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Akira Kurosawa - 1949

Toshiro Mifune, Takashi Shimura, Chieko Nakakita, Miki Sanjo

 

Come spesso nelle opere di Kurosawa, è un insistente ed inquietante rullo di tamburi che accompagna le immagini di apertura del film, mentre scorrono gli ideogrammi dei titoli di testa.

E, come spesso in altre opere, è una pioggia incessante che introduce l'azione.

Ci troviamo nel 1944, nei territori occupati dalle forze giapponesi durante la seconda guerra mondiale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Gli edifici che vengono illuminati attraverso la pioggia dai fari dei camion sono chiaramente costruiti in fretta e furia.

Si tratta di un ospedale di fortuna, dove si accalcano per ogni dove soldati feriti che hanno necessità di cure ma devono attendere che ci si sia occupati di quelli più gravi.

La pioggia non risparmia nemmeno l'interno delle improvvisate baracche, dove gli nfermieri vanno e vengono curvi sotto il peso delle barelle.

 

 

 

 

 

 

 

 

Due uomini con il camice dei dottori giacciono sfiniti appoggiandosi ad una parete.

Uno di loro cerca di recuperare le forze nervose, è evidente che di energie fisiche gliene rimangono poche, fumando una sigaretta.

L'altro non riesce a fare nemmeno quello, sembra completamente svuotato di ogni energia.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

E' il dottor Kyoji Fujisaki (Toshiro Mifune), che cerca di recuperare quanto può prima di una difficile operazione.

Il caldo asfissiante, nonostante la pioggia che cade dappertutto anche all'interno della sala operatoria, l'assistenza di personale digiuno di medicina, il continuo arrivo di nuovi feriti, lo stanno riducendo all'estremo delle forze.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

L'operazione che lo attende oltre ad impegnarlo fino allo spasimo cambierà il suo destino.

Le condizioni di lavoro sono proibitive come detto, la luce è scarsa e il caldo opprimente.

Per poter portare a termine il lavoro Fujisaki decide di liberarsi dei guanti e continuare a procedere nell'operazione a mani nude.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si sta avviando ormai verso la fine, portando a termine la sutura della ferita.

Forse è per un momento di disattenzione dato dalla vicinanza del traguardo, forse per la stanchezza, che commette l'errore che lo perderà.

Lascia sul tavolo degli strumenti un affilatissimo bisturi nella posizione sbagliata, con la lama rivolta verso l'esterno. Basta un gesto affrettato, un attimo, per tagliarsi.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Fujisaki si rende immediatamente conto che la ferita rappresenta un grave pericolo.

In quelle condizioni igieniche il pericolo di infezione è elevatissimo, la presenza di una ferita lo rende quasi una certezza.

Non ha però posibilità di fare nulla: si fa sommariamente disinfettare la ferita e porta a termine l'operazione.

Richiederà un'altra ora, durante la quale la sua ferita rimarrà costantemente esposta ai rischi dell'ambiente e a contatto con il sangue del paziente.

 

 

 

 

 

 

Nonostante tutto la difficile operazione è riuscita.

Il soldato sopravviverà, ed è stato portato in un'altra parte dell'improvvisato ospedale.

Fujisaki lo cerca, deve fargli una domanda molto importante per lui: se è vero che è contagiato dalla sifilide.

Il soldato conferma.

Fujisaki sa ora che le probabilità di essere stato contagiato sono talmente elevate da non lasciare spazio alla speranza. Ordina immediatamente una analisi del suo sangue, ma la risposta non potrà arrivare subito.

 

 

 

 

 

 

Quando infine il responso arriva, è solo per via indiretta attraverso la reticenza e l'imbarazzo dell'assistente Origuchi: ancora dopo due settimane continua a negare che siano arrivate le analisi.

E' chiaro invece allo sfortunato dottore che sono arrivate, e con un responso che gli suona come una condanna: quella insignificante ferita ha già cambiato, tragicamente, la sua vita.

In un ospedale da campo disperso in mezzo alla giungla non dispone di alcuna medicina che possa intervenire in tempo per arrestare il contagio, e i  feriti che continuano ad arrivare in continuazione richiedono la precedenza su ogni altra cosa.

 

 

 

 

 

La giornata, che sembra alludere alla imminente fine della guerra attraverso l'immagine di un soldato che suona serenamente il suo flauto alle prime luci dell'alba, si è tuttavia aperta per Fujsaki all'insegna dell'orrore.

La contaminazione con una malattia che genera repulsione e che si contrae attraverso rapporti promiscui e mercenari annienterà sicuramente i suoi progetti di vita.


Bastano a Kurosawa pochi tratti impressionistici per informarci che l'azione si sposta ora nell'immediato dopoguerra; la scritta in sovraimpressione appare superflua.

Le solite periferie degradate in cui si immagina che solo esseri umani degradati possano vivere, i soliti acquitrini melmosi, i soliti segni nonostante tutto di una ricostruzione febbrile, del desiderio di ritornare quanto prima ad una vita normale.

Del resto l'opera è del 1949, nel pieno di quel periodo, in cui si cominciava ad intravedere solamente la luce, all'uscita del lungo tunnel in cui la guerra aveva immerso gran parte del mondo.

 

 

 

 

 

Ci troviamo ora all'interno di un ospedale ginecologico.

Nessuna traccia per il momento del dottor Fujisaki: sarà attraverso l'azione del "coro" che apprenderemo gradualmente che ne è stato di lui dopo la terribile rivelazione.

Un poliziotto appena entrato scambia alcune parole con una donna, evidentemente ricoverata.

Sembra che l'abbia salvata da un tentativo di suicidio.

Lei è incinta, ma non ne sembra particolarmente felice ed è l'apprendista infermiera Rui Minegishi (Noriko Sengoku).

 

 

 

 

 

In un film di Kurosawa è inevitabile che lo spettatore preveda di veder sbucare sullo schermo presto o tardi Takashi Shimura.

Gli rimangono la curiosità di scoprire in quale ruolo verrà utilizzato e la certezza che sarà inappuntabile e credibile, per quanto inedita possa essere la sua caratterizzazione.

Impersona Konosuke Fujisaki, padre di Kioji e proprietario della clinica.

E' intento ad un difficile colloquio con Misao (Miki Sanjo), l'ex fidanzata di Kioji. Questi ha deciso di rompere il fidanzamento, dopo 6 anni tra cui la lunga attesa del periodo bellico, senza dare alcuna spiegazione.  Lei non riesce a spiegarsi come la guerra possa cambiare così una persona.

In realtà Kioji Fujisaki non è cambiato, o perlomeno non in peggio. Ne ha accennato Kurosawa in una breve sequenza precedente, in cui lo mostra al termine di una difficile operazione discutere con i parenti del malato, rassicurandoli che il loro congiunto verrà curato anche se non fossero in grado di far fronte all'onorario.

Lo stesso Konosuke ci viene mostrato come una sorridente figura paterna, sempre preoccupato di avere una parola gentile o un gesto di premura per ognuno dei suoi pazienti;  ma anche lui si dichiara impotente a comprendere cosa passi nella mente del figlio.

Nonostante assicuri di essere perfettamente in grado di controllarsi e badare a se stessa, Misao è chiaramente sconvolta.

Konosuke ordina praticamente al figlio, che invano tenta di accampare scuse, di accompagnare a casa la ragazza. Potrebbe essere l'occasione di un chiarimento tra i due.

E' evidente che Fujisaki vorrebbe liberarsi del suo peso, confessando che ama ancora Misao ma deve lasciarla perché affetto senza colpa da una malattia sessuale contagiosa quanto infamante.

Ma non riesce ad andare al di là di vaghe allusioni, che lasciano Misao ancora più triste e disorientata.

La sola conclusione cui può arrivare è che Fujisaki stia accampando delle scuse per non confessare di essersi semplicemente stancato di lei.

Una breve scena interrompe momentaneamente il dialogo tra i due.

Una infermiera constatando continue sparizioni di scatole di Salvarsan, un medicinale utilizzato per la cura della sifilide, ha chiesto a Rui Minegishi se ne sa qualcosa.

La ragazza ha inteso la domanda come un'accusa, difendendosi in lagrime.

Se avesse qualcosa a che fare con la sifilide, ossia se si prostituisse, sarebbe forse così povera?

 

 

 

 

 

 

 

Lo spettatore ha già compreso naturalmente che le sparizioni dei medicinali vanno attribuite a Fujisaki, che si cura di nascosto non avendo trovato il coraggio di rivelare a nessuno il suo dramma.

Viene però sorpreso mentre si inietta il medicinale da Rui, la ragazza che lui stesso ha accolto nell'ospedale come apprendista infermiera, eppure ha verso di lui uno strano sentimento di amore ed odio; gli rimproveran infatti di non averla voluta aiutare a sbarazzarsi del bambino.

Il flacone è là sul tavolo, Fujisaki non tenta nemmeno di negare. Rui lo guarda a lungo, in silenzio, poi si allontana.

 

 

 


 

Fujisaki sa che il suo segreto potrebbe essere rivelato da un momento all'altro.

Dovrà convivere, non sa per quanto tempo, con questa spada di Damocle che gli pende sulla testa, appesa al fragile filo degli umori di Rui.

Nonostante tutto tenta di proseguire con la sua routine quotidiana, tentando di non lasciare trapelare nulla della sua tempesta interna, dedicandosi ai suoi malati per dimenticare se stesso.

 

 

 

 

 

 

 

 

C'è però chi non riesce a dimenticare, ed è comprensibile visto che Fujisaki in ogni suo atteggiamento richiama l'idea di una persona sensibile e premurosa, mentre il suo rifiuto nei confronti di Misao è stato brusco, immotivato, reticente.

Non c'è da sorprendersi che Misao torni a trovarlo, confessando di avere percorso inavvertitamente, quasi contro la sua volontà, il percorso che aveva fatto tante volte negli anni passati, sia per venire a trovare lui che per visitare il dottor Konosuke nel periodo bellico in cui lui era assente.

Misao ha intuito che qualcosa tormenta Fujisaki, e gli chiede di aprirsi.

Invano: Kioji non ne ha la forza.

 

 

 

 

La discussione tra i due viene interrotta dall'arrivo fortuito di Rui.

Tra le due donne corre una evidente tensione.

Misao rimprovera all'altra la sua apparente mancanza di gratitudine nei confronti di Kioji, che dopo averla salvata dal tentativo di suicidio le ha anche trovato un lavoro come apprendista nell'ospedale.

Kioji ne approfitta per chiederle se si sta preparando all'esame per diventare infermiera di ruolo.

Lei però non sembra trovare che la sua situazione sia migliorata: quello che voleva era solo liberarsi del bambino e ritornare libera. Misao, probabilmente rendendosi conto che continuare la discussione non ha senso, abbandona la stanza.

 

 

 

 

Kioji non demorde, tenta di scuotere Rui dal suo ostinato egoismo.

Se non voleva dare vita ad un essere umano, che ormai è già formato e non può essere soppresso a cuor leggero, perché non ha preso delle precauzioni?

Rui esasperata le rinfaccia di non essere in grado di dare lezioni a nessuno.

Che morale può pretendere di insegnare, e quali precauzioni ha preso lui, se è costretto a iniettarsi di nascosto il Salvarsan?

 

 

 

 

 

 

 

Fatalità vuole che proprio in quel momento Konosuke Fujisaki si trovi a passare davanti alla porta, ascoltando suo malgrado quanto viene detto dai due ad alta voce e con tono alterato.

Il colpo è per lui terribile.

La spada di Damocle, anche se non ancora precipitata su Kioji, comincia già ad aprire delle sanguinose ferite, su lui e sulle persone a lui care.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il passare del tempo viene reso da Kurosawa, come suo costume, ricorrendo a delle metafore visive. In questo caso il fiorire primaverile sulla cancellata fuori dalla finesta, osservato da Misao al termine di uno dei suoi vani colloqui con Kioji. L'inquadratura successiva è spoglia, tormentata dal vento invernale.

Sarebbe vano pretendere di riassumere le intricate vicende che intercorrono in un sia pur ristretto gruppo di esseri umani alle prese con una situazione di crisi.

Kurosawa carica la parte centrale dell'opera con una serie di accorgimenti volti ad aumentare la tensione, che si scaricherà finalmente nel finale quano è divenuta non più sopportabile.

 

 

 

 

Nuoce forse alla leggibilità della storia l'inserimento di un'altra vicenda. Il ritorno di Susumu Nakada (Kenjiro Uemura), il soldato ferito che ha contaminato Fujisaki, da questi incontrato casualmente.

Cinico, sbandato, incurante del male contagioso da cui è affetto, Nakada attende un figlio dalla moglie Takiko (Chieko Nakakita). Fujisaki ed il padre si sforzeranno in ogni modo di convincerlo a curarsi e a tutelare la vita del nascituro, che potrebbe venire alla vita immaturo o con gravi menomazioni.

Probabilmente il racconto non aveva bisogno di una ulteriore complicazione e di altri personaggi da seguire, che sostanzialmente non aggiungono molto alla storia.

Sarebbe stato più avvincente sottraendo il superfluo, mentre la straordinaria coincidenza dell'incontro tra dottore e paziente, tra vittima inconsapevole ed incolpevole e carnefice involontario ma incurante del male che arreca a se stesso ed agli altri, contribuisce a rendere meno plausibile il comportamento e la figura di Fujisaki.

Questi si dimostra nobile e coraggioso con persone sostanzialmente estranee, pavido ed irresoluto con la persona che ama, che continua suo malgrado a cercarlo.

Infatti l'opera non ha avuto accoglienza favorevole dalla critica, che non ha mancato di notarne l'eccessiva enfasi.

Va detto però che queste critiche - pur non immotivate - sono doverose per chi ha il dovere di tentare una analisi dell'opera d'arte ma non influenzano più di tanto lo spettatore.

Presumibilmente è entrato nella sala di proiezione con il preciso desiderio di lasciarsi coinvolgere ed è questo che l'artista ha il dovere di proporgli.

 

 

 


Il tempo trascorso non può in realtà essere molto, si tratta di pochi mesi, eppure qualcosa è cambiato, a volte nell'atteggiamento interiore, a volte solamente in quello esteriore, di tutti i protagonisti.

Rui, dopo aver ascoltato di nascosto il colloquio in cui Kioji confessava al padre la sua infamante malattia ma al tempo stesso rivendicava la sua innocenza, ha riflettuto.

E' da poco diventata madre, accettando il suo ruolo senza vittimismi e sta studiando con serietà per passare l'esame di infermiera; ed è diventata amica e confidente di Kioji.

Questi ha ormai rotto ufficilamente il fidanzamento con Misao, che formalmente era solo congelato. Lei nonostante si sia fidanzata con un altro uomo e sia ormai vicina alle nozze non lo ha dimenticato; ancora una volta i suoi passi la portano all'ospedale.

La tensione di Koji è testimonata dalla compulsiva pulizia del dit, quello rimasto ferito durante l'operazione che gli fu fatale. Un gesto che gli vedremo spesso ripetere ossessivamente, per tutta la durata del film.

La conversazione tra i due sembra finalmente rilassata, amichevole, ma non potrà così durare a lungo. Misao non si è ancora liberata dal tormento di non sapere le ragioni del rifiuto di Kioji, tuttavia il momento in cui tutto sarà finito è vicino: le sue nozze sono fissate per il giorno dopo.

Solo in quel momento i due sembrano rendersi conto che non hanno più tempo, l'una per chiedere, l'altro per parlare.

In realtà riescono a esprimere a parole solo futili concetti, ragionando sull'orario dei treni per il viaggio di nozze.

Sembra per un attimo che la barriera tra i due possa essere superata d'istinto, stanno per gettarsi l'uno nelle braccia dell'altra.

Poi improvvisamente un lampo, che Kurosawa drammaticamente visualizza sullo schermo, approfittando del maltempo mostrato dalla solita finestra che dà sulla solita cancellata, attraversa la mente e il corpo stesso di Kioji. Non deve. Non può.

I due in quel momento si separano, ormai per sempre. E ora Misao torna a soffermarsi su particolari insignificanti, di nuovo impotente ad esprimere quello che sente.

Misao se ne va, materialmente, percorrendo il vialetto della clinica sotto una pioggia incessante. Sullo sfondo le rovine della guerrra appena terminata.

La sirena di un treno nelle vicinanze evoca l'idea della partenza irreversibile.

Muta, mentre in precedenza tra le due donne si era stabilita una certa familiarità ed un desiderio reciproco di confidarsi, Rui la vede allontarsi.

 

 

 

 

 

 

Ora Rui e Kioji sono rimasti da soli. Lei si accinge a preparargli la solita iniziezione di routine, e non riesce a trattenere il desiderio di chiedere qualcosa di più sulla triste vicenda di Kioji e Misao.

Le sue domande, per quanto naïf e tendenzialmente indelicate, hanno l'effetto di scatenare finalmente in Kioji quel necessario processo di autoanalisi che può portarlo a riacquistare la serenità.

Come mai, pur visibilmente e fortemente attratto da Misao, è riuscito a trattenersi?

Evidentemente appartiene a quel genere di malati, e già qui Fujisaki senza dimenticare di essere un dottore riconosce di essere anche un malato , soprattutto nell'animo, che non manifesta il proprio timore e la propria sofferenza ma si macera nell'angoscia.

 

 

 

E' necessario conoscere quanto sia stata importante questa scena, per Kurosawa certamente - che così nel parla nel suo Something like an autobiography - ma non solo per lui.

Per quella scena avevo progettato un piano sequenza [in cui la macchina da presa rimane sostanzialmente immobile] di insolita lunghezza per quel periodo: più di cinque minuti. La notte prima delle riprese né Mifune né Noriko Sengoku, riuscirono a dormire. Sentendomi un pò alla vigilia di una battaglia, anche io passai una notte insonne.

...

Mifune e la Sengoku recitavano come se si trattasse di vincere o morire. Man mano che trascorrevano i secondi, la loro interpretazione raggiungeva un grado di intensità insostenibile. ... Finalmente, quando Mifune ruppe in lagrime confessando la sua sventura, sentii tremare i riflettori accanto a me. Capii subito che ero io che tremavo

Diedi una occhiata alla macchina da presa e soprassalii. L'operatore, che guardava attraverso il mirino e azionava la macchina da presa, stava piangendo come un bambino .... se la macchina da presa fosse andata fuori fuoco perché Mifune e la Sengoku erano riusciti a far piangere l'operatore, tutto sarebbe stato inutile ... Quando l'operatore, con la faccia distorta e coperta di lagrime, finalmente gridò «Stop, buona» alla fine dell'azione, provai un immenso sollievo. Mentre tutti i presenti erano ancora presi dalla tremenda tensione della scena, io mi sentivo altrove. Avevo persino dimenticato di dire «Stop!». Com'ero giovane allora...

Nel corso del colloquio la maschera di impassibilità fino ad allora mantenuta da Kioji Fujisaki cede, e l'uomo scoppia in lagrime maledicendo la sua folle pretesa di rimanere puro per essere degno di Misao, solamente per essere contaminato innocente dalla follia di un'altra persona.

Gli è impossibilie accettare l'idea di perdere Misao, per quanto la coscienza tenti di imporglielo.

E' troppo anche per l'apparentemente cinica Rui, che non riesce a porre fine al suo pianto, irrefrenabile e interminabile.

Fujisaki si scusa con lei per averla messa in imbarazzo confidandole dei segreti così pesanti.

Raccoglie poi da terra lo stetoscopio, che aveva gettato via con rabbia, tentando così anche simbolicamente di rientrare nella sua maschera di impassibilità e nel ruolo di dottore che la vita gli ha assegnato.

 

 

 

 

 

 

Non gli sarà così facile: al termine della terribile confessione anche Rui ha gettato la maschera.

Si dichiara pronta a soddisfare ogni suo desiderio, accettando anche la sua malattia, come se fosse un semplice favore senza grande importanza.

Confessa di amarlo.

E' troppo tardi, Fujisaki è ormai rientrato nella parte che si è imposto. E' ritornato al suo duello silenzioso.

Chiede a Rui la cartella clinica di un paziente appena operato, e si immerge nello studio delle analisi, incurante di lei.

 

 

 

 

 

 

Passa altro tempo, lo spettatore se ne rende conto dalle consuete immagini di uno dei protagonisti, questa volta Fujisaki, che osserva dalla finestra il susseguirsi delle stagioni.

La routine quotidiana della clinica viene turbata da un imprevisto: Takiko Nakada sta attendendo in sala dii aspetto, senza aver fissato alcun appuntamento. Rui arriva appena in tempo per soccorrerla mentre viene colta da un malore.

La situazione è grave, ci sono poche speranze per il bambino e la donna deve essere operata nel tentativo di salvarle la vita. Mentre attende di entrare nella sala operatoria, Kioji le chiede se vuole aspettare l'arrivo del marito.

La donna gli confessa di avere lasciato per sempre Susumu Nakada, l'origine involontaria ma non innocente dei molti mali di tutti i protagonisti della vicenda.

 

 

L'operazione sarà, lunga difficile.

Dopo che sono entrati i due Fujisaki nella sala operatoria cala la notte.

Solamente quando tornano le luci del giorno Rui e Rioji ne escono, spingendo la barella su cui si trova Takiko Nakada, ormai salva.

Lei ha la forza di chiedere cosa ne è del bambino.

Le risposte dapprima sono reticenti, poi brusche, infine ferme e con un tentativo di spiegazione: è meglio che non lo veda.

In quel momento fa irruzione nella clinica Susumu Nakada, completamente ubriaco, aggressivo ed armato di un bastone.

 

 

 

 

 

Ha intenzione di vendicarsi di Rioji, colpevole secondo lui di tutti i suoi guai, ma in realtà è talmente ubriaco da non poter essere realmente pericoloso, per quanto il suo atteggiamento sia aggressivo ed irragionevole.

Basterà Rui a tenerlo a bada, schiaffeggiandolo con tutte le sue forze non appena apprende che è stato lui a contagiare il dottor Fujisaki.

E non contento di questo continua con il suo folle egoismo a seminare lutti, sia tra gli estranei che le persone che dice gli siano care.

 

 

 

 

 

 

 

Nakada non ha la sensiibilità necessaria per riflettere su queste accuse, non l'ha mai posseduta.

Adesso quello che gli preme è solo vedere il suo bambino, probabilmente non per un tardivo moto di affetto ma perché lo considera un oggetto di sua proprietà, che non deve essergli sottratto.

Invano tentano prima di dissuaderlo e poi di trattenerlo: con insospettabile energia si divincola ed entra nella sala.

Ma ne esce distrutto. Il contaggio della malattia ha dato origine ad una creatura orrendamente deforme.

Il suo intelletto, a sua volta già corroso dalla spirocheta, non regge al colpo: Nakada impazzisce.

 

 

 

 

 

Ancora qualche tempo dopo, Takiko sta riprendendosi dalla difficile operazione e dalla dura esperienza psicologica.

I suoi problemi non sono certamente terminati, anche lei naturalmente è stata contagiata dalla sifilide, e dovrà curarsi a lungo.

Rui tenta di sollevarle il morale: deve mantenere la speranza, basta curarsi con metodo e con fiducia nel futuro, come fa il dottor Fujisaki.

Takiko ha intuito che nel cuore di Rui c'è una forte inclinazione verso il dottore, e ne chiede conferma, illuminandola scherzosamente con uno specchio, come per vedere meglio dentro di lei.

Rui si schermisce e cambia discorso.

 

 

 

 

 

Il dottor Konosuke è felice di potersi coccolare appena può il bambino di Rui.

E si stupisce un poco di sentire dal poliziotto che avevamo conosciuto all'inizio che suo figlio viene considerato una specie di santo.

Sta solamente cercando di dare speranza a chi sta peggio di lui. In fondo, se avesse avuto una vita facile e felice, sarebbe probabilmente divenuto nientaltro che uno snob.

Alle sue spalle, la finestra che ha visto sussegursi tante vicende umane, al di là della quale abbiamo visto i fiori della primavera, il vento dell'autunno, la neve invernale.

 

 

 

 

 

Kioji Fujisaki indifferente a tutto quanto si dice di lui si trova in quel momento in sala operatoria, concentrato al massimo nel suo difficile compito.

Accanto a lui è Rui, ma solo per passargli i ferri e assisterlo professionalmente.