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Nel 1907 il capitano Arseniev venne incaricato di una nuova missione di ricognizione topografica nella regione dell'Ussuri, attraversata dall'omonimo fiume, situata all'estremo est della Russia ed ai confini della Cina.

Una regione montuosa coperta da fitti boschi, ove il caldo asfissiante dell'estate si alternava al freddo rigido dell'inverno.

 

 

 

 

Un giorno il suo sovrintendente si mette a rapporto e lo informa di avere contattato nella boscaglia uno strano individuo: un piccolo cacciatore che parla un suo strano linguaggio, buffo ma efficace.

Arseniev sa, non ha dubbi: è Dersu Uzala, e corre nel bosco per incontrarlo.

 

 

 

 

 

 

I due vecchi amici si ritrovano finalmente: tra di loro si è stretto un legame che nessuno dei due riesce a spiegare.

 

 

 

 

 

 

 

 

Arseniev ricorderà poi nelle sue memorie che quello fu senza dubbio il periodo più felice trascorso assieme a Dersu Uzala.

Risalgono a quell'anno le foto che li ritraggono in posa, e Kurosawa ha voluto riproprorre quei momenti nel suo capolavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il destino di Dersu dovrà però compiersi a breve. Incontrando una tigre sul loro cammino, Dersu cerca invano di convincerla ad andare altrove:

"Amba! Perché cammini dietro, Amba? C'è forse poco spazio in taiga?" Invano: la tigre sembra voler attaccare, e Dersu è costretto a spararle.

 

 

 

 

 

 

Arseniev lo rincuora: è fuggita via, è segno che non è stata colpita. Ma Dersu sa che la tigre quando viene ferita si rintana per morire lontano dall'occhio degli altri esseri, e ora ha paura: ha ucciso uno degli animali sacri della foresta.

 

 

 

 

 

 

 

Da quel momento Dersu non avrà più pace, e lo spirito della tigre farà sentire la sua collera, aggirandosi intorno all'accampamento e turbando i sonni degli esploratori. Ben presto è chiaro quale sarà il destino di Dersu: la sua vista sta calando rapidamente, in poco tempo non sarà più in grado di sopravvivere nel mondo selvaggio dove ha sempre vissuto. Implora Arseniev di portarlo via.

 

 

 

 

 

Arseniev è in un certo senso felice di poter mantenere la promessa: capisce che non potrebbe più separasi da Dersu.

Ma il vecchio cacciatore, pur affezionandosi alla moglie e al bambino di Arseniev, pur sentendo vivo più che mai il legame col capitano, sente anche di non poter vivere in questo nuovo ambiente, ancora più ostile di quello che ha lasciato, ma senza alcuna ragione apparente.

 

 

 

 

Il suo grido disperato è "Capitano, con arma sparare non si può! Per strada dormire non si può! Manca aria..."

Chiede, implora, di tornare nel suo mondo.

 

 

 

 

 

 

Arseniev sa che nulla si può fare contro il destino, e che la felicità di Dersu, o perlomeno la serenità, non può essere trovata dentro una città.

Regala al vecchio amico il suo miglior fucile, e gli augura un buon ritorno nel suo mondo.

 





 

L'ultimo soggiorno di Dersu nella taiga sarà breve: Arseniev verrà ben presto chiamato a riconoscerne il corpo esanime, e ad assistere alla sua burocratica sepoltura - perseguitato anche oltre la morte dalla civiltà - in una tomba anonima nella foresta.

Rimane impetrito, sa di avere perso qualcosa che non avrebbe mai immaginato o sperato di poter trovare.

L'opera del maestro Kurosawa si chiude sul suo volto, chiuso in un dolore senza limiti che va al di là della perdita materiale.