Giuseppe Fino

La Spada Giapponese

Sanno-Kai, 1998

 

 

Uscito diversi anni fa, questo libro è stato a lungo l'unico testo in italiano disponibile sulla materia, fatta eccezione per opere ormai lontane nel tempo e non più reperibili.

Sarebbe stato un piacere parlarne bene, purtroppo non è possibile dare un giudizio del tutto positivo: ma vogliamo darne la colpa ad una certa prematurità nell'affrontare l'argomento, che solo negli ultimi anni comincia ad essere affrontato in Italia con la necessaria profondità.

Non che il libro sia assolutamente sconsigliabile, riporta infatti una notevole mole di utili informazioni, per quanto sia di piccolo formato e non arrivi alle 100 pagine, ma con un certo numero di fraintendimenti ed imprecisioni che rendono necessario l'avvertimento di non prenderlo come  testo di riferimento insindacabile ma solamente come una prima introduzione ad un argomento molto complesso.

Alcune scelte di metodo vanno invece indicate decisamente come erronee. Non è possibile ad esempio tracciare un profilo storico della spada giapponese suddividendo la produzione nelle epoche storiche classiche, che vanno citate solo come riferimento.

I periodi della spada classica, come segnalato anche nel testo in esame ma troppo sbrigativamente, sono koto (antica spada), shinto (nuova), shinshinto (nuovissima) e gendaito (moderna), non ha senso in questo contesto una suddivisione nei periodi storici Muromachi, Momoyama o Edo.

Inoltre qualunque esperto o anche orecchiante di nihonto sa perfettamente che i periodi storici non identificano univocamente un periodo di produzione del nihonto.

Il periodo Edo ad esempio  (1603-1867) racchiude i periodi stilistici shinto nella parte iniziale e shinshinto in quella finale, come si può verificare nella tabella accanto che proviene da The connoisseur's book of japanese swords di Nagayama Kokan, testo considerato un po' la bibbia in materia (qui manca la prima parte dell'epoca Edo).

Altri errori si annidano un po' in tutte le pagine del libro, potenzialmente più dannosi perchè non si limitano ad omettere una informazione ma ne danno una errata, e non immediatamente riconoscibili come tale perché inseriti in un contesto fitto di informazioni anche valide ed interessanti:

Nell'antichità la spada veniva cinta al fianco nuda. Nei tempi più recenti, però, si diffonde il costume del fodero, il cui tipo più usato è la shira-saya, in legno bianco levigato. [a parte le considerazioni sulla relatività del termine recenti, visto che i foderi sono in uso da millenni, la shirasaya è il fodero da riposo in cui l'arma viene riposta quando non in uso, se indossata viene montata invece nel koshirae]

Risale infatti al periodo Kamakura l'usanza di incidere, sulla superficie interna dell'impugnatura, oltre al nome dell'autore la sua residenza e la data di lavorazione. [Probabilmente l'autore intendeva dire sul lato esterno - e non interno - del nakago (codolo): l'impugnatura- tsuka - nelle lame giapponesi è amovibile ed eseguita da un altro artigiano, quindi non avrebbe senso apporvi la firma dello spadaio. Il discorso sulla residenza è più complesso di quanto sembra, la data quando presente viene invece apposta sull'altro lato].

Tra i maestri spadai più famosi dell'èra Bakumatsu occorre citare Masahide, che sostiene un ritorno allo stile Kamakura - Nambokucho e infleunza grandemente i suoi contemporanei. [Difficile pensare che Suishinshi Masahide, padre dello stile shinshinto, che inizia come abbiamo visto nel 1781, sia uno spadaio dell'era Bakumatsu, ossia 1853-1867]

Completa il volumetto la riedizione di un saggio che risale al 1918 e sul cui autore, Pietro Silvio Rivetta, si sa ben poco: Il culto della spada in Giappone. Nemmeno qui mancano imprecisioni; per citarne una sola:

.. e servono a nascondere la ribaditura dei bulloni che tengono fissa la lama, i menuki: e poiché alla buona lavorazione di quei punti la spada deve la sua saldezza al manico, i giapponesi chiamaron metaforicamente menuki ogni cosa di grande importanza e dissero menuki di un momento decisivo di un combattimento.

In realtà i menuki non hanno alcuna funzione pratica, si tratta di semplici decorazioni che hanno anche l'effetto di rendere più salda la presa.

Le lame giapponesi non sono fissate al manico con bulloni ribattuti, ma con semplici perni passanti di bambu chiamati mekugi, e nel caso delle lame con montatura tachi con un secondo perno passante attraverso il kabutogane (codolo).

Nella foto, proveniente da The Japanese Sword, di Kanzan Sato, sono evidenziati i mekugi. Le altre decorazioni che appaiono sul manico sono menuki, in numero inconsueto (di solito è solo uno per lato) perché si tratta di un tachi da cerimonia.

La seconda affermazione sul tipico modo di dire giapponese è tuttavia interessante ed inedita.

In definitiva un testo che meriterebbe di essere rivisto e amendato da queste imperfezioni mediante l'aggiunta di note: acquisterebbe un valore maggiore e potrebbe essere consigliato senza riserve.