che risale al 1936, è probabilmente la sua opera più nota e richiama quasi inevitabilmente alla mente l'estetica dei giardini giapponesi.

E' probabile che un neofita vedendola per la prima volta commenti che ha "qualcosa di zen", pur non essendo altrettanto probabilmente in grado di spiegarne il perché, e tantomeno di dare una definizione di cosa sia o non sia lo zen.

Naturalmente non si tratta di un caso: le opere dei grandi artisti non sono mai frutto del caso.

Statunitense di nascita Wright visitò nel 1893 la Esposizione Universale di Chicago ove era presente un importante padiglione giapponese, e le foto della sua abitazione del 1895 mostrano alle pareti diverse stampe giapponesi. Divenne negli anni successivi un importante collezionista di stampe e xilografie, e soggiornò in Giappone dal 1916 al 1922 costruendovi l'Imperial Hotel. In un precedente viaggio del 1905 aveva raccolto una importante collezione di opere d'arte, che espose al suo ritorno negli Stati Uniti, e le fotografie scattate durante il viaggio testimoniano il suo grande interesse per l'arte dei giardini giapponesi.

Le tesi di Wright non meritano l'umiliazione di essere riassunte. Riportiamo integralmente quanto da lui detto nella pagina di apertura.

Priva di ogni ricercatezza, la xilografia a colori giapponese è una lezione utile e importante per l'Occidente: importante per le linee che rimangono impresse sulla carta delicata quando questa riceve il colore dalla matrice in legno incisa e variamente colorata; utile per chi si interessa di belle arti, ma anche potenzialmente educativa in altri ambiti dell'esistenza umana altrettanto importanti.

La xilografia a colori giapponese è ancora più preziosa per il fatto che, per poterla comprendere appieno, è necessario osservarla da un punto di vista puramente estetico.

Un fatto, questo, piuttosto insolito per la cultura occidentale e, in particolare, per i nostri artisti, per i quali questa arte rappresenta una fonte sicura di ispirazione perché, pur servendosi di metodi conosciuti, produce forme completamente estranee alla tradizione artistica da noi riconosciuta e tramandata.

 

 

Tralascerò ora di fornire informazioni generiche su artisti e periodi che è possibile reperire in uno dei numerosi saggi sull'argomento, e cercherò invece di parlare in modo approfondito delle incisioni a colori, e in particolare della loro funzione culturale, che consiste nel risvegliare la coscienza artistica occidentale o, perlomeno, nel farci accorgere e vergognare di non possederne una.

Il libro, di circa 120 pagine e di formato 13,5 x 21,5, è nella prima parte impaginato alla giapponese, ossia a ventaglio con i fogli stampati solamente sulla parte esterna, ove si trova il saggio di Wright, che racchiude circa 35 pagine.

Il resto è dedicato ai due saggi complementari, che approfondiscono il tema dei legami tra Wright e la cultura giapponese, ed al corredo iconografico.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Pur riconoscendo l'indubbio valore estetico dell'edizione, che richiama anche al tatto gli antichi testi giapponesi, e pur tenuto conto degli alti costi di lavorazione richiesti da queste scelte, va osservato che il prezzo di 45€ non sembra del tutto proporzionato.

Certamente va anche tenuto conto che l'investimento in un buon libro è sicuramente tra quelli che assicurano un "rendimento" più elevato e stabile nel tempo, ma non si tratta ovviamente di valutazioni monetarie.

Però va doverosamente notato, perché si tratta di un testo scritto da un grande architetto che ha dedicato alla sua vita alla costruzione di strumenti commisurati alle esigenze dei fruitori, che la rigidità della rilegatura, contrariamente ai volumi giapponesi cui si ispira, rende molto difficoltosa la consultazione del libro che tende a richiudersi e non può essere letto se non tenendolo costantemente aperto con una mano poggiata sopra. Nemmeno posandovi un oggetto pesante si riesce a tenerlo aperto.

La impaginazione, esteticamente gradevole, privilegia i margini esterni rispetto a quelli interni. Questo però ne rende la lettura ancora più ardua perchè la rigidità del volume obbliga le pagine a curvarsi ed il testo ne risulta sia distorto che nascosto.

Che dire? Ma, soprattutto: che ne avrebbe detto Frank Lloyd Wright?