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La battaglia di Nagashino, che ebbe luogo nel 1575, rimane uno degli episodi indelebili della cruenta storia del Giappone feudale. Sotto il comando di Katsuyori Takeda venne portato un violento attacco contro il castello di Nagashino, che minacciava le linee di sussistenza dei Takeda,.

Nominalmente sotto la signoria di Yeyasu Tokugawa, il castello dopo che un samurai di nome Torii Suneemon era riuscito nottetempo a violare il blocco per avvertire dell'attacco, venne tuttavia soccorso dalle forze riunite di Tokugawa e del suo signore Oda, cui spettò il comando supremo.

Attestati dietro delle palizzate, che avevano all'origine lo scopo di rallentare la carica di fanti e cavalieri, i quasi 40000 uomini delle forze di Oda, tra cui alcune migliaia di archibugieri, attesero la carica del'armata dei Takeda, che ammontava a circa 12000 uomini e il cui nerbo era costituito come sempre dalla celeberrima cavalleria, divisa in due reggimenti: quello del Vento che attaccava per primo e quello del Fuoco che spazzava via il nemico dopo che anche la fanteria, il Bosco, ne aveva fiaccato la resistenza.

Forse la pioggia battente e la breve distanza che separava il bosco dalle linee nemiche lasciarono pensare che gli archibugi sarebbero stati in gran parte inutilizzabili e che la carica avrebbe spezzato la resistenza del nemico.

Non fu così: fu la fine dei Takeda come clan organizzato in grado di lottare per la supremazia assoluta del Giappone.

Pochi anni dopo Katsuyori, sopravvissuto alla battaglia, subì un'altra decisiva sconfitta e commise seppuku assieme al figlio, che si chiamava in realtà Nobukatsu e non Takemaru. In questa stampa di Utagawa Toyonobu (1859-1886) vediamo Katsuyori Takeda che guida la carica durante la battaglia di Nagashino.

 

 

 

 

Nel capolavoro di Kurosawa veniamo a sapere dal dialogo dei comandanti prima della battaglia che sono consapevoli del destino che li attende, e chiedono solo di porre onorevolmente fine ai loro giorni sul campo di battaglia. Sui loro uma jirushi, stendardi di comando, gli ideogrammi fu (vento), ka (fuoco) e rin (foresta). Nella realtà, otto dei ventiquattro generali dei Takeda persero la vita nella mischia.

Le cifre sulle perdite di uomini sono contrastanti, oscillano tra i 3000 e gli 8000 morti tra i Takeda, con perdite non rilevanti tra i nemici: non si arrivò ad una lotta corpo a corpo, le cariche incessanti vennero spezzate dal fuoco degli ashigaru, samurai di basso rango armati di teppo (archibugio).

 

Oda Nobunaga, coperto come sempre da una armatura di ispirazione europea, o più probabilmente fornitagli dagli alleati europei, sorveglia la disposizione delle sue truppe. La sconfitta dei Takeda gli darà lo slancio per sperare di conquistare la supremazia assoluta in Giappone, ma il suo sarà solo un breve interludio e il trionfo solo parziale. Era nato nel 1534, ed era quindi più maturo di come lo rappresenta Kurosawa, morirà nel 1582, pochi mesi dopo avere soggiogato definitivamente il feudo di Kai.

Gli succederà il suo vassallo Toyotomi Hideyoshi, che finalmente arriverà al potere supremo. Solo con la scomparsa di questultimo scoccherà finalmente l'ora del paziente Tokugawa. Recita un noto detto giapponese:

Nakanunara koroshite shimae hototogisu.
Nakazutomo nakasete mishoo hototogisu.
Nakanunara nakumade matoo hototogisu.

Se non canta, ucciderò il cuculo.
Anche se non canta, farò cantare il cuculo.
Se non canta, aspetterò che canti il cuculo.

Il primo verso allude allo spietato Nobunaga, il secondo all'abile Hideyoshi, il terzo al paziente Tokugawa.

Gli ashigaru di Nobunaga, per quanto in numero relativamente ridotto, decideranno le sorti della battaglia.

Contrariamente alle sue abitudini Kurosawa rinuncia a inserire la furia degli elementi nella battaglia finale, che nella sua opera si svolge sotto un cielo azzurro e quasi terso, ingombrato solo da qualche nuvola.

 

 

 

 

 

 

La carica della cavalleria Takeda sembra irrefrenabile. Kurosawa inizia in questa opera l'utilizzo intenso di qui cromatismi che torneranno poi in Ran. Non aveva evidentemente potuto utilizzarli in precedenza, essendo questo il suo primo filmjidai che faccia uso del colore. I sashimono del reggimento del fuoco sono evidentemente rossi.

 

 

 

 

 

 

La carica della fanteria è dominata invece dal colore verde dei sashimono: quello della foresta.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Le pallottole degli ashigaru sono però destinate ad infrangere lo slancio dei guerrieri Takeda.

Si abbattono i cavalieri blu che militano sotto le insegne del vento

Si abbattono i verdi fanti della foresta.

Si abbatte al suolo infine la terza ondata del reggimento a cavallo del fuoco.

 

 

 

 

 

 

Impartendoci l'ennesima lectio magistralis Kurosawa non esaspera l'effetto delle terribili scariche di fucileria sui guerrieri che muovono all'assalto.

L'impatto di quei proiettili viene reso drammaticamente evidente dalla reazione dei comandanti, che sobbalzano a vedere le loro truppe falciate come grano maturo, e sembrano volersi slanciare contro le linee nemiche, quasi ad arrestare il piombo mortale con i loro corpi e le loro volontà.

 

 

 

 

Il solo Nobukado rimane immobile, impietrito, apparentemente impassibile, sul suo scranno di battaglia. E' evidente che già immaginava, che già sapeva, è evidente che è rassegnato al destino dei Takeda, sa che nulla ormai può fare.

Nobukado scomparirà 7 anni dopo la battaglia di Nagashino, quando Nobunaga avrà ragione di ogni resistenza e dopo aver invaso il territorio del Kai metterà a morte i suoi rivali.

Un ramo della famiglia guidato da Takeda Kunitsugu si rifugiò nel feudo di Aizu nel nord e sopravvisse fino ai nostri giorni, trasmettendo l'arte di combattimento ancestrale conosciuta oggigiorno come daito ryu aikijujutsu e comunemente come Takeda ryu. Si dice sia stata introdotta da Minamoto Yoshimitsu, da cui discendevano i Takeda e che fu nel XII secolo il primo signore del Kai, sulla base di arti precedenti come il mitico tegoi, arte di combattimento degli dei, ed il  sumai michie. Dal daito ryu aikijujutsu, che ha ancor oggi come emblema lo yotsume, attraverso l'insegnamento del maestro Takeda Sokaku, deriva una delle maggiori arti marziali moderne: l'aikido, elaborato dal grande maestro Ueshiba Morihei.

L'occhio del maestro Kurosawa indugia a lungo sul campo di battaglia e sui corpi esanimi od agonizzanti, coperti di polvere e di sangue, dei samurai Takeda. Un tocco di agghiacciante realismo è dato dalle sofferenze dei cavalli abbattuti ma ancora in vita, che tentano di rialzarsi o vagano senza meta in mezzo alla carneficina.

Kurosawa fu pesantemente criticato per avere inflitto inutili sofferenze agli animali, e si giustificò spiegando di averli semplicemente fatti addormentare: i loro movimenti confusi, i loro vani tentativi di rialzarsi, erano quelli di chi si risveglia dal sonno e non quelli di chi si trova in agonia.

 

 

Altri occhi hanno assistito alla battaglia, e non possono rimanere impassibili come quelli di Nobukado. E' Kagemusha, che si sente ancora irreversibilmente legato alle sorti del guerriero di cui è stato l'ombra e dell'intero clan.

Non ha potuto resistere lontano dagli eventi ed in qualche modo ha fatto in modo di essere presente ed assistere, inorridito eppure irresistibilmente attratto, alla battaglia.

 

 

 

 

 

Battaglia cui sente di non poter mancare: raccoglie da terra una lancia e corre a perdifiato verso le linee nemiche.

Finché un misericordioso colpo di archibugio lo abbatterà, dandogli la morte che cercava.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il suo corpo esanime viene portato via dalla corrente del fiume Rengogawa, presso cui si è svolta la battaglia.

Accanto a lui viene trascinato dalle acque anche il nobori, il grande stendardo di battaglia del clan dei Takeda.

 

 

 

 

 

 

 

 

E' azzurro e riporta una scritta:

Veloce come il vento,
Implacabile come il fuoco ,
Silenzioso come la foresta,
Irremovibile come la montagna.