Romanzi
La letteratura giapponese contemporanea ha fatto molto parlare di se, e molto ha dato da leggere. Basterà citare i nomi di Yasunari Kawabata, Kenzaburo Oe, Yukio Mishima, Banana Yoshimoto, sicuramente familiari anche a molti che ancora non hanno affrontato la loro lettura.
Accanto a questi moderni scrittori ci auguriamo di poter scoprire o riscoprire anche gli autori dei periodo precedenti, fino ad oggi inspiegabilmente trascurati dalle nostre case editrici, eppure testimoni del periodo irripetibile in cui il Giappone tentava di guadagnarsi un posto tra le nazioni moderne senza rinunciare tuttavia alle sue tradizioni.
Abituatevi quindi anche qui come nella sezione cinema di questo sito, a condividere le ambientazioni gendai (moderne) con quelle jidai(d'epoca).
Due recensioni al prezzo di una
La prima sensazione, già dalle prime pagine di I miei giorni alla libreria Morisaki era di un déjà vu. Ma dove visto, dove e quando letto? Ci è voluto un po' di tempo eppure la soluzione era a portata di mano.
Endo Shusaku: Il samurai
Endo Shusaku
Il Samurai
Luni Editrice 2006
Traduzione dal giapponese: Van C. Gessel
Traduzione dall’inglese: Anna Solinas
Iniziamo dall’autore, Endo Shusaku (1923 - 1996), le sue vicissitudini e le sue conseguenze. È un libro del 1980 e narra una vicenda che si sviluppa tra il Giappone e lo Stato del Vaticano, passando per la Nueva España (Messico), la Spagna e Saint Tropez. Ripropone ancora una volta - dopo il suo romanzo Silenzio del 1966, recentemente riadattato per il pubblico cinematografico (Silence) da Martin Scorsese - il tema del cristianesimo e del suo approdo in Giappone per l'opera di evangelizzazione. È un romanzo che fedelmente segue la storia riprendendone anche personaggi veramente esistiti. Ma contestualizziamo l’opera:
Yoshikawa Eiji: Musashi (edizione integrale)
Musashi
Eiji Yoshikawa
Luni, 2016
Due volumi, 1276 pagine
Come mai una seconda recensione di Musashi, dopo quella pubblicata alcuni anni fa? Perché a differenza dell'altra, una versione ridotta in "sole" 800 pagine circa, questa è integrale, divisa in due volumi e arriva alla ragguardevole cifra di quasi 1300 pagine. L'edizione Luni di cui stiamo parlando, pubblicata recentemente, promette nel bugiardino inserito tra le pagine una maggiore fedeltà al pathos che Yoshikawa ha saputo spargere a piene mani nelle sue pagine.
Yoshikawa Eiji : Musashi
Musashi
Eiji Yoshikawa
BUR, 1994
ISBN 88-17-11467-7, 841 pagine
La copertina dell'edizione BUR desta qualche perplessità: il torii sullo sfondo, un kendoka moderno (il kendo nasce circa 200 anni dopo la morte di Musashi), l'immancabile sol ponente (ma non era levante?). I giapponesi ci renderanno la pariglia: in copertina dell'Ettore Fieramosca ci metteranno un legionario romano tra i vigneti del Chianti. Meglio la copertina del 1985, col ritratto di Musashi, ma non andiamo troppo per il sottile: sotto con la recensione.
Nonostante la mole del volume possa intimorire più di un lettore si tratta di una versione ridotta rispetto all'originale, pubblicata con l'accordo della Harper & Row detentrice dei diritti dell'edizione inglese da cui è tratta quella italiana ripubblicata recentemente nella BUR (ne esistono altre versioni, probabilmente ormai introvabili, anche in altre collane edite dalla Rizzoli, degli anni precedenti).
La traduzione purtroppo non è eccellente, va lamentato un eccessivo uso di termini dialettali oppure obsoleti, ma di alcuni fraintendimenti non è facile comprendere le cause: è evidente che "impugnare l'elsa" o "sputare sull'elsa" è qualcosa di incomprensibile, ma traducendo Pier Francesco Paolini dalla versione inglese è possibile sia che abbia ereditato un errore precedente sia che quella versione mantenesse i termini giapponesi e il traduttore abbia di conseguenza confuso tsuba (elsa o guardia della spada) con tsuka (impugnatura o manico). Il manico delle lame giapponesi è di norma strettamente avvolto da una fettuccia di cotone o seta (tsukamaki) ed era uso prima di un combattimento inumidirla per avervi maggiore presa.
Musashi è in definitiva una versione giapponese dei romanzi d'appendice che riscossero immenso successo popolare in Europa nei secoli precedenti e che ebbero il loro massimo e profilico aedo in Alexandre Dumas (basti pensare al ciclo dei Tre moschettieri, o al Conte di Montecristo). Il ciclo di Musashi venne pubblicato per la prima volta a puntate in un inserto (o appendice) dell'Asahi Shinbun, nel corso di ben cinque anni, dal 1935 al 1939, e riscosse un immediato quanto ininterrotto successo venendo ripubblicato in volume infinite volte e ripetutamente portato sullo schermo.
Curioso notare, e una interrogazione su youtube con chiavi di ricerca Musashi e Kojiro lo dimostra immediatamente, come tutte queste trasposizioni su schermo siano in fondo debitrici della prima che abbia conosciuto un vero successo: la saga di Musashi in tre puntate diretta da Hiroshi Inagaki e interpretata dal grande Toshiro Mifune. il duello finale nell'isola di Ganryu con l'unico avversario all'altezza di Musashi, Sasaki Kojiro, viene riproposto ancora oggi in innumerevoli varianti ma queste variazioni sono alla resa dei conti minime. Un po' come accade con ogni nuovo film sui Tre moschettieri: quante volte ed in quante versioni abbiamo visto la scena in cui i moschettieri ed il prode d'Artagnan vengono ricevuti dal re? Non ci stancheremmo mai di vederla, l'attendiamo sempre con ansia ad ogni nuova visione, da una parte speranzosi di vederla diversa, dall'altra rassicurati quando ci rendiamo conto che a parte qualche particolare nei costumi, a parte le fisionomie dei protagonisti, è ancora e sempre la stessa scena. E tutte queste versioni su schermo sono a loro volta debitrici di questo libro, riprendendone sostanzialmente trama e personaggi.
Essendo figlio del romanzo d'appendice, detto anche feuilleton in Francia - o forse nipote vista la distanza culturale spaziale e temporale che lo separa dai modelli - anche Musashi è un romanzo a forti tinte; troppo forse: chi è disposto oggigiorno a sopportare in un romanzo tante mirabolanti coincidenze, tante sconvolgenti rivelazioni, tanti colpi di scena? E ripeterli con costanza da metronomo per oltre 800 pagine non li rende certamente più credibili.
Ma l'errore è nostro, che tentiamo di ritrovare sulla pagina stampata la figura del grande maestro Miyamoto Musashi già predeterminata nella nostra mente e distruggiamo volontariamente il sogno misurandolo col metro del raziocinio. Lasciamo dunque la parola a Yoshikawa, riprendendo due brani: uno è l'incipit del romanzo, il risveglio tra i cadaveri del giovanissimo Takezo (primo nome di Musashi) dopo la disfatta della battaglia di Sekigahara. L'altro è tratto dall'epilogo, dopo il duello catartico con Kojiro che conclude la prima fase della vita di Musashi e allo stesso tempo il libro. In mezzo quelle 800 ed oltre pagine, in cui forse è saggio perdersi, tralasciando analisi raziocinanti.
Takezō giaceva in mezzo ai cadaveri. Ce n'erano a migliaia intorno a lui.
"il mondo è impazzito" pensò, fiocamente. "Un uomo potrebbe pur essere una foglia morta, in balìa del vento d'autunno."
Presentatosi al lettore come uno dei tanti, uno qualsiasi tra le centinaia di migliaia di soldati che parteciparono alla terribile battaglia di Sekigahara nel "quindicesimo giorno del nono mese del 1600", Musashi si congeda come lupo solitario, unico della sua specie che sia mai esistito, che torna alla sua vita randagia.
La battaglia era finita. Era ora di andar via.
"Addio" disse - a Kojirō, poi ai giudici di gara.
Inchinatosi ancora una volta, corse oltre la battigia e risalì a bordo della barca. Non v'era traccia di sangue sulla sua spada di legno.
Ma il libro presenta anche una seconda chiave di lettura, non afferrabile dal lettore occidentale medio, che non conosce a sufficienza la storia giapponese e soprattutto la storia e la filosofia delle arti marziali. Di questo difetto di base soffre purtroppo anche la traduzione, come rivelano numerosi svarioni. Due esempi per tutti: le spade non vengono firmate sulla lama, come detto nel libro da Sasaki Kojiro, ma sul nakago, il codolo dove si innesta il manico. Si dirà che l'errore è ininfluente, ma quando come detto prima i traduttori confondendo sistematicamente la tsuka (manico) con la tsuba (elsa), rendono incomprensibili le descrizioni dei duelli: non ha alcun senso sputare sull'elsa metallica prima del duello, Musashi inumidiva invece la nastratura del manico per avere una presa più salda, pratica ben nota e ben documentata.
E' una chiave di accesso al mondo marziale del Giappone. Numerosi episodi e personaggi di immensa popolarità, sia storici che leggendari, sono trasportati di peso nel romanzo; poco importa se siano o no veri o verosimili, non abbiamo prove ad esempio che Musashi o Kojiro abbiano mai incontrato o sfidato Yagyu Mumenori, Muso Gonnosuke ed Ono Tadaoki (leggendari maestri di spada, fondatori deglle scuole Yagyu ryu, Muso Shinto ryu, Ono ha Itto ryu), Takuan Soho (immenso maestro di zen), Hon'ami Koetsu (celebre togishi ossia rettificatore di spade, non lucidatore come interpreta la traduzione). E certamente non era lui il protagonista del famoso episodio in cui la mano del grande uomo di spada viene rivelata nel taglio impeccabile del gambo di un fiore, o di altri in cui ci imbattiamo qua e là.
Non ha troppa importanza la coerenza storica: questi episodi - veri o verosimili, falsi o improbabili, frutto di pura fantasia o storicamente documentati - immergono il libro in una atmosfera culturale da cui è piacevole ed utile, come detto, lasciarsi sommergere. Cercateli, sono innumerevoli e spesso sfuggiti alla frettolosa traduzione dall'inglese possono sfuggire anche al lettore distratto; quindi attenzione.
Un esempio? Musashi incontra per la prima volta il suo acerrimo nemico Sasaki Kojiro, detto Ganryu, scorgendolo al di là di un fiume, sotto i folti rami di un salice, e pur non essendosi mai visti prima di allora i due si scambiano un enigmatico e minaccioso sorriso. Ebbene: Ganryu andrebbe inteso come forte scuola ma significherebbe secondo alcuni - la lingua giapponese ci ha abituato a convivere con questi apparenti misteri - proprio salice di fiume.
P.B.
Tanizaki Junichiro: Vita segreta del signore di Bushu
Vita segreta del signore di Bushu
Junichiro Tanizaki
Bompiani, 2000
ISBN 97-88-452-4380-X
Junichiro Tanizaki nacque a Tokyo nel 1886, quindi nel pieno della turbolenta epoca Meiji, in cui il Giappone si scuoteva da un secolare immobilismo per conquistarsi ad ogni prezzo un posto tra le grandi potenze mondiali. Il prezzo da pagare fu notoriamente altissimo, eppure il Giappone pur accettando o dovendo accettare i più radicali cambiamenti seppe nonostante tutto conservare molto delle sue tradizioni millenarie.
Tanizaki seguì un percorso comune a molti intellettuali, o anche semplici cittadini giapponesi, della sua epoca. Dapprima fortemente ed irresistibilmente attratto dalla cultura occidentale, si rese conto nel corso della sua vita che questo desiderio di conoscenza non poteva però risolversi nell'abbandono e nella dimenticanza della propria cultura. Ritornò quindi a dedicarsi a temi o ambientazioni più tradizionali. Le sue opere maggiormente apprezzate, perlomeno dalla critica, sono quelle tarde realizzate tra gli anni 50 e 60 del XX secolo. Scomparve nel 1965, poco dopo aver dato alle stampe la sua ultima opera, Diario di un vecchio pazzo, in cui descrive spietatamente la sua stessa orgogliosa decadenza, preludio della morte.
Affascinato dall'insondabile mistero dell'eros, Tanizaki ne pervade invariabilmente ogni sua opera. Nella Vita segreta del signore di Bushu (Bushukō hiwa - 武州公秘話 ), opera risalente al 1935, Tanizaki racconta la vicenda di un immaginario eroe del XVI secolo.
E' la parte finale della cruenta e lunga epoca conosciuta come Sengoku jidai ((戦国時代 1478-1605) nel corso della quale condottieri, samurai, semplici ashigaru, donne fatali e donne affatate, combatterono sanguinosamente per la conquista del potere supremo o di un effimero e ristretto potere locale. Sopra territori e feudi o sopra altri esseri umani; molto spesso e a volte invano semplicemente sopra se stessi.
Come ci ridorda Tanizaki nella prefazione, citando le parole del saggio Wang Yang Min, E' più facile sconfiggere un bandito nascosto in montagna che non il male che è nascosto nel proprio cuore.
Il giovanissimo Terukatsu Kiryu, figlio di un feudatario di medio rango, vive come ostaggio nella fortezza di Ojika, assediata da un potente nemico. Gli scontri, cui ancora non può partecipare, si susseguono ininterrottamente e le teste dei nemici tagliate durante le sortite si accumulano, accudite ed acconciate, in segno di rispetto ma anche per rivendicarne il merito ed il valore, dalle nobili dame del feudo.
Terukatsu ha la ventura di assistere a queste cruente operazioni, e ne rimane per sempre impressionato e segnato. Il contrasto tra la crudezza della morte in battaglia ed il fascino delle incantevoli donne che le accudiscono e le manipolano gli fa desiderare di essere una di quelle teste, che sarà carezzata, pettinata, in qualche modo in definitiva amata dalla splendida e giovanissima dama sconosciuta che ha immediatamente colpito il suo cuore.
Terukatsu uscirà di notte dalla fortezza per tagliare di persona la testa di un nemico e riuscirà nell'impresa, che terrà però per sempre segreta. Nell'attimo stesso in cui arrivava a compimento forse lo coglieva il senso della inutilità delle azioni, pur gloriose, di cui non si è compreso fino in fondo il senso.
Alla morte del padre Terukatsu diverrà il signore di Musashi - ossia di Bushu adottando la pronuncia sinofona dell'ideogramma - e si conquisterà in breve tempo una solida fama di temerario, spietato e valoroso guerriero.
Ma sente che qualcosa gli manca: la sua opera non sarà mai completa fino a quando non verrà conosciuta, riconosciuta, apprezzata da una donna.
E' così che la sua febbrile ricerca lo porta a conoscere segretamente la nobile Kikyô, a diventarne l'amante e a farsi strumento della sua terribile vendetta contro un marito cui era stata legata a forza e verso cui nutriva solo disprezzo.
Questo non porterà pace né al signore di Bushu né alla altera ed affascinante Kikyô. Il loro destino non lo consente e il loro legame non potrà continuare. E' destinato ad essere spezzato.
Kikyô, dopo averlo umiliato e fatto mutilare, si dedicherà pietosamente al marito di cui ormai ha dimostrato l'inferiorità e annientato la personalità. Dopo di allora la vita del signore di Bushu sarà breve, gloriosa, inappagata.