Jidai
Daisuke Kimura: 2018, Samurai's promise
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Tra gli appassionati del genere si discute della scomparsa dagli schermi dei film "di samurai". E' in parte vero, ma bisogna anche considerare che la scomparsa dei grandi artisti del passato ha portato a un certo disinteresse non solo della critica ma anche dei produttori e distributori verso il filone jidai. E' il caso di Samurai's promise (La promessa del samurai), un film del 2018 che pure non arrivando alle vette raggiunte dai vari Kurosawa, Inagaki o Mizoguchi è un prodotto dignitoso e fruibile. Ma non è apparso a quanto ne sappiamo in Europa e non siamo al corrente della disponibilità di versioni in dvd. E' tuttavia con qualche ricerca rintracciabile in rete. Al momento per esempio lo si può visionare - con sottotitoli in inglese - su dailymotion.com.
Prima di tutto un cenno sul titolo originale, Chiri tsubaki (散り椿 se non andiamo errati, ci corregga chi può). Il termine è traducibile come le camelie cadute, ma sembra sia riferibile soprattutto ai singoli petali di camelia sparsi al suolo in autunno mentre di solito invece il fiore cade al suolo rimanendo integro. La promessa del samurai Shinbei Uryu (Jun'ichi Okada) alla moglie Shino (Kumiko Asô) è di tornare a Kyoto, da dove era partito in esilio, ad ammirare la ricorrente e commovente visione della caduta delle camelie. Ma una seconda promessa costringerà Shinbei a una cruenta battaglia, contro sé stesso prima ancora che contro i suoi nemici.
Da segnalare dal punto di vista tecnico che il veterano Daisuke Kimura (1939) oltre che regista è anche direttore della fotografia e Chiri tsubaki è stato appunto particolarmente apprezzato oltre che per regia e sceneggiatura anche per la fotografia e premiato al Festival di Montreal.
I giudizi positivi vanno condivisi, le immagini del film rappresentano al meglio la natura e la società del Giappone dell'epoca (metà circa dell'epoca Edo, viene indicato l'anno 1730). Anche solo per questo meriterebbe di essere visto.
La trama è tratta da un racconto dello scrittore Rin Hamuro mentre la sceneggiatura è dovuta a Takashi Koizumi, che già conosciamo come regista di Ame Agaru.
Ma prima di andare avanti passando a un resoconto della trama ancora alcune riflessioni. Il resoconto sarà poi stringato e senza troppi dettagli per rispettare chi vorrà prendere visione dell'opera: non riveleremo in anticipo quanto gli autori hanno voluto tenere in sospeso fino alla conclusione.
Le opere jidai da alcuni anni rappresentano spesso una società colma di contraddizioni e gravemente inquinata dalla corruzione. Non sapremmo dire se questo corrisponda alla realtà dell'epoca o non sia invece un espediente simile a quello che alcuni ritengono adottato dagli artisti italiani che si sono dedicati in passato ai cosidetti spaghetti western: ossia mascherare - ambientando le opere in estrema lontananza temporale e geografica - quelle che erano in realtà denunce dei mali della società in cui vivevano.
Il dramma si risolve convenzionalmente con l'intervento di un eroe, che altrettanto convenzionalmente è solitario, incompreso e infine vagabondo, destinato al termine del suo compito a riprendere una strada che non si sa dove porti, non insensibile ai richiami di chi lo invita a rimanere ma impossibilitato ad assecondarli.
Kimura trattegia Shinbei come un uomo tormentato, che non ha superato e forse non supererà mai il trauma della morte della moglie Shino.
Shino in punto di morte lo ha legato come sappiamo alla promessa di tornare a Kyoto a vedere per lei la caduta delle camelie.
Ma anche a una seconda promessa, che si rivelerà fatale: aiutare l'amico Uneme Sasakibara (Hidetoshi Nishijima), antico compagno di allenamenti nel dojo e infallibile uomo di spada. Era però promesso sposo di Shino prima che per ragioni non chiare il legame venisse rotto e Shino sposasse lo stesso Shinbei. Il rapporto tra i due samurai ne venne incrinato.
Emerge anche dalle vicende la grande difficoltà dei migliori samurai - per quanto infallibili e invincibili quando estraggono la loro lama - a confrontarsi con le miserie della società, con gli intrighi del potere e con l'avidità dell'essere umano. Anche il miglior samurai di fronte a questo nemico si sente inadeguato, impotente, frustrato. Come uscirne?
La vicenda si concluderà positivamente con l'arrivo di un nuovo integerrimo capo dell'han (la parola che ne rende meglio il senso, curiosamente assonante, è clan). Riuscito a sopravvivere agli agguati dei corrotti, riporterà finalmente ordine, legalità, onestà. Un "lieto fine" in queste opere è di prammatica, accettiamolo. Rimane da chiedersi come sia verosimile che in una società irrimediabilmente corrotta, come quella dipinta nell'opera, possa essere designato a posizioni di potere chi è, per dirla con termini moderni, "fuori dal sistema".
Shinbei ha lasciato il feudo dopo un infruttuoso tentativo di scoprire e denunciare la corruzione dell'han Ogino cui apparteneva, ma viene fatto al contrario passare come un elemento compromesso dal malaffare, e sospettato di assassinio. Venne anche rimproverato per non aver lasciata libera Shino di restare ma averla condotta con sé. Anche questo ingiustamente in quanto fu lei a volerlo.
Aveva promesso a sé stesso di non tornare, ma di fronte alle ferme ultime volontà di Shino non gli era consentito negare: promise. Si incammina. Da solo.
Non gli sarà facile il ritorno in famiglia presso i fratelli di Shino.
Il giovane samurai Togo (Sosuke Ikematsu) gli è apertamente ostile.
Satomi (Haru Kuroki), che a Shinbei ricorda in modo struggente Shino, è sempre più attratta da Shinbei ma non è in grado di penetrarne i pensieri e le motivazioni del suo agire.
Ancora maggiore è l'allarme che l'imprevisto ritorno di Shinbei suscita nell'apparentemente impeccabile capo dell'han Genba Ishida (Eiji Okuda).
Chiama a colloquio Uneme, la persona che Shinbei è stato chiamato a proteggere, e non senza velate allusioni ricattatorie lo spinge contro Shinbei.
Viene tentato anche un approccio diretto con lo stesso Shinbei, senza averne una risposta. Probabilmente non è in grado di darne anche se volesse: troppi misteri nelle vicende che lo hanno portato all'esilio.
Si tenta allora di risolvere radicalmente il problema inviando degli assassini sulle tracce di Shinbei.
Naturalmente, essendo stato lui una delle più rinomate lame dell'han, ogni tentativo naufraga miseramente.
Va osservato, per gli addetti ai lavori delle arti marziali in quanto per la maggior parte del pubblico questi particolari non sono percepibili, che convenzionalmente nel genere jidai le scene di combattimento seguono due differenti stilemi: i protagonisti, siano essi gli eroi o i villain, mostrano irraggiungible supremazia su ogni avversario.
Si avverte però frequentemente una forzatura, essendo i pretesi attacchi molto velleitari, i figuranti attendendo soltanto di essere trafitti o comunque di essere resi innocui il prima possibile, senza tentare alcun verosimile attacco.
Al contrario i veri e propri duelli tra gli antagonisti dell'opera mostrano pari capacità; Nei film occidentali si preferisce invece al giorno d'oggi una visibile supremazia del villain che l'eroe riesce nonostante tutto a superare con qualche espediente, mentre sta già per soccombere.
La "moda" odierna del Giappone vuole piuttosto un atteggiamento rinunciatario dei combattenti, che a volta nemmeno si guardano, che vorrebbe significare impenetrabilità e impassibilità. Nello scontro si alternano poi momenti di incomprensibile inattività ed altri di furiosi sventolamenti a vuoto delle lame. Pazienza... Anche qui nulla di male: il duello tra i due personaggi positivi della vicenda, Shinbei e Uneme, prevedibile e inevitabile, risponde a quanto si attende il pubblico, e porta altrettanto prevedibilmente a un chiarimento definitivo tra i due eroi positivi. Il pubblico - sempre lui - ama ritornare sulle stesse trame, rivedere - a volte ma non sempre in forma diversa - quanto già visto e rivisto.
Nel frattempo Togo, ormai vinto e convinto dalla personalità di Shinbei e divenutone allievo di spada, sa che lo scontro finale si sta avvicinando, forse è già in corso.
Si precipita ad avvertire il nuovo capo dell'han Ogino, il suo intervento è necessario.
E sarà provvidenziale.
Shinbei e Uneme hanno accettato la sfida dei malfattori.
Di nuovo assieme, spalla a spalla, combatteranno per la giustizia.
Ma i nemici sono molti, e disposti a tutto, non esclusi i colpi a tradimento.
Il dramma è arrivato al suo epilogo. Come già detto non ne riveleremo i dettagli.
Come già sapevamo un anticipo Shinbei Uryu dovrà allora ripartire solitario, verso un destino che non conosce e di cui non si cura.
Lascia però a Satomi un ultimo messaggio:
"Forse verrà il giorno di tornare a vedere le camelie".