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Natsu: Estate


Bashô

(1644-1694)

Hototogisu

kieyuku kata e

shima hitotsu

Il canto del cuculo
si perde lontano
verso un'isola sola

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kyorai

(1651-1704)

Suzushisa no

noyama ni mitsuru

nembutsu kana


Cantando la gloria del Buddha
la frescura riempie
i campi ed i monti

kigo:

suzushisa “frescura”;

no (“campi”)

yama (“monti”)

 

Nella recitazione della formula Namuamidabutsu (“Gloria al Buddha della Terra Pura”, giapp. nembutsu) la mente s’acquieta, si distacca dall’oppressione dell’afa soffocante ed una dolce frescura si stende su ogni cosa.

In un’occasione assai più drammatica, nel monastero di Yerin-ji dato alle fiamme da Oda Nobunaga, l’abate Kaisen rivolse ai suoi monaci, che aspettavano la morte seduti in meditazione, l’ultimo sermone: “Per sedere in meditazione quietamente, non c’è bisogno d’andare sui monti, o lungo il corso dei fiumi. Quando la mente è immobile, anche il fuoco è fresco e dà sollievo.”

 

Kikaku

(1660-1707)
Inazuma ya
kinô wa higashi
kyô wa nishi


Ah, i lampi!
ieri ad oriente
oggi a occidente

kigo:

inazuma “lampi”;

kinô ... kyô: “ieri ... oggi”;

higashi ... nishi: “oriente ... occidente”


Una constatazione apparentemente banale: i lampi scoccano quando e dove vogliono. Già, ma perché? Nella mancata risposta si avverte l’incapacità (e il disinteresse) da parte del poeta di comprendere razionalmente il perché del fenomeno, che egli accetta comunque così com’è.

Allo stesso tempo, dietro l’assenza di risposta e il balenare imprevedibile dei lampi, traspare il senso dell’"oscuro mistero” che avvolge ogni cosa e pure ogni cosa dirige e porta a compimento.

 

 

 

 

Ryôta

(1707-1787)

Owarete wa

tsuki ni kakururu
hotaru kana


Quando l'insegui
la lucciola s'occulta
nel plenilunio

kigo:

hotaru, “lucciola”


Lo haiku può essere anche interpretato come metafora della conoscenza: spesso siamo simili a colui che insegue lucciole nel plenilunio. Ci affanniamo a inseguire le piccole luci delle opinioni personali o delle idee altrui per rischiarare l’incerto cammino fra le tenebre dimenticando la luce del plenilunio: la verità che splende dovunque, comunque e per tutti coloro che sappiano coglierne la presenza.

E una volta colta, le opinioni e le idee vengono riassorbite nella luce del Risveglio (di cui la luna è metafora) come lucciole nel plenilunio. Purtroppo, molti “Guardando non vedono, udendo non odono” eppure “Nulla da nessuna parte è nascosto, dai tempi dei tempi tutto è chiaro come la luce del giorno.” (Zenrinkushu)

 

 

 

Buson

(1715-1783)

Mijikayo ya
kemushi no ue ni
tsuyu no tama


Breve notte d'estate
sulla peluria del bruco
stille di rugiada

kigo:

mijikayo, “breve notte (d’estate)”;

kemushi no ue ni: lett. “sul bruco (kemushi)”

tsuyu (“rugiada”)

tama (“gocce” ma anche “perle”)


L’estate pervade tutto, anche gli angoli più riposti della natura e le più umili creature. Il poeta canta l’arrivo dell’estate nella brezza e nella rugiada mattutina che accarezzano e imperlano non splendidi fiori ma il vello dorato di un bruco e invita il lettore a fare altrettanto: miyuru, “puoi vedere”. Sempre che si possegga la necessaria semplicità del cuore.

Mano a mano che procede la semplificazione della mente e del cuore del poeta, parimenti procede la sua capacità di prestare attenzione alle piccole cose e quella di cogliere, in esse ed attraverso di esse, l’eterno e l’infinito. Quando si possiede questa capacità di penetrazione, che è capacità di sciogliere il simbolo, non vi è più un soggetto d’ispirazione più grande o meno grande, più illustre o meno illustre, più degno o meno degno, più significativo o meno significativo.

Tutto diviene “significativo” in quanto le cose compiono la loro funzione di “segni”, di simboli, appunto e la realtà acquista significato, la “significatione” dell’Altissimo di cui cantava Frate Francesco.

Buson

Yamabata wo

kosame hareyuku

wakaba kana


Sui campi montani
pioggia leggera svanisce 
fra tenere foglie

 

kigo:

wakaba, lett. “giovani (waka) foglie (ha)”;

yama-bata: “campi coltivati (bata) in montagna (yama)”;

hare-yuku <hareru “schiarire”, “rasserenarsi” (del tempo) e yuku, “andare”;

ko-same: lett. “piccola (ko) pioggia”

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Issa

(1763-1827)

 

Furusato ya
hotoke no kao no
katatsumuri


Ah, il mio luogo natio
il volto della lumaca
è quello del Buddha

kigo:

katatsumuri “chiocciola di terra”

 

E’ necessaria una buona dose d’irriverenza, o d’illuminazione, per vedere nel muso della lumaca il volto del Buddha. Qui, però, si tratta del secondo caso: visitando i luoghi natali, il poeta torna bambino e nella fanciullezza del cuore, che coincide con la pienezza del Risveglio, vede ogni cosa nella sua vera natura: la medesima del Corpo di Gloria del Buddha.

Eterna e serena, al di là dei nomi e delle forme. “Quando si è penetrato il profondo mistero dell’unica natura, di colpo dimentichiamo i grovigli esterni. Quando le diecimila cose sono viste nella loro unità torniamo all’origine e restiamo dove sempre siamo stati.” (Seng t’san / Sosan: Shinjin mei)