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Akira Kurosawa: Dersu Uzala
Il piccolo uomo delle grandi praterie
1975
Yuri Solomon, Maksim Munzuk

Come gli antichi romani, anche gli antichi giapponesi ritenevano che la vita dell'uomo dovesse soggiacere a crisi cicliche ad intervalli di sette anni, che ne condizionavano azioni e avvenimenti lasciando segni indelebili sul corpo e sulla mente. Lo ricorda oltre 2000 anni fa Cicerone nel suo immortale Somnium Scipionis, ove le ombre degli antenati ammoniscono Scipione Emiliano a guardarsi dalla crisi dei 56 anni. Entrambe le culture identificavano nel concepimento l'inizio della vita quindi questa data corrisponde ai nostri 57 anni, età in cui sappiamo che Emiliano, in un periodo oscuro della res publica, venne trovato morto nel suo letto senza che nessuno potesse scoprirne la causa. A partire dai 56 anni circa anche la vita e l'opera di Akira Kurosawa conobbero una crisi, apparentemente irreversibile. Il fallimento di Akahige, la rottura del sodalizio con Mifune, il fallimento del progetto americano di Tora Tora Tora, l'ennesimo fallimento di Dodeskaden. Alle soglie dei 63 anni Kurosawa tentava di porre fine ai suoi giorni. Fallì anche in questo, e si ritenne che avesse comunque posto fine al suo percorso artistico. Nessuno gli diede fiducia. Ma uscì fuori dal baratro, accettando di abbandonare il Giappone ed i soli temi che sembravano a lui congeniali. All'uscita di Dersu Uzala nel 1975 la critica unanime gridò, sì gridò: "il Maestro è tornato.".

La foresta avvolta dalla nebbia che avevamo visto nella prima inquadratura mostra ora i primi segni dell'arrivo della "civiltà". Alberi abbattuti, capanne di fortuna, profonde ferite lasciate sul terreno vergine dalle macchine e dai mezzi di trasporto. Un uomo si aggira nel cantiere, e un carrettiere di passaggio gli chiede cosa stia cercando: una tomba.

La risposta esterefatta è quella dell'uomo che sa di trovarsi ai limiti di un territorio e di una storia completamente inediti. "Ma qui ancora non ha avuto il tempo di morire nessuno! Non abbiamo nemmeno un cimitero." Eppure l'ex capitano Arseniev ha un tomba da cercare: quella di Dersu Uzala, il piccolo uomo delle grandi praterie.

Da qui, frugando nelle memorie del capitano Vladimir Arseniev, che aveva raccolto in due libri pubblicati intorno al 1920 le esperienze dei suoi viaggi all'esplorazione della Siberia, inizia quel sorprendente viaggio interiore che ci porta a conoscere uno straordinario piccolo ed immenso essere umano: Dersu Uzala.

La spedizione militare condotta da Arseniev nel 1903 si imbatte per caso in questo personaggio, un cacciatore nomade di etnìa nanai, che si presenta una sera al loro bivacco, accetta senza complimenti il loro cibo ed il giorno seguente accetta anche di guidarli alla scoperta di una regione vergine per la "civilità" ma che per lui non ha alcun segreto.

Una regione apparentemente ostile e semidesertica, eppure una regione dove le rare presenze umane, come quelle di un fantomatico "vecchio cinese" di cui Uzala sa già molto, giorni e giorni prima di incontrarlo in una capanna, semplicemente osservandone le tracce, riescono a trasmettere un calore umano, un senso di condivisione della vita, che nessuno riesce ormai a trovare nella "civiltà".

Una regione tuttavia popolata da una infinità di manifestazioni del creato, che Uzala tratta come suoi pari, come "uomo Sole" o "uomo luna", e che sembrano a loro volta avere analoghi rapporti, diremmo umani se in realtà non fossero qualcosa di più grande e più misterioso, con Uzala. All'inizio lo spettatore si chiede inconsciamente quando e come Uzala verrà "civilizzato", sospettando con una punta di rimpianto che non sarà, non potrà più essere, lo stesso.

Ed assistiamo invece con gioia ad una sorta di civilizzazione a rovescio, in cui Dersu rimuove con irrisoria facilità la tenue patina di civiltà di cui vanno orgogliosi gli uomini moderni, e li riconduce ad un rapporto più autentico con la natura, con l'universo e in ultimo con sé stessi.

Sarebbe stolto tentare di identificare una trama, di seguire un filo conduttore nella storia: non ve ne sono, e non ve ne devono essere. Basterà ascoltare Dersu, quel piccolo uomo che arriva di notte al bivacco, scambiato nel buio per un orso ma che si presenta immediatamente e a suo modo: "Non spara! Io sono omo."