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Hayao Miyazaki: 1997 - La principessa Mononoke

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Hayao Miyazaki: La principessa Mononoke

1997

Scriveva Hayao Miyazaki nel 1995, presentando la sua proposta di realizzazione dell'opera cui intendeva dare il nome di Ashitaka setsuki (La storia di Ashitaka):

Scopo del progetto:  Raffigurare ciò che costituisce l'immutabile base dell'esistenza umana attraverso i secoli, sovrapponendo l'attuale era, che sta attraversando cambiamenti verso il ventunesimo secolo, con la confusa era Muromachi, che si svolse durante il processo di mutamento dal collasso del sistema medioevale all'era moderna. Un dramma storico intessuto del seguente ordito: il combattimento tra gli uomini e i Mononoke per ottenere la testa del dio-animale, Shishi Shin, e dalla seguente trama: l'incontro e la liberazione tra la ragazza che era stata allevata dagli Inugami (dei cane) e odia gli umani ed il ragazzo che è sottoposto ad una maledizione mortale. .... Alla fine, la ragazza dirà al ragazzo: "Ti amo, Ashitaka. Ma non posso perdonare gli umani." Sorridendo, il ragazzo dovrebbe dire: "Va bene. Vivi con me." Voglio fare un film così.

Potete consultare qui il testo completo, in italiano.

 

Hayao Miyazaki (Tokyo 1941), laureato in Scienze Politiche ed Economia, si rivolse tuttavia ben presto verso il mondo artistico, entrando a far parte come disegnatore degli studi Toei e poi della A Production. SI devono a lui alcuni personaggi conosciuti in tutto il mondo, come Heidi, Conan, Lupin III ed Anna dai capelli rossi. Paradossalmente nessuno di questi ha alcuna attinenza con il Giappone.

Il successo di uno dei suoi primi lungometraggi, Nausicaa della valle del vento, gli diede la spinta per fondare assieme all'amico Isao Takahata, regista e produttore, lo Studio Ghibli. Era il 1984 e per la prima volta un film d'animazione, pur mantenendo un linguaggio accessibile ai bambini, affrontava tematiche che dobbiamo definire alte, non limitandosi al racconto di una favola astratta fine a se stessa e dando più di uno spunto per profonde riflessioni sul senso della vita.

Ghibli è il nome di un vento del deserto africano, unico ambiente in cui ironicamente l'artista sosteneva che avrebbe forse trovato la libertà creativa indispensabile a lui e Takahata. Attraverso lo Studio Ghibli produsse tutte le sue opere successive, ma attualmente preferisce rimanere dietro le quinte lasciando la direzione delle animazioni dello studio ai suoi numerosi collaboratori ed allievi. E' rimasto probabilmente l'unico maestro indiscusso che abbia rinunciato alla computer grafica continuando ad utilizzare le tradizionali tecniche manuali.

Da allora, visionario ma sempre attento ai grandi temi della vita reale, Miyazaki crebbe costantemente nella stima del pubblico e della critica. Venne definitivamente consacrato a fama mondiale con il riconoscimento dell'Orso d'oro attribuitogli nel 2003 al Festival di Berlino per Chihiro e poi con il conferimento del Leone d'oro alla carriera al Festival di Venezia del 2005.

Risale al 1997 la sua finora unica opera di ambientazione jidai: La principessa Mononoke (Mononoke hime). Purtroppo a lungo non distribuito in Italia, costituisce il capolavoro assoluto di Miyazaki superando per ambizioni narrative e per grandiosità di realizzazione il pur giustamente osannato La città incantata (Sen to Chihiro no kamikakushi). Ebbe una lunga gestazione, le linee fondamentali sono già presenti in un manga, Shuna no tabi (Il viaggio di Shuna) che risale al 1983, ma l'impulso decisivo venne dato a Miyazaki dalle visite alla grande ed intatta foresta della sperduta isola di Yakushima e poi alla secolare foresta di Shirakami, patrimonio dell'UNESCO..

Ashitaka è il protagonista principale dell'opera, che ha comunque aspetti corali e ove appaiono numerose altre figure portanti. Nonostante l'affermazione di Miyazaki che riteneva questi altri personaggi assolutamente minori non possiamo infatti trascurare il loro importante peso nella vicenda.

E' un giovane principe dell'etnia Emishi, che da 500 anni vive isolata nelle selvagge terre del nord est dove è rimasta relegata dopo la sconfitta contro le forze del Mikado. Apparentemente Miyazaki si ispira per delineare i contorni di questo popolo agli Ainu - di cui effettivamente si pensa che gli Emishi fossero gli antenati - che vennero man mano spinti a nord dalla crescente egemonia della etnia nipponica e confinati infine nella gelida isola di Hokkaido. L'opera è ambientata in un periodo non meglio precisabile sul finire dell'epoca Muromachi (1336-1573), come attestano i riferimenti all'uso delle prime armi da fuoco.

L'arrivo di Nago, un mostruoso demone che si cela sotto l'aspetto di un gigantesco cinghiale, sconvolge la vita di Ashitaka. Egli cavalca Yakkuru, un cervide dal nobile aspetto, e  affronta il demone che minaccia di distruggere il suo popolo e di travolgere le ragazze intente alla raccolta dei campi, uccidendolo con una freccia. Ma contaminato ad un braccio dal sangue con cui è venuto a contatto è condannato come confermano antiche profezie a morire fra atroci tormenti.

La sciamana del popolo anticipa con il suo dolore per la morte del mostro il tema fondamentale dell'opera: la tolleranza anzi l'amore verso ogni forma di vita e verso la natura. Ashitaka per espiare la sua incolpevole colpa, perché ha ucciso per salvare il suo villaggio dopo avere invano scongiurato il demone di placare la sua furia, dovrà lasciare la sua terra ed il suo popolo per andare incontro in altri luoghi al destino finale, che la profezia lascia aperto ad una soluzione positiva. Dovrà però essere conquistata a caro prezzo.

Porta con se un ammasso metallico trovato nelle viscere del mostro, quello che causandogli incessante dolore ne scatenava la furia, ed un pendente di cristallo a forma di pugnale, pegno d'addio lasciatogli dalla sorella Kaya.

Nel corso delle sue avventure incontrerà San, una selvaggia ragazza che vive con un branco di lupi combattendo al loro fianco contro gli esseri umani. E' conosciuta come la principessa Mononoke.

 


 

La storia che Miyazaki ci racconta, in fondo molto lineare, è tuttavia costellata di innumerevoli riferimenti alla cultura tradizionale giapponese, troppi per tentare di decifrarli tutti ed esporli al lettore. Il quale dovrà avere l'avvertenza di decidere per tempo quando arrestare la lettura se vorrà prendere visione dell'opera senza preconcetti e senza privarsi del senso di magica attesa che  proviene dall'ignorarne gli sviluppi e la conclusione.

Era reperibile in rete nelle edizioni francese ed inglese - in entrambe è disponibile l'audio originale giapponese con sottotitoli - ma come abbiamo detto non era mai stata finora distribuita in Italia tranne per breve tempo in una edizione Buena Vista Pictures,  che poi ne cedette i diritti. Attualmente è facilmente reperibile, sia in dvd che in blue ray.

Il giovane Ashitaka è destinato a divenire un giorno il capo del suo popolo, ma il destino vuole che sia obbligato ad arrivarvi compiendo un percorso lungo e difficile, dopo aver conosciuto e sperimentato in prima persona, attraverso un viaggio che lo porta a conoscere  gli altri esseri umani e le forze della natura, la sofferenza fisica e quella dell'animo, per comprendere meglio se stesso e quanto lo circonda.

Oscuri ma inequivocabili segnali hanno messo in allarme il popolo degli Emishi, che aveva fino ad allora goduto di una relativa tranquillità tra le inaccessibili montagne ove aveva trovato rifugio. Nei molti secoli passati dalla loro sconfitta e dal loro esilio le forze del popolo si sono affievolite, ma sembra che anche i dominatori nipponici conoscano una crisi che sembra irreversibile. Ci troviamo, lo ricordiamo, sul finire dell'epoca Muromachi, in un periodo di anarchia e di guerre ininterrotte che si trascina per circa 100 anni: il Sengoku jidai.

 


Yakkuru, la cavalcatura di Ashitaka, si dice sia stato disegnato ispirandosi ad un incrocio tra uno yak tibetano, da cui il nome, ed un'alce, ma sembra piuttosto uno stambecco, anche per il modo in cui corre e salta tra le rocce delle montagne, un animale su cui Miyazaki potrebbe avere studiato fin da quando era impegnato in Heidi. In quanto al nome non va escluso che richiami l'isola di Yakushima ove Miyazaki si recò per prendervi ispirazione. Sembra che in Giappone tuttavia esistano nelle leggende popolari animali analoghi che prendono il nome di aka shishi (spiriti rossi) dal colore del loro mantello.


 

La minaccia infatti non viene dagli esseri umani. Quello che teme la sciamana, comunicando per mezzo di Ashitaka l'ordine di rientrare tutti nel villaggio, è l'intervento di forze oscure e sovrannaturali.

E' dalla foresta, da cui arrivavano già da tempo quegli inquietanti segnali, che si materializza improvvisamente la minaccia: è un gigantesco cinghiale in preda ad una furia incontrollata, completamente ricoperto di piaghe insanguinate brulicanti di vermi o tentacoli. 

Per quanto incarnato in forme animali è evidente che la sua natura è sovrannaturale, e la sua smania di distruzione incontenibile.

 

 

Ashitaka tenta invano di offrirsi come esca per portarlo lontano dal villaggio, confidando nella velocità di Yakkuru, la sua fantastica cavalcatura. Invano lo scongiura di arrestare la sua furia.

Il demone continua la folle corsa, e le ragazze uscite per il raccolto, che non hanno fatto in tempo a mettersi al sicuro, rischiano di esserne travolte.

Ashitaka è costretto ad intervenire: arma il suo arco e indirizza delle frecce contro il mostro, mirando istintivamente agli occhi che si riveleranno poi il suo unico punto debole.

Ma per farlo deve avvicinarsi, caracollando intorno all'apparizione, e viene afferrato al braccio dai tentacoli, che l'avvolgono.

 

Immediatamente dopo che il mostro si è abbattuto al suolo, anche Ashitaka si rende conto di essere ferito. Nonostante si abbia strappato immediatamente i tentacoli di dosso il suo braccio ne è rimasto infettato, e presenta una piaga che gli causa dolori lancinanti.

Nemmeno l'acqua che viene immediatamente versata sul braccio da Kaya, la coraggiosa ragazza che sola aveva tentato di resistere al mostro, gli porta sollievo.

Evapora anzi come se venisse versata sopra una stufa bollente.

 

 

 

Hi sama, la sciamana del popolo degli Emishi, chiede perdono alle spoglie del mostro.

La sua natura divina è per lei ancora più evidente, e sa che gl i dei e le forze della natura non agiscono mai senza una precisa ragione.

Spetta ora a lei approfondire le cause di questa tragedia, che il pacifico popolo non è riuscito ad evitare.

 

 

 

 

 

Tirando le sorti Hi sama apprende molto, sia sul passato che sul futuro, ma rimangono alcuni nodi irrisolti. Il dio cinghiale, reso folle da un ammasso metallico ritrovato all'interno del suo corpo, proveniva dall'ovest.

Ashitaka non ha colpa, ma la maledizione lo ha ormai colpito in quanto strumento materiale della morte di Nago, il dio cinghiale.

La piaga sul suo braccio è destinata ad estendersi fino a portare anche lui alla morte. Dovrà abbandonare il suo popolo e dirigersi da solo verso le terre dell'ovest, dove ha una sia pure effimera possibilità di sfuggire al suo destino, se saprà astenersi dall'odio. E' questa la citazione più importante dai tanti messaggi che Miyazaki ha deciso di trasmettere allo spettatore.

In silenzio Ashitaga taglia il chommage, il nodo rituale della capigliatura che contraddistingue la sua origine ed il suo rango.

Accetta il responso del destino e viaggerà verso l'ovest per cercare una risposta al mistero.

Gli anziani del villaggio manifestano il loro dolore per la separazione dal principe, predestinato ad essere un giorno il loro capo.

 

 

 

 

 

La profezia di Hi sama costringe Ashitaka ad abbandonare per sempre gli Emishi di notte, senza essere visto da alcuno. Kaya sfida il volere degli dei per dargli un ultimo saluto. Gli si rivolge chiamandolo non Ashitaka come appare nei sottotitoli ma Ani sama: onorevole fratello.

Questo non vuol dire necessariamente che sia la sorella, si tratta di un termine rispettoso utilizzato anche nei confronti di persone cui non si è legati da alcun rapporto di parentela. Si ha l'impressione che sia piuttosto una ragazza nei cui confronti Ashitaka stava sviluppando un affettuoso rapporto, che si spezza per volere del fato.

Come dono di addio Kaya consegna al giovane un piccolo kwaiken, il pugnale riservato alle donne, con lama in cristallo. Lo portava al collo come pendente.

 

Ora Ashitaka è solo, il suo unico compagno è il fedele Yakkuru.

Ed in basso, nelle vallate al di sotto delle terre degli Emishi, lo attende il suo destino.

 

 


 

Varcando il fiume che lo porterà verso quel popolo da lui ancora sconosciuto che ha vinto e scacciato gli Emishi, Ashitaka attraversa stupendi paesaggi che lo riconciliano con la natura.

Miyazaki richiama spesso nelle sue ambientazioni, a volte esplicitamente, a volte in modo più sottile, le opere dei sommi maestri dell'arte della stampa giapponese.

 

 

 

 

 

Man mano che si avvicina alla civiltà e l'opera della natura viene accompagnata da quella dell'uomo, i segnali che Ashitaka incontra lungo il cammino si fanno via via più inquietanti.

Nella vallata è in corso un combattimento: il baluginare dell'acciaio si accompagna al fumo degli incendi ed alle grida di donne, vecchi e bambini: la guerra si accanisce soprattutto sugli inermi.

 

 

 

 

 

Ashitaka porta una spada al fianco ed il suo lungo arco sulle spalle: prima ancora che giunga a distanza di voce viene identificato come un guerriero, e vista la foggia insolita dei suoi abiti, per non parlare della sua cavalcatura, come un nemico.

Dei soldati si mettono sulla sua strada per fermarlo, ma le sue frecce seminano il terrore e nessuno riesce ad arrestare Yakkuru lanciato al galoppo.

Tuttavia un gruppo di cavalieri ricoperti di pesanti armature, anche loro armati di arco, tenta di tagliargli la strada.

 

 

 

Ashitaka non è venuto là per combattere, ma viene travolto dall'ira e continua a scagliare frecce.

Gli effetti sono devastanti: i suoi bersagli vengono colti infallibilmente, e le frecce sembrano essersi tramutate in falci, dove toccano tranciano di netto arti e teste.

Ben presto nessuno osa pù mettersi sulla sua strada, i guerrieri sconosciuti pensano di trovarsi di fronte ad un demone invincibile.

 

 

 

 

 

Che Ashitaka sia stato in quei momenti posseduto da un demone è vero. Divorato dall'odio verso quei soldati brutali ed arroganti le sue forze si erano magicamente moltiplicate.

Ma appena ha tempo e modo di arrestare la sua folle corsa si rende conto che allo stesso tempo la piaga del suo braccio si è estesa ed aggravata.

Continuerà a peggiorare ogni volta che si lascerà dominare dall'odio, pur rendendolo invincibile.

L'unico mezzo che Ashitaka ha a disposizione per vincere la maledizione è di liberarsi per prima cosa dall'odio, che altrimenti lo possiederà dapprima lentamente e poi a ritmo sempre crescente, piagando la sua carne ed il suo spirito fino a divorarli entrambi.

Ashitaka è costretto ad entrare in un villaggio per rifornirsi di viveri, mantenendosi coperto per non essere riconosciuto e dovere affrontare altre lotte.

E' completamente ignaro delle usanze del posto, e non sa come pagare il riso che sta acquistando. In quella località gli scambi si basano sull'argento ma lui con se ha solo dell'oro, talmente raro che non viene riconosciuto.

Interviene uno strano monaco errante, Jigo, che lo ha immediatamente identificato come lo sconosciuto guerriero scorgendo da lontano le corna di Yakkuru in mezzo alla folla.

Riconosce immediatamente l'oro e garantisce che vale molto di più del sacco di riso che la donna non vuole cedere. Ashitaka si allontana immediatamente, quando si rende conto del trambusto che ha causato rivelando di avere con se dell'oro. Jigo lo segue.

La notte, in un riparo di fortuna, Ashitaka si confida. Ha seguito a ritroso le tracce del demone cinghiale che ha causato la sua maledizione, fino al villaggio dove si è scontrato con i samurai, ma ora le ha perdute e non sa più dove andare.

Higo non si meraviglia dell'amaro destino di Ashitaka: il mondo gronda malvagità. La stessa grotta dove si riparano è al margine di un villaggio abbandonato, distrutto dagli uomini o dalla natura. Non sa dire cosa sia la pallottola metallica che ha scatenato la follia del dio cinghiale, mostratagli da Ashitaka.

Ma ha un consiglio da dargli: ai confini delle regioni abitate, nell'estremo occidente, esiste una foresta sacra dominata dal dio cervo che si dice popolata da animali giganteschi, come nei tempi antichi.

Forse là Ashitaka potrà trovare qualcosa che lo aiuti a liberarsi dalla maledizione: il dio cinghiale probabilmente proveniva da quella foresta.

Intraprende senzaltro il cammino attraverso altre regioni, apparentemente prive di presenza umana ma di intensa e suggestiva bellezza.

 

 

 

 

 

 

 

Miyazaki certamente si è ispirato nella sua opera non solo alla visione diretta dell'armonia della natura.

Ha attinto come già detto anche ai capolavori dei grandi maestri dei secoli passati.

Nella immagine accanto vediamo una delle opere maggiormente conosciute dell'immenso Katsushika Hokusai: Vicino al castello di Umezawa nella provincia di Sagami, dalle Trentasei vedute del monte Fuji.

 

 


 

La mattina all'alba, mentre Jigo ancora dorme, Ashitaka si allontana silenziosamente tenendo per la cavezza Yakkuru. La sua meta è quella lontana montagna sacra.

Vi arriva sotto un fitta pioggia, e si arresta ai piedi delle pendici sulle rive di un torrente dal corso impetuoso.

La montagna sacra è ben lontana dall'avere l'aspetto sereno che ci si attenderebbe, e non per la pioggia: non vi è traccia di animali e gli alberi sono ridotti a tronconi anneriti dal fuoco.

Una lunga carovana di uomini e bestie da soma sta percorrendo faticosamente un ripido sentiero ingombro di massi, a precipizio sulla valle.

 

Anche qui Miyazaki, senza ripeterli pedissequamente, si ispira ai grandi artisti del passato.

Nella immagine a lato vediamo uno dei capolavori più conosciuti ed ammirati di Andô Hiroshige, il massimo esponente della grande scuola di Utagawa: La stazione di Hôno sotto la pioggia, dalle Cinquantatre stazioni del Tôkaidô (stazione numero 59).

 

 

 

 

 

 

 

Oltre agli uomini esistono altre forme di vita nell'alto della foresta, ma non sono probabilmente quelle che Ashitaka si sarebbe aspettate.

Due giganteschi lupi arrivano da lontano correndo tra le nude rocce ed i monconi di alberi giganteschi, visibili a malapena tra la fitta pioggia.

Ma dalla carovana, dove tutti sono all'erta, li hanno già avvistati e viene gettato l'allarme.

Una misteriosa figura umana, il cui volto è coperto da una maschera, cavalca una delle immani belve che si dirigono minacciose verso uomini e bestie da soma, avvinghiandosi al suo pelo.

 

 

Alcuni degli uomini hanno aperto in gran fretta quelle che sembravano torce, proteggendole con gli ombrelli, stranamente tenuti chiusi prima sotto la pioggia battente.

Le torce si rivelano ora per quello che sono: degli archibugi a pietra focaia.

Schierati a protezione della carovana gli archibugieri aprono un fitto fuoco di sbarramento in direzione delle belve.

Il paesaggio spoglio ed apocalittico - e si rivelerà tale perché così ridotto dalla mano dell'uomo - il fumo degli spari, la pioggia battente e il grigiore in cui le intemperie avvolgono tutto.

La scena rammenta le sanguinose, crudeli ed inutili battaglie della prima guerra mondiale.

Le pendici del monte contrastano con l'aspetto calmo, quasi idilliaco nonostante la pioggia, della stessa foresta più a valle, dove nel frattempo Ashitaka era penetrato. Rimane allarmato dall'udire le continue raffiche degli archibugi: un rumore a lui del tutto sconosciuto.

 

 

 

 

 

 

 

In alto, ad un cenno dell'essere umano che cavalca il primo lupo, gli assalitori hanno cambiato direzione alla loro corsa sfuggendo agli spari.

Allo stesso tempo, arrivando dalla direzione opposta da dove nessuno si aspettava di vederla spuntare, una lupa ancora più colossale è penetrata all'interno della carovana, seminando lo scompiglio ed il terrore tra uomini e bestie, non pochi dei quali precipitano nel dirupo.

Puntando decisamente verso quello che sembra il posto da dove arrivano gli ordini di battaglia per i difensori della carovana.

 

 

Il comandante della carovana è una donna dall'aspetto altero e dal comportamento gelidamente efficiente.

E' impassibile, impermeabile ad ogni emozione.

Attende a pie' fermo mentre la belva la sta caricando, e solo quando è sicura di non fallire il colpo lo lascia partire dalla sua micidiale arma.

La lupa, colpita, cade nel precipizio.

 

 

 

 

 

Gli uomini esultano ma la strana ed inquietante donna frena il loro entusiasmo: Moro, questo è il nome dello spirito-lupa, è immortale.

Per quanto le ferite possano farla impazzire di dolore nessuna arma mortale potrà mai ucciderla.

 

 

 

 

 

 

 

 

In basso, sulle rive del torrente, finalmente non arrivano più ad Ashitaka gli echi degli spari e delle grida che hanno accompagnato la cruenta battaglia.

Cominciano in compenso  ad arrivare, trascinati dalla corrente, i carichi, i basti, i buoi e gli uomini precipitati di sotto.

Riesce a trarne in salvo due, portandoli al sicuro sulla sponda e tentando di rianimarli.

 

 

 

 

 

Quando li ha messi al sicuro ed ha il tempo di guardarsi intorno, messo in allerta da Yakkuru che ha avvertito qualcosa, Ashitaka scruta sull'altra sponda e si rende conto di non essere solo.

A breve distanza ma non raggiungibli, li separano le onde minacciose del torrente, vi sono due giganteschi lupi ed un terzo, di mole ancora più smisurata e dal manto completamente bianco.

Accanto a loro una figura umana.

 

 

 

 

 

La grande belva bianca, sappiamo ora che è Moro, lo spirito lupa, perde sangue da una ferita alla gola.

L'essere umano accanto a lei si rivela, ha tolto la maschera, per una giovanissima ragazza dallo sguardo fiero e indomito quanto quello dei lupi cui si accompagna.

E' intenta a succhiare dalla ferita il sangue infettato dalla pallottola, che altrimenti causerebbe atroci sofferenze ed infine la pazzia dello spirito.

E' incurante del sangue che le si imbratta il volto e le mani, ed ancora più incurante dei richiami di Ashitaka lo ignora e torna al suo compito.

 

 

Non appena ha terminato, un lungo sguardo corre tra i due. La ragazza non risponde alle domande di Ashitaka, che vuole sapere se si trova al cospetto degli dei di quella foresta.

Inforca di nuovo la sua cavalcatura e si allontana, senza aver mai pronunciato alcuna parola tranne un breve grido di incitamento al suo lupo per farlo muovere.

Sapremo più tardi che si chiama San ma gli umani, che la temono e la considerano tra i peggiori nemici, la chiamano Mononoke hime: la principessa Mononoke.

 

 


Il Dictionnaire Historique du Japon, pubblicato dal 1963 al 1995 in 20 fascicoli, nella edizione del 2002 consta di due volumi per complessive 2993 pagine. E' stato pubblicato a Parigi dalla Maison Franco-Japonaise - Maisonneuve & Larose, con la consulenza della Nippon Koten kekyukai (Società per lo studio della letteratura giapponese classica). Può essere considerato un testo di riferimento di valore assoluto. Sfortunatamente è estremamente difficile da reperire e molto costoso, a meno di non avere molta fortuna nelle ricerche sul mercato dell'usato.

Riporta alla pagina 1874 del secondo volume una succinta ma esauriente scheda sui Mononoke, parola che alla lettera significa influenza nefasta degli spiriti.

Il significato del termine mono è incerto, ed è possibile attribuirgliene molti e differenti tra di loro; è comunque condivisa l'opinione che il termine composto mono no ke possa intendersi sia come spirito divino che come spirito malefico. Gli spiriti agiscono sugli esseri umani con il loro soffio (ke, reso con un ideogramma molto simile a quello di ki) che in ogni caso viene percepito con disagio e senso di inquietudine dagli esseri umani anche quando lo spirito è benigno.

L'azione (tatari) degli spiriti, spesso emanazioni di persone morte (shiryô) ma talvolta anche di persone viventi (ichiryô) viene considerata un mononoke. I mononoke nefasti venivano ritenuti responsabili sia di dissesti a livello globale, come calamità od epidemie, sia di disgrazie personali.

Potremmo in definitiva tentare di rendere il senso di mononoke con la perifrasi soffio dello spirito.

 


 

 

Ashitaka non ha più tempo di pensare alla sconosciuta ragazza, delle grida di terrore lo richiamano là dove aveva lasciato i due uomini strappati all'annegamento nelle acque del torrente, dopo che erano rovinosamente caduti nel dirupo per sfuggire all'attacco dei lupi.

Uno dei due, sapremo poi che si chiama Koroko, che è appena rinvenuto, deve avere scorto vicino a se qualcosa di terrificante.

 

 

 

 

 

Per la verità l'apparizione, per quanto inconsueta, è anche graziosa. Si tratta di un kodama, uno spirito dei boschi.

Miyazaki ce lo rappresenta di piccole dimensioni, come gli gnomi ed i folletti delle saghe occidentali, con aspetto e movenze infantili, capace di ruotare la testa in tutte le dimensioni e di farla risuonare come i crotali di un serpente a sonagli. Appare dal nulla e nel nulla svanisce, a suo piacimento.

 

 

 

 

 


Nella Enciclopedia dei Mostri Giapponesi Shigeru Mizuki ci informa, nella scheda dedicata al kodama, che non è infrequente che gli spiriti silvani vengano rappresentati come somiglianti a bambini di circa tre o quattro anni e cita anche i kinoko, i kashabo, i keko, i konakijiji e molti altri ancora.

Il kodama è in sostanza l'anima di un albero, ma non tutti gli alberi hanno anima e di conseguenza sono associati ad un kodama: solamente gli anziani che hanno vissuto molto tempo nella regione hanno sviluppato la sensibilità necessaria per riconoscerli, per quanto questi alberi siano sempre enormi, maestosi e pieni di armoniosa potenza. 

Ancora oggi Mizuki assicura di incontrare talvolta nelle foreste dei grandi alberi cinti per contrassegnare la loro natura di kami - potenze sacre della natura - da uno shimenawa, il cordone rituale con numerosi nappi pendenti che viene appeso nei templi e durante le cerimonie shinto di purificazione, ad esempio in occasione della forgiatura di una spada.

Potremmo ipotizzare che il tipico ticchettìo da loro causato scuotendo la testa sia nella realtà quello dei picchi intenti a scavare nei fusti degli alberi, che la fantasia popolare ha attribuito agli spiriti.


 

I kodama immaginati da Miyazaki sono socievoli, espressivi per quanto privi di parola e scherzosi.

Ashitaka non è rimasto minimamente sorpreso, figuriamoci spaventato, dalla loro apparizione.

Il lento e faticoso incedere dei tre uomini nella foresta, uno ha una gamba rotta e viene portato a spalle da Ashitaka, l'altro è ferito ad un braccio e viene portato da Yakkuru, è preceduto, seguito e soprattutto accompagnato da un autentico nugolo di kodama, che sottolineano quanto vedono ed esprimono le loro sensazioni col caratteristico rumore di sonagli ottenuto scuotendo la testa.

 

 

 

La marcia diviene sempre più faticosa ed Ashitaka è stremato quando si ferma al bordo di uno stagno perché tutti si dissetino.

Ha scorto qua e là le tracce degli inugami, gli spiriti lupo, e di conseguenza della ragazza che lo ha tanto colpito.

Ora un volo di farfalle attira la sua attenzione su altre orme, ma diverse: hanno tre dita.

Si guarda intorno.

 

 

 

 

 

Al limite dello sguardo, immerso in una luce dorata, lontanissima ma quanto mai esplicita, la sagoma del dio cervo, lo spirito della foresta.

Forse Ashitaka vorrebbe raggiungere la divinità, nella speranza di esserne liberato dalla sua maledizione.

Ma un dolore lancinante al braccio piagato lo costringe ad immergerlo nell'acqua per trovarvi refrigerio.

Quando rialza lo sguardo l'apparizione è svanita.

 

 

 

 

Eppure subito dopo sia lui che i suoi malridotti compagni iniziano a sentirsi meglio, ed anche il loro umore vola.

Al termine di una lunga salita arrivano al valico: sotto di loro si scorge finalmente la meta, ove Ashitaka sta riconducendo a fatica i due uomini.

 

 

 

 

 

 

 

E' Tatara ba, la città delle fornaci.

 

 

 


 

 

Per quanto la posizione di Tatara ba sia suggestiva la vita non vi è facile, e la località non è stata scelta per il suo pur splendido panorama.

Le pendici del lago su cui sorge sono ricche di minerale ferroso, l'acqua è un elemento indispensabile per la separazione del materiale, e le foreste dei dintorni forniscono l'indispensabile materiale.

Per questo gli abitanti della città le contendono agli stessi dei.

 

 

 

 

La città e tutte le attività ad essa legata fanno capo alla donna che le ha create dal nulla.

L'abbiamo già vista fronteggiare spavaldamente l'attacco degli inugami: Eboshi Gozen.

E' qui attorniata da un nugolo di giovani donne e di popolani, accorsi per accogliere i due redivivi ed il loro sconosciuto salvatore.

Secondo molti le donne sarebbero prostitute strappate da Eboshi ad una vita di stenti, ma il loro abbigliamento ed il loro comportamento fa piuttosto pensare ad adolescenti di campagna, che non era insolito fossero vendute dai genitori ai bordelli delle città più vicine, acquistate da Eboshi per sottrarle a questo destino. D'altra parte, dato che il pubblico di elezione delle opere di animazione è in massima parte costituito da bambini, Miyazaki non poteva essere troppo esplicito su questo tema. Tra di loro è Toki, compagna di Koroko, l'uomo salvato da Ashitaka.

Questi apprende molte cose durante la permanenza in Tatara ba. 

Anche gli uomini trascinavano una magra esistenza, e non hanno perso tempo ad accettare l'occasione offerta loro da Eboshi.

La vita nella città non è facile, il lavoro di estrazione è estenuante, ma finalmente si sentono liberi e padroni del loro destino.

Debbono però combattere quotidianamente contro gli uomini, i soldati del feudatario Asano che vede malvolentieri il loro insediamento, e contro gli spiriti della foresta che si oppongono al taglio degli alberi cui sono costretti per sopravvivere, ricavandone il carbone che alimenta i tatara, le fornaci in cui viene lavorato il minerale ferroso, e le forge che poi lo trasformeranno in acciaio.

E' per questo che l'inugami Nago si scatenava contro gli abitanti della città, che tentavano di reagire ma erano tuttavia impotenti a combattere contro uno spirito.

Le furiose cariche di Nago si ripetevano quasi ogni notte ed erano inarrestabili e distruttive, nonostante i nugoli di frecce incendiarie che gli venivano scagliati contro dagli uomini.

 

 

 

 

 

 

Eboshi si stava però preparando a combattere con altre armi.

Non appena le tecniche di estrazione e raffinazione del materiale e quelle di lavorazione dell'acciaio lo avevano consentito, aveva iniziato la fabbricazione di un grande numero di hishibiya, armi da fuoco di grosso calibro simili agli archibugi europei.

Dopo avere a lungo addestrato i suoi uomini all'uso di queste armi, aveva finalmente concluso di poter affrontare Nago con la certezza di averne ragione se non di ucciderlo, non potendo gli esseri umani salvo in casi eccezionali uccidere degli spiriti.

 

 

Non appena lei scese in campo per la resa dei conti finale Nago, ferito da una pallottola esplosagli contro da Eboshi, fu costretto alla fuga.

La foresta stessa andò in fiamme, ma di questo Eboshi non si curava più di tanto: era destinata in ogni caso ad essere gradatamente rasa al suolo per fornire carbone alle sue insaziabili fornaci.

 

 

 

 

 

 

 

Rappresentando Eboshi, solitaria anche quando scortata dai suoi seguaci, che contempla impassibile la distruzione che ha seminato, Miyazaki si ispira visibilmente - chissà, magari inconsciamente - alle angosciose quanto grandiose battaglie che il maestro Kurosawa mise in scena sia in Kagemusha che in Ran, sue opere tardive e canto del cigno della sua epopea jidai.

 

 

 

 

 

 

 

Akira Kurosawa: Kagemusha (1980).

Katsuyori Takeda contempla il castello di Takatenjin dopo averlo espugnato e dato alle fiamme.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ashitaka decide di chiedere conto immediatamente alla signora Eboshi di quanto gli sta più a cuore.

Riconosce quella pallottola metallica? E' stata ritrovata nel cadavere dell'inugami che folle di rabbia ha devastato le terre degli Emishi.

Ed è quella che ha causato prima la sua follia e poi la maledizione che ha colpito Ashitaka.

Sotto lo sguardo sospettoso della guardia del corpo Gonza mostra anche la sua piaga, quella che è destinata a farlo morire.

Eboshi non gli risponde subito, gli chiede piuttosto perché voglia penetrare quei segreti. La risposta di Ashitaka, semplicemente per poter sapere, la diverte. Decide di mostrargli veramente i suoi segreti.

Ashitaka viene guidato all'interno di Tatara ba dove nessun estraneo era mai penetrato.

Passa per gigantesche officine, per le fornaci dove viene colato il metallo, liquefatto dal fuoco che enormi mantici azionati a mano alimentano,

Ma non è ancora quello il segreto. Dopo essere passati nel giardino privato di Eboshi arrivano in un'altra officina, relativamente piccola, ove vive una comunità di lebbrosi.

Sono loro che materialmente fabbricano le armi da fuoco, che Eboshi in parte trattiene per i suoi scopi, in parte vende a caro prezzo integrando i guadagni che arrivano dalla vendita del metallo.

 

 

Ha attirato in questo modo l'invidia e la cupidigia del feudo di Asano, che non perde occasione per aggredirla.

Sta ora terminando la sperimentazione di un nuovo tipo di archibugio, più efficiente di quelli rudimentali di ispirazione cinese fabbricati fino ad allora, e più leggero: potrà essere utilizzato anche dalle donne.

Diventeranno così temibili combattenti ai suoi ordini, permettendole di spezzare il continuo assedio cui la costringono spiriti ed esseri umani.

 

 

 

Eboshi ammette di essere stata lei ad esplodere il colpo che ha ferito Nago. Questi avrebbe dovuto prendersela solamente con lei.

Ashitaka sta per perdere il controllo di se, si sente quasi travolto da una ondata di odio nei confronti di Eboshi.

Il braccio maledetto, che gli causa atroci fitte, si muove da solo per afferrare la spada, a mala pena trattenuto dall'altro braccio e dalla forza di volontà di Ashitaka.

 

 

 

 

La tensione viene rotta da Osa, uno degli uomini colpiti dalla lebbra ed in condizioni talmente penose che non può nemmeno muoversi dal suo giaciglio.

Raccomanda ad Eboshi di non sottovalutare la forza di questo giovane uomo. Ed in quanto ad Ashitaka, gli dichiara di poter comprendere i suoi sentimenti, essendo stato anche lui colpito da una maledizione.

Ma lo scongiura di non fare del male ad Eboshi, l'unico essere umano che si sia comportato umanamente con i reietti.

Ha lavato le loro piaghe e cambiato le loro bende...

Ed in verità vivere è duro, ma nonostante questo, ognuno si attacca alla vita e non vuole rinunciare ad essa.

 


Secondo la testimonianza dello stesso Miyazaki la figura di Eboshi è ispirata a quella di una shirabyoshi.  Il termine designa delle cortigiane apprezzate per le loro qualità artistiche  - usavano danzare con abbigliamento maschile - durante l'epoca Heian ed in quelle successive.

Indubbiamente la più celebre di tutte le shirabyoshi fu Shizuka Gozen (Madonna Shizuka), amante del celeberrimo guerriero Minamoto no Yoshitsune, che qui vediamo raffigurata in una stampa di Kunisada II (1823–1880).

Calza sul capo il tipico alto cappello di corte, che si chiama appunto eboshi.

L'artista l'ha rappresentata mentre danza davanti al principe Yoshitsune, vestita di un sontuoso manto e di una hakama simile a quella che indossa sovente Eboshi.

 


 


 

Nonostante tutto tra Ashitaka ed Eboshi non vi è antipatia, ognuno comprende o tenta di comprendere le ragioni e le scelte dell'altro.

Ashitaka continua a parlare con la donna mentre lei dall'alto delle mura spara con il suo archibugio per tenere lontano gli shojo (spiriti scimmie), che vengono ogni notte a ripiantare gli alberi nel tentativo di far ricrescere la foresta. Lei gli chiede se non sia disposto ad aiutarla.

Sarebbe meglio per tutti: con la scomparsa del dio cervo i mostri tornerebbero ad essere semplici animali, la foresta diventerebbe accogliente, i lupi tranquilli e anche la selvaggia Mononoke, allevata dai lupi, sarebbe umana. Ora invece è la sua  peggiore nemica, e vuole solo la sua morte.

San, che tutti nella città conoscono come la principessa Mononoke, si sta infatti dirigendo assieme ai suoi inseparabili lupi verso le mura di Tatara ba, decisa ad una incursione notturna.

Viene avvistata dalle postazioni, ma nonostante il fuoco di sbarramento e i fitti spuntoni di protezione riesce ad arrampicarsi fin sugli spalti, travolgere le sentinelle ed entrare nella città.

 

 

 

 

 

 

Elude ogni tentativo di fermarla, rompe od evita ogni sbarramento.

Ha un solo obiettivo in mente: arrivare fino ad Eboshi ed ucciderla. Dall'alto dei tetti dove si è rifugiata momentaneamente per sfuggire alla caccia che le danno per le strade, la avvista.

Con un balzo scende a terra e si prepara all'attacco.

 

 

 

 

 

Eboshi è ben difesa, attorno a lei stanno le sue fedelissime donne, pronte a tutto.

I nuovi archibugi possono essere utilizzati anche da loro, e non esitano ad aprire immediatamente il fuoco contro Mononoke per proteggere la loro signora.

San, temibile combattente, ha già dimostrato che le lance e le spade degli uomini, che pure hanno formato un cerchio apparentemente invalicabile a protezione di Eboshi Gozen, valgono a ben poco contro di lei.

 

 

 

Uno dei colpi coglie perfettamente nel segno.

Mononoke hime viene colpita in pieno ma per sua fortuna indossa un elmo di protezione che le copre completamente il viso.

L'elmo va in frantumi sotto il colpo, ma le salva la vita.

 

 

 

 

 

 

 

Ashitaka fa cessare il fuoco e accorre immediatamente presso di lei, per verificarne le condizioni e tentare di rianimarla.

Miayazaki ha avuto modo di farci comprendere che Hashitaka ha continuato a pensare a quella selvaggia ragazza, e che pur rendendosi conto che è posseduta da qualcosa di insano - l'odio - se ne sente suo malgrado fortemente attratto.

 

 

 

 

 

 

Le sue buone intenzioni non vengono contraccambiate: per quanto stordita Mononoke reagisce violentemente, e Ashitaka riesce a stento ad evitare i suoi colpi.

Deve anzi lasciarla andare, per non dover combattere a morte con lei.

 

 

 

 

 

 

 

Se l'obiettivo di Mononoke è Eboshi, l'obiettivo di Eboshi è Mononoke.

Mentre la popolazione di Tatara Ba assiste attonita, rendendosi conto che la lotta è ad un livello tale che un loro intervento è impensabile, le due si affrontano, ognuna decisa a farla finita con l'altra.

 

 

 

 

 

 

 

Nel frattempo l'ira per quella situazione assurda si è impossessata di Ashitaka.

Gli effetti dell'ira moltiplicano quelli della maledizione che incombe su di lui, e dal braccio piagato escono delle inquietanti volute traslucide.

Tuttavia Ashitaka, le cui forze divengono sovrumane in queste condizioni, riesce con un supremo sforzo di volontà a non farsi travolgere da sentimenti negativi, e riesce ad indirizzare le sue capacità a fin di bene.

Si interpone tra le due impedendo che si colpiscano, e vedendo che è impossibile calmarle le colpisce con dei micidiali atemi senza far loro del male ma tramortendole entrambe.

 

Si carica poi Mononoke sulle spalle per portarla via dalla città, sottraendola all'ira degli abitanti.

Una delle ragazze, Kiyo, aveva nel frattempo ricaricato il suo ishibiya, e lo tiene sotto mira intimandogli di fermarsi.

Intorno a lei c'è chi la supplica di abbassare l'arma, chi la scongiura di tirare immediatamente.

La donna confusa aziona, forse involontariamente, il meccanismo di sparo.

 

 

 

 

 

Ashitaka viene colpito in pieno alla schiena, e passato da parte a parte.

La maledizione paradossalmente lo aiuta: riduce la sua sensibilità al dolore, aumenta le sue forze. Sembra che il colpo non lo abbia nemmeno scalfito

Nessuno osa più fermarlo, si incammina con passo sempre più lento, lasciandosi dietro una scia di sangue, verso le porte della città.

Le guardie hanno ordine di non aprirgliele: le aprirà da solo, delle porte che solo molti uomini assieme riuscivano a smuovere, e scomparirà nelle tenebre.

Salirà con grande fatica su Yakkuru, caricandovi sopra Mononoke ancora svenuta, allontanandosi quanto più possibile.

 

 


Quando rinviene Mononoke si trova ai margini della foresta.

Accanto a se vede il corpo di Ashitaka, che ha perso nel frattempo conoscenza per il sangue perduto e ha l'aria di trovarsi tra la vita e la morte.

Estrae istintivamente la spada che ancora pende dal fianco di Ashitaka.

Sta per ucciderlo.

Ma non riesce.

 

 

 

 

Intorno a lei gli shojo, gli inquietanti spiriti scimmia, osservano spalancando i loro occhi rossi.

Perché risparmiare un nemico, che sta dalla parte di coloro che distruggono la foresta?

Quella foresta che di notte loro tentano disperatamente di ripiantare, mentre gli uomini la distruggono di giorno.

Gli spiriti lupo vadano via lasciando là l'uomo. Gli shojo lo divoreranno per prendere la sua forza e combattere gli altri umani.

Infine sarannno i lupi a cacciare via a forza gli shojo, per essere poi congedati da Mononoke.

 


Gli shojo, gli spiriti scimmia,  sono presenti da secoli nella tradizione popolare giapponese ma sembra che derivino da leggende cinesi preesistenti in cui venivano chiamati sheng sheng. Vengono identificati normalmente con le scimmie della famiglia degli oranghi e sono considerati spiriti residenti sia nelle profondità marine che nelle foreste e nelle montagne, irresistibilmente attratti dall'alcol.


 

San, in questo momento è in fondo solo una ragazza alle prese con i suoi sentimenti e non più la principessa Mononoke, tranquillizza Yakkuru, che si teneva timoroso a distanza, e vi carica sopra il corpo di Ashitaka.

Mentre le lucciole illuminano il suo cammino, si addentra all'interno della foresta dove i kodama sempre più numerosi fanno ala, incuriositi, al passaggio di San e di Yakkuru, e dell'inanimato Yashitaka.

 

 

 

 

San ha portato Ashitaka a lungo, si ferma infine in una zona paludosa e si allontana a cercare del cibo, lasciando il ferito su una malferma isola semigalleggiante, con un ramo ad indicare il punto esatto.

Si sta avvicinando l'alba e una insolita agitazione corre tra gli innumerevoli kodama, che si accalcano nelle chiome degli alberi scuotendo incessantemente le loro teste e scrutando il cielo. Attendono qualcosa.

 

 

 

 

Nel cielo stellato, ben al disopra della foresta illuminata dalla luna, appare un essere fantastico: il daidarabochi.

E' destinato a tramutarsi alle prime luci dell'alba nel dio cervo, sta quindi ritornando verso la sua dimora dopo non immaginabili peregrinazioni notturne, per attendere la trasformazione.

 

 

 

 

 

 

 


Il daidarabochi (gigante), altra figura dell'immaginario giapponese,  ha dimensioni talmente colossali da sfiorare il cielo con la testa, da cui emanano filamenti luminosi, e da far scaturire laghi là dove poggia il piede a terra.

Varie leggende si intrecciano intorno allo shika kami, il dio cervo. Identificato come un kirin o anche shishi gami, ma chiamato da Miyazaki shishi shin, è il dio protettore della foresta e delle montagne, che vengono create dal daidarabochi.

Ha corpo di cervo e viso di babbuino. Sulle sue orme nascono istantaneamente fiori e piante, destinate però a perire quasi istantaneamente.

Ha il potere di dare la vita ma anche quello di dare la morte.


Il dio cervo si dirige verso Ashitaka, ancora privo di sensi al limite dell'acqua, e lo esamina con attenzione.

Lo guarirà dalla mortale ferita.

Ma non lo guarirà dalla sua maledizione.

 

 

 

 

 

 

 

Al suo risveglio Ashitaka, ancora debolissimo, si rende conto di essere però miracolosamente guarito dalle ferite riportate nel combattimento notturno. La piaga continua invece a peggiorare ed estendersi.

E' troppo debole anche per mangiare e viene nutrito da San, che mastica il cibo per poi passarglielo direttamente nella bocca, come sicuramente ha visto fare tante volte agli animali della foresta con i loro piccoli.

 

 

 

 

 

Prima che possano riprendere il cammino vengono raggiunti da un numerosissimo branco di spiriti cinghiale: provengono da un'altra foresta e sono lì per combattere a favore della foresta, rimasta senza il suo difensore dopo la morte di Nago, che intendono vendicare. 

 

 

 

 

 

 

 


L'inoshishi, cinghiale, è uno spirito molto frequente nella mitologia giapponese, come del resto in quella arcaica occidentale: sono infatti numerosi i miti greci ove ricorre la metafora del dio cinghiale folle di rabbia che devasta i boschi. La più nota è quella del cinghiale Calidone reso folle da Artemide, ucciso dall'eroe predestinato Meleagro.

Nella mitologia giapponese la già citata Enciclopedia dei mostri giapponesi menziona, nella scheda dedicata alla leggenda di Ipponashi, il dio dei cinghiali del bambu Inosasao.

Le rappresentazioni dell'inoshishi nell'arte giapponese sono numerose: qui vediamo un manico di kozuka, il coltellino di servizio che sovente accompagna la spada del samurai, inserito in un alloggiamento nella parte ura del fodero.

E' di epoca imprecisata probabilmente a cavallo tra Meiji e Showa ossia intorno al 1900. E'  firmato Mototsuna forse in onore di Goto Mototsuna, capostipite di una nota dinastia di artefici di mitokoromono, questo genere di fornimenti per lame.


 

Il capo degli spiriti cinghiale è il saggio e vecchio Okkoto nushi, anche lui perseguitato da una maledizione, che gli farà perdere presto la vista. Del resto, come ricorda Moro, che sente gli effetti nel suo corpo della velenosa pallottola esplosagli contro da Eboshi durante l'assalto alla carovana, le loro razze sono destinate a scomparire. E' inutile cercare di identificare colpe e cercare vendette, i cinghiali tornino alle loro lotte e lascino che in quella foresta lottino i lupi.

Ashitaka, per quanto debole, si è reso conto di quanto sta succedendo e avverte il bisogno di dichiarare la propria responsabilità: è lui che si è trovato costretto ad uccidere Nago, ma sta già pagando con la maledizione che ne piaga il corpo.

Okkoto nushi apprezza il coraggio del giovane, ma pur riconoscendo che anche per un umano si possa avere rispetto, non rinuncia ai suoi propositi: anche se il suo popolo è destinato alla sconfitta, non l'attenderà inerme. Ciò detto, si allontana.

E' nel frattempo ricomparso Jiko, il misterioso monaco, e apprendiamo finalmente che viaggia sotto mentite spoglie.

E' in realtà un agente segreto dell'imperatore, mostra con orgoglio ai suoi seguaci la lettera di accredito. Per incarico del Mikado si trova nella foresta, a capo di un gruppo di cacciatori ed esploratori che si cela sotto le pelli di animali selvaggi, per osservare quanto vi accade.

Ha assistito alla apparizione del daidarabochi, ed è al corrente della sua quotidiana trasformazione nel dio cervo.

 

 

 

L'esercito di Asano aveva intanto tentato per l'ennesima volta di prendere d'assalto Tatara ba.

Come sempre Eboshi combatte di persona a capo delle sue truppe raccogliticce, che però sono forti della posizione, delle armi da fuoco e di una indomabile volontà di resistenza.

E questa volta di una arma in più: la partecipazione delle donne alla battaglia, resa possibile dalla introduzione dei nuovi ishibiya.

 

 

 

 

 

Ritornato a Tatara ba, Jiko mette al corrente Eboshi delle sue vere intenzioni: ha ordine di uccidere il dio cervo e portare la sua testa, che dona l'immortalità, all'imperatore.

Eboshi ride amaramente: non aveva dubbi che gli aiuti ed i consigii datigli da Jiko avessero un secondo fine. Ma si rende conto di non avere scelta: per la sopravvivenza del suo popolo deve lottare a fianco degli inviati dell'imperatore. Del resto i loro piani coincidono: distruggere gli dei. Che sia per carpirne i segreti o per far sopravvivere gli umani, poco importa.

Dopo aver debellato la resistenza degli spiriti della foresta darà la caccia al dio cervo per ucciderlo.

 


 

Sono ormai delineati gli schieramenti per quella che si annuncia come una lotta all'ultimo quartiere per designare il vincitore, o i vincitori, di una contesa cui hanno partecipato come visto gli esseri umani, gli animali e gli dei.

Rinunceremo a descriverla nel dettaglio limitandoci a qualche accenno: ci siamo soffermati in precedenza su molti aspetti dell'opera che possono rimanere celati ad una visione superficiale, ma preferiamo lasciare il lettore con una idea sostanzialmente esatta ma riassunta per sommi capi di quanto succederà dopo. Lo invitiamo piuttosto a prendere visione dell'opera.

E' ovvio che in realtà non vi sarà né vi potrebbe essere alcun vincitore in una guerra scatenata dall'odio.

Ashitaka e San si sono separati. Lui è partito nel cuore della notte, senza svegliarla. Lascerà a Moro l'incarico di darle in suo ricordo il pugnale di cristallo ricevuto da Kaya.

Inugami ed Inoshishi gami, dipinti dei colori di guerra, caricheranno compatti le forze di Eboshi.

Ancora una volta Mononoke è in sella a Moro, nelle prime file dello schieramento.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La lotta è cruenta, le ondate di cinghiali si susseguono ma non riescono ad avere ragione del fitto sbarramento di armi da fuoco e della selva di lance.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Tatara ba viene d nuovo assalita dal feudo di Asano, che approfitta dell'assenza degli uomini impegnati nella battaglia contro gli inushishi.

Ashitaka, che pensava di rientrare nella città, viene assalito dai soldati ma riesce in virtù della forza sovrumana datagli dalla maledizione e della velocità di Yakkuru a sfuggir loro facilmente.

 

 

 

 

 

 

 

Le donne. guidate da Toki, resistono, ma sono allo stremo.

Ashitaka penetrando tra le linee nemiche si reca nella foresta per avvertire dell'assalto e far ritornare Eboshi a difendere la città.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Arriverà però troppo tardi e troverà solo i macabri resti della terribile battaglia, terminata con la morte di Moro e di Okkotonushi e la disfatta degli spiriti cinghiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Eboshi dopo aver vinto i nemici sul campo mantiene la sua promessa: uccide il dio cervo, con un preciso colpo di archibugio che gli tronca la testa.

Sta cadendo in quel momento il tramonto ed è già iniziata la trasformazione dello shikagami in daidaraboshi: la testa del cervo rimane nelle mani di Eboshi, mentre la sterminata deità si aggira confusa priva del capo.

La foresta inizia immediatamente a morire, ed intorno ad Eboshi, in una delle scene a maggior impatto emotivo, cadono a centinaia, a migliaia, i kodama colti anche essi da morte improvvisa.

 

 

La furia, ma meglio potremmo dire angoscia incontrollata del daidaraboshi ferito si estende dappertutto.

Ricopre foreste e montagne di una sostanza nera ed impenetrabile che scende inesorabilmente fino a raggiungere anche Tatara ba .

 

 

 

 

 

 

 

 

Ashitaka e Mononoke torneranno ad affrontarsi.

Quando Ashitaka trae in salvo Eboshi ferita la ragazza lo attacca con lo stesso pugnale di cristallo che lui le ha donato.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si ritroveranno però assieme nel tentativo di restituire la sua testa al dio cervo, elevandola verso il cielo dove si aggira daidarabochi alla sua ricerca.

Sono ormai accomunati dalla stessa maledizione, poiché anche Mononoke è stata a contatto con i tentacoli maledetti che fuoriuscivano dal corpo di Okkoto nushi ferito a morte.

 

 

 

 

 

 

 

Nella apolittica conclusione della battaglia tra gli uomini, gli spiriti e gli dei, sembra che nulla possa sopravvivere.

Anche la città di Tatara ba scompare tra le fiamme assieme alle fornaci che le avevano consentito di nascere.

 

 

 

 

 

 

 

 

La natura ha in se la forza per riprendersi da molti colpi, e sia pure lentamente le montagne riprendono a coprirsi di verde, e gli animali fanno la loro ricomparsa.

Ashitaka e San sono destinati a lasciarsi ancora una volta, sono troppo forti i segni delle ferite inferte nel loro animo, i ricordi di quanto perduto.

Forse non sarà mai possibile per loro conciliare due modi diversi di intendere la vita ed il rapporto con la natura e con l'universo.

Ashitaka promette però a San che di tanto in tanto andrà a raggiungerla nella foresta.

Lei lo attenderà.

Entambi hanno saputo vincere l'odio e rendersi liberi del loro destino.

 

Anche nel fitto della foresta, là dove alberi secolari nascono direttamente nell'acqua, sono ben visibili i segni del disastro. Dai tronchi morti sta nascendo però nuova vita, e fa la sua apparizione un nuovo kodama.

E' lui, scuotendo la testa con un ticchettio che ricorda molto il suono di una risata, che congeda lo spettatore.

 

 

 

 

 

 

Non è ancora tutto finito per lui, gli consigliamo di trattenersi per qualche minuto di più davanti allo schermo.

Accompagnati dal canto del suggestivo tema di Ashikaga, tradotto in sovrimpressione, scorrono i titoli di coda.

E' una interminabile sequela di nomi di collaboratori, dura oltre 5 minuti.

La civetteria di Miyazaki, che sosteneva di poter lavorare tranquillamente solo nel deserto del Ghibli, si dimostra qui per quello che è: quasi uno scherzo.

Anche la visionaria maestria di Miyazaki ha bisogno non di solitudine ma al contrario del contorno e del supporto di altri esseri umani per potersi esprimere.

La lunga gestazione del film, durata quasi 20 anni, l'enorme impegno finanziario - nessuna opera d'animazione aveva mai richiesto prima risorse così ingenti - hanno dato il loro frutto. Sono oltre 30 i riconoscimenti internazionali attribuiti in prestigiose rassegne a Mononoke hime.

E soprattutto, a distanza di diversi lustri dalla uscita, il suo messaggio rimane intatto, e continua ad avvincere e convincere.

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