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Fujisaki sa che il suo segreto potrebbe essere rivelato da un momento all'altro.

Dovrà convivere, non sa per quanto tempo, con questa spada di Damocle che gli pende sulla testa, appesa al fragile filo degli umori di Rui.

Nonostante tutto tenta di proseguire con la sua routine quotidiana, tentando di non lasciare trapelare nulla della sua tempesta interna, dedicandosi ai suoi malati per dimenticare se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

C'è però chi non riesce a dimenticare, ed è comprensibile visto che Fujisaki in ogni suo atteggiamento richiama l'idea di una persona sensibile e premurosa, mentre il suo rifiuto nei confronti di Misao è stato brusco, immotivato, reticente.

Non c'è da sorprendersi che Misao torni a trovarlo, confessando di avere percorso inavvertitamente, quasi contro la sua volontà, il percorso che aveva fatto tante volte negli anni passati, sia per venire a trovare lui che per visitare il dottor Konosuke nel periodo bellico in cui lui era assente.

Misao ha intuito che qualcosa tormenta Fujisaki, e gli chiede di aprirsi.

Invano: Kioji non ne ha la forza.

 

 

 

 

La discussione tra i due viene interrotta dall'arrivo fortuito di Rui.

Tra le due donne corre una evidente tensione.

Misao rimprovera all'altra la sua apparente mancanza di gratitudine nei confronti di Kioji, che dopo averla salvata dal tentativo di suicidio le ha anche trovato un lavoro come apprendista nell'ospedale.

Kioji ne approfitta per chiederle se si sta preparando all'esame per diventare infermiera di ruolo.

Lei però non sembra trovare che la sua situazione sia migliorata: quello che voleva era solo liberarsi del bambino e ritornare libera. Misao, probabilmente rendendosi conto che continuare la discussione non ha senso, abbandona la stanza.

 

 

 

 

Kioji non demorde, tenta di scuotere Rui dal suo ostinato egoismo.

Se non voleva dare vita ad un essere umano, che ormai è già formato e non può essere soppresso a cuor leggero, perché non ha preso delle precauzioni?

Rui esasperata le rinfaccia di non essere in grado di dare lezioni a nessuno.

Che morale può pretendere di insegnare, e quali precauzioni ha preso lui, se è costretto a iniettarsi di nascosto il Salvarsan?

 

 

 

 

 

 

 

Fatalità vuole che proprio in quel momento Konosuke Fujisaki si trovi a passare davanti alla porta, ascoltando suo malgrado quanto viene detto dai due ad alta voce e con tono alterato.

Il colpo è per lui terribile.

La spada di Damocle, anche se non ancora precipitata su Kioji, comincia già ad aprire delle sanguinose ferite, su lui e sulle persone a lui care.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il passare del tempo viene reso da Kurosawa, come suo costume, ricorrendo a delle metafore visive. In questo caso il fiorire primaverile sulla cancellata fuori dalla finesta, osservato da Misao al termine di uno dei suoi vani colloqui con Kioji. L'inquadratura successiva è spoglia, tormentata dal vento invernale.

Sarebbe vano pretendere di riassumere le intricate vicende che intercorrono in un sia pur ristretto gruppo di esseri umani alle prese con una situazione di crisi.

Kurosawa carica la parte centrale dell'opera con una serie di accorgimenti volti ad aumentare la tensione, che si scaricherà finalmente nel finale quano è divenuta non più sopportabile.

 

 

 

 

Nuoce forse alla leggibilità della storia l'inserimento di un'altra vicenda. Il ritorno di Susumu Nakada (Kenjiro Uemura), il soldato ferito che ha contaminato Fujisaki, da questi incontrato casualmente.

Cinico, sbandato, incurante del male contagioso da cui è affetto, Nakada attende un figlio dalla moglie Takiko (Chieko Nakakita). Fujisaki ed il padre si sforzeranno in ogni modo di convincerlo a curarsi e a tutelare la vita del nascituro, che potrebbe venire alla vita immaturo o con gravi menomazioni.

Probabilmente il racconto non aveva bisogno di una ulteriore complicazione e di altri personaggi da seguire, che sostanzialmente non aggiungono molto alla storia.

Sarebbe stato più avvincente sottraendo il superfluo, mentre la straordinaria coincidenza dell'incontro tra dottore e paziente, tra vittima inconsapevole ed incolpevole e carnefice involontario ma incurante del male che arreca a se stesso ed agli altri, contribuisce a rendere meno plausibile il comportamento e la figura di Fujisaki.

Questi si dimostra nobile e coraggioso con persone sostanzialmente estranee, pavido ed irresoluto con la persona che ama, che continua suo malgrado a cercarlo.

Infatti l'opera non ha avuto accoglienza favorevole dalla critica, che non ha mancato di notarne l'eccessiva enfasi.

Va detto però che queste critiche - pur non immotivate - sono doverose per chi ha il dovere di tentare una analisi dell'opera d'arte ma non influenzano più di tanto lo spettatore.

Presumibilmente è entrato nella sala di proiezione con il preciso desiderio di lasciarsi coinvolgere ed è questo che l'artista ha il dovere di proporgli.