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Terminata e distribuita nel 2013 l'ultima opera di Miyazaki - ha annunciato infatti il suo ritiro da regista pur continuando a collaborare con lo Studio Ghibli da lui creato - era programmata per la distribuzione in Italia a metà  settembre 2014. Questa recensione non è stata quindi concepita,  inizialmente, come le altre. Non era pensabile di svelare agli spettatori, si sperava fossero molti e che escissero dalla visione del film più ricchi di pensieri di come vi erano entrati, tutti i meccanismi che rendono l'opera realistica. E' infatti basata fondamentalmente sulla biografia di esseri umani realmente esistiti, e allo stesso tempo surreale e visionaria.

Non sarebbe più necessario ora, passati alcuni anni. Ma verrà lasciata così.

 

Nella storia di Jirō Horikoshi (1903-1982), ingegnere aeronautico padre del leggendario caccia Zero  che fu in dotazione all'aviazione giapponese durante la seconda guerra mondiale, c'è infatti molto della storia dello stesso Miyazaki.

Figlio di un industriale aeronautico, lui stesso sognava da giovane di poter diventare pilota, sogno frustrato dalla forte miopia che lo ha sempre afflitto.

Di questa sua grande passione troviamo traccia in molte delle sue opere.

 

 

 

 

Una passione tuttavia che talvolta si tramutava in incubo, perché quelle meravigliose macchine alate, capaci di trasformare in realtà il sogno di volare che ha sempre permeato l'umanità in ogni epoca, furono immediatamente adattate a diventare strumenti di morte e di distruzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

Il film prende il titolo dall'omonimo libro di Tatsuo Hori (1904-1953).

Vi si ispira però soprattutto per inserire nella trama la delicata quanto difficile storia d'amore tra Jirō e Nahoko, che verrà da lui da lui incontrata per caso, perduta, ritrovata in circostanze drammatiche e perduta ancora.

 

 

 

 

 

 

 

 

Si alza il vento è una citazione dal poema Il cimitero marino pubblicato nel 1920 di Paul Valery (1871-1945), che parlando di quegli anni, quelli tra le due grandi tragiche guerre, li descriveva come l'epoca  in cui il vento si sarebbe alzato, incitando a tentare di vivere. Vale sicuramente la pena di ricordare che l'italo-francese Valery cadde prematuramente in una crisi esistenziale che lo portò a meditare ogni mattina sulle ragioni ultime dell'esistenza umana.

Annotava ironicamente a questo proposito: avendo consacrato queste ore alla via dello spirito, mi sento in diritto di essere sciocco per il resto del giorno.

Disinteressato alla fama e agli innumerevoli riconoscimenti formali che ricevette nel corso della sua vita Valery proseguì senza alcuna deviazione nel suo cammino alla ricerca del senso della vita, lasciandone testimonianza nei suoi manoscritti quotidiani, che occupano circa 26.000 pagine ancora in gran parte inedite.

Tornando al film di cui ci occuperemo ancora per diverso tempo, è a causa di un colpo di vento che l'adolescente Jirō fa conoscenza con Nahoko.

Ed è lei, destinata a diventare il suo grande amore, a pronunciare per prima, e per la prima volta, in francese, la fatidica frase: Le vent se lève.

Cui Jirō risponde altrettanto d'istinto: il faut tenter de vivre.

 

 

 

 

 

Questa ultima opera del maestro Miyazaki deriva, con numerose modifiche e alcuni adattamenti, da una serie manga che lui stesso aveva iniziato a pubblicare nel 2009, ricevendo numerose richieste di portare la storia sul grande schermo.

Dopo lunga esitazione, dovute sia alle grandi dificoltà tecniche che al timore di non riuscire a far comprendere appieno il suo messaggio, Miyazaki e la sua equipe si misero all'opera.

E se qualcuno si sta chiedendo come mai su un manga contemporaneo concepito in Giappone appaia una copertina d'epoca della Domenica del Corriere, non gli rimane che leggere il seguito.

 


 

Jirō è un sognatore, come tutti i ragazzi.

I suoi sogni sono però diversi da quelli dei suoi coetanei: sogna con straordinaria intensità di volare.

Non potrà mai diventare pilota, si rende conto che la sua forte miopia glielo proibisce: diventerà progettista e costruttore di aereoplani.

 

 

 

 

 

 

 

Nei tratti di Jirō disegnati da Miyazaki ritroviamo naturalmente il vero Jirō, ma ritroviamo lo stesso Miyazaki da giovane.

Difficilmente riuscivamo ormai ad immaginarlo diverso da come ci appare da tanti anni, con la sua curata barba bianca e il suo sguardo mite quanto miope eppure capace di guardare lontano più degli altri.

Cedendo agli stilemi dell'arte però il Jirō che appare sullo schermo ha due grandi occhioni spalancati verso il mondo e verso il cielo, ad indicare la sua prontezza di spirito e la sua sete di sogni e di avventure.

 

 

 

E' proprio in sogno che Jirō incontra il suo mentore e compagno di sogni.

E' Giovanni Battista Caproni (1886-1957), conte di Taliedo, località alla periferia di Milano ove Caproni, progettista aeronautico d'avanguardia e pioniere dell'aviazione trasferì la omonima fabbrica che aveva visto la luce anni prima alla Malpensa.

 

 

 

 

 

 

 

Jirō scopre immediatamente di condividere con Caproni non solo i sogni, ma anche gli incubi.

Un incubo che ha perseguitato probabilmente tutti coloro che sognavano, progettavano, costruivano o pilotavano le prime machine volanti e che deve aver rattristato anche l'adolescenza e la gioventù del vero Hoshikoshi.

L'utilizzo di quelle meravigliose creazioni dell'ingegno umano allo scopo di portare morte e distruzione in guerra.

 

 

 

 

In tutti i loro incontri onirici Caproni, che della prima guerra mondiale fu partecipe e protagonista, incita tuttavia Jirō  a proseguire nella sua strada.

Morte e distruzione vi saranno sempre finché l'essere umano non compirà un definitivo salto verso la civiltà, ed è questa immaturità dell'uomo che causa dolore, non le macchine.

Superando lo scoramento di ogni inevitabile anzi necessario insuccesso, gli aerei saranno un giorno strumento di conoscenza, di scambio tra esseri umani, di grande piacere mai conosciuto prima.

"Segui il vento, giovane giapponese!"

 

 

E' ormai giunto il tempo che Jirō lasci la famiglia e la quieta vita del suo villaggio di campagna.

Si tasferirà in città per proseguire gli studi presso l'Università Imperiale di Tokyo, alla facoltà di Ingegneria aeronautica.

 

 

 


 

Durante uno dei viaggi di andata e ritorno dai luoghi ove è nato alla capitale Jirō incontra la persona destinata a lasciare un segno indelebile nella sua vita: Nahoko, ancora una bambina, in viaggio anche lei accompagnata dalla sua governante.

Da due differenti vagoni sI sono rifugiati entrambi sulla piattaforma del treno, Jirō  per sfuggire al sovraffollamento e leggere uno dei tanti libri che porta sempre con se, Nahoko che viaggia in uno scompartimento lussuoso ed è vestita all'occidentale per ammirare il paesaggio.

Una folata di vento fa volare il cappello di Jirō, e la bambina si sporge pericolosamente per afferrarlo al volo e restituirglielo. E' ora che lei pronuncia la magica frase: Le vent se lève... Jirō, che ha riconosciuto il verso di Paul Valery, prosegue a tono, pensieroso: il faut tenter de vivre.

Sembrerebbe che il piccolo episodio, per quanto grazioso, strano ed intrigante, non sia destinato ad avere un seguito.

La bambina rientra nel suo ovattato scompartimento, Jirō rimane in un mondo differente e non comunicante. 

La porta che si chiude davanti a lui lo separerà per sempre dalla piccola sconosciuta cui si è sentito così vicino in quell'attimo irripetibile.

 

 

 

 

 

 

Il destino li unirà.

D'improvviso il treno viene scosso e sballottato come un giocattolo nelle mani di un folle. Già alle porte di Tokyo, si è trovato coinvolto nel terribile terremoto del Kantō, che il 1 settembre del 1923, in non più di 10 minuti, poco prima di mezzogiorno, causò orse 140.000 morti tra cui circa 40.000 dispersi, distruggendo oltre a Tokyo numerose altre città situate nella pianura del Kantō.

Data l'ora in quasi tutte le case erano stati accesi i fornelli per la preparazione del pasto, e i danni causati dagli incendi scoppiati ovunque, che era impossibile domare o controllare a causa della rottura delle tubazioni dell'acqua, causarono morte e distruzioni maggiori del terremoto stesso.

 

In uno scenario tragico ed infernale - gran parte delle vittime come detto perì non durante il terremoto per conseguenza degli incendi che dilagarono ovunque, Jirō si carica sulle spalle la governante infortunata, e faticosamente fendendo la folla, senza mai perdere di vista Nahoko che tenta di seguirlo senza essere schiacciata o portata via nella confusione generale, li accompagna alla loro abitazione.

 

 

 

 

 

 

Il terribile scenario ricorda a Jirō l'incubo ricorrente nei suoi sogni notturni, in cui sia lui che il suo mentore Caproni assistono con orrore all'uso ed abuso delle loro creazioni per portare ovunque la morte, la desolazione, l'inferno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Riusciranno faticosamente, dopo aver attraversato assieme a città assistendo ad ogni genere di orrori, ad arrivare in salvo.

Jirō rifiuta però di trattenersi, e si allontana rapidamente senza lasciare il suo nome.

L'abitazione di Nahoko ed il numeroso personale di servizio indicano chiaramente la posizione altolocata della famiglia.

Umile studente di origine campagnola, non si ritiene all'altezza di allacciare un rapporto.

 

 

 

 

Sarà ancora un colpo di vento, alcuni anni dopo, a far incontrare di nuovo Jirō  e la ragazza.

Un colpo di vento dispettoso che porta via l'ombrello al cui riparo lei sta dipingendo.

Sarà Jirō  a raccoglierlo per riportarglielo, scoprendo poi che Nahoko ed il padre alloggiano nel suo stesso albergo per un breve periodo di villeggiatura.

 

 

 

 

 

 

Il cielo, che Miyazaki privilegia nelle immagini della sua opera, a volte come sfondo e a volte come protagonista è spettatore dell'idillio che sboccia tra i due ragazzi.

I loro muti ma eloquenti messaggi sono affidati ad aeroplani di carta che Jirō fabbrica con maestria per indirizzarli poi a Nahoko, che quando non dipinge passa sovente le sue giornate in balcone per approfittare dell'aria tersa della montagna.

 

 

 

 

 

I due sono assolutamente sicuri dei loro sentimenti, e ritengono di poter superare ogni ostacolo.

Jirō  non esita a chiedere al padre la mano di Nahoko.

Apprende però che essa è malata, la ricerca di aria pura è la motivazione del suo soggiorno in montagna, e la prognosi è incerta.

Dovrà innanzitutto pensare a guarire completamente, prima di ogni altra cosa, trasferendosi in un sanatorio dove potrà ricevere le cure adeguate.

Jirō e Nahoko, appena ritrovatisi, devono separarsi ancora.

 

 

Nahoko non resisterà a lungo lontana da Jirō.

Sente che i l suo detirno è comunque in dubbio, mentre l'amore è l'unica certezza che ha.

Si allontana dal sanatorio e raggiunge in treno Jirō, che da qualche tempo lavora come progettista aeronautico in una importante fabbrica.

 

 

 

 

 

 

 

Superando di slancio ogni obiezione ed o gni convenzione sociale, si uniranno immediatamente in matrimonio, senza alcuna formalità.

Qualunque cosa riservi loro il destino in seguito, hanno deciso che questi momenti saranno per loro.

 


Sappiamo già che il Mentore o forse - per rimanere sul suolo italiano - il Virgilio della situazione è l'ingegner Caproni.

La sua presenza è costante, non solamente nei sogni di Jirō ma anche nelle sue letture; lo ritrova fin da quando da ragazzo quando sfoglia  assieme alla sorella Kayo riviste ed articoli di giornale, ne studierà a lungo i testi all'università.

Lo ritroverà perfino, ennesimo segno del destino, in una cartolina postale proveniente dall'Italia che il vento - sempre il vento - ha portato fino a lui, sottraendola alle fiamme del terremoto del Kantō .

 

 

 

Dopo l'università Jirō  viene assunto come progettista dalla Mitsubishi.

Il suo capo è un buffo ometto sempre in moto, irrimediabilmente burbero e sempre di modi sbrigativi.

Ma che si dimostrerà in seguito molto umano, proteggendo sia Jirō che la sua vicenda d'amore con Nahoko.

 

 

 

 

 

 

 

Le sue idee sono audaci ed innovative, ma tecnicamente ineccepibili.

Non tarda ad ottenere fiducia da Kurokawa e dal direttore della fabbrica e a diventare il coordinatore di importanti gruppi di lavoro.

La tecnologia giapponese però è ancora troppo arretrata  né i motori né la struttura degli aerei, ancora in legno e tela, è in grado di dimostrarsi all'altezza della migliore produzione occidentale.

 

 

 

 

 

Attraverso un'altalena di momenti esaltanti e di prove fallite, con la distruzione di diversi prototipo e talvolta con gravi rischi per i piloti collaudatori, la marcia di Jirō verso il progresso continua.

Nonostante tutto.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Verrà deciso infine di inserirlo tra le persone selezionate per partecipare ad una missione in Germania, ove esamineranno e studieranno le tecniche di avanguardia dell'alleato.

In realtà i militari tedeschi non sono disposti a rivelare a nessuno i segreti della loro tecnologia e a Jirō  viene impedito di esaminare da vicino gli apparecchi, nati per uso civile ma di cui stanno già studiando la trasformazione ad uso bellico.

Interverrà in suo favore una persona cui tutti sembrano prestare la massima obbedienza: è l'ingegnere Junkers, fondatore e proprietario della omonima fabbrica, quella che stanno visitando.

 

Hugo Junkers (1859-1935) è il padre dello J1, il primo aereo costruito in metallo, e dello G38 - conoosciuto anche come Ju38 - che aveva destato l'attenzione dei due giapponesi.

Si tratta di un quadrimotore civile costruito interamente in alluminio ondulato, come il più noto successore, il trimotore Ju52, di cui un esemplare ancora vola regolarmente in Renania, a distanza di oltre 80 anni dalla costruzione del primo esemplare

E' proprio a bordo dello Ju38 che vedremo poco dopo volare Jirō ed il collega Kiro Honjō, che lo ha accompagnato nel viaggio e che grazie a questa esperienza diventerà progettista di aerei pesanti da bombardamento.

La filosofia dell'aviazione tedesca è completamente diversa da quella di Caproni, che Jirō  continua ad incontrare nei suoi sogni per partecipare ad un fantastico viaggio di inaugurazione del Ca90, di cui nella realtà venne costruito un solo prototipo provato come bombardiere, ma che qui vediamo riempito fino all'inverosimile da una festosa comitiva composta dagli operai della fabbrica che lo ha costruito e dai loro familiari.

Caproni fa partecipe Jirō della sua visione del mondo e della missione di pace e fratellanza che gli aerei sono destinati a compiere, nonostante l'uso distorto di cui ne fa uso al momento la follia umana.

La conversazione si svolge sull'ala superiore del maestoso apparecchio, che rimase a lungo il più grande aeroplano terrestre del mondo (l'idrovolante DoX era di dimensioni ancora maggiori) ed è tuttora il più grande biplano mai costruito.

Tornato in Giappone Jirō continua nella sua altalena di entusiasmanti successi e dolorosi fallimenti, necessari allo sviluppo di nuove tecnologie e nuovi aerei.

Ma ogni nuovo passo lo avvicina sempre di più alla sua meta.

Forse lo avvicinano di più le sconfitte, dopo ognuna delle quali raccoglie meticolosamente e con infinita pazienza i rottami dei prototipi per analizzare le cause degli insuccessi.

Solo.

Nei momenti di successo è invece sempre attorniato da una folla festante e da militari interessati.

 

Anche in patria è destinato ad avere problemi, sia con loro sia con la polizia segreta, che agisce con gli stessi metodi che aveva già visto all'opera con quella tedesca.

Lo proteggeranno Kurokawa ed il direttore della fabbrica, Hattori, sottraendolo a queste attenzioni non gradite.

Diventerà il capo carismatico di un gruppo di giovani ed entusiasti ingegnerei, pronti ad ogni sacrificio per realizzare macchine volanti sempre più perfette.

 

 

 

 

E' arrivato finalmente il giorno in cui Jirō Horikoshi può dimostrare al mondo di avere avuto sempre ragione.

Il prototipo del suo Mitsubishi A5M, un caccia destinato alla marina, supera ogni aspettativa in termini di velocità, manegevolezza, robustezza.

Jirō però non fa caso a quanto accade intorno a lui. Nemmeno guarda più il suo aereo.

Un colpo di vento improvviso gli ha ricordato Nahoko.

 

 

 

 

E' solo un ulteriore passo, ma ce ne sarà almeno un altro, ancora più importante e decisivo.

Pochi anni dopo è pronto per i primi collaudi l'A6M, che passerà alla storia con un altro nome: lo Zero, uno dei più celebri aerei da caccia di ogni epoca ed ogni teatro di guerra.

Il capolavoro di Jirō Horikoshi.

Un capolavoro che gli lascia il fiele in bocca. Vediamo ora lo sconsolato Jirō aggirarsi, solo come sempre nel momento della sconfitta e del dolore, in mezzo alle immani rovine lasciate dalla guerra, in  mezzo ai rotttami soprattutto delle macchine che avrebbe voluto vedere impiegate in altro modo, non macchiate di sangue.

 

E' però ancora al suo fianco, un sogno più reale della realtà, l'ingegnere Giovanni Battista Caproni.

Gli ricorda che loro non sono responsabili della follia altrui, ma soprattutto che gli aerei, terminato quell'interminabile triste periodo di guerre e di lutti, torneranno finalmente a portare gioia e progresso al genere umano.

 

 

 

 

 

 

 

Lo invita a guardare lontano.

A guardare nel cielo.

Una squadriglia di aerei si avvicina. Si riesce a distinguere nelle carlinghe i volti dei piloti, per quanto celati in parte dalla tenuta di volo.

Sono sereni, sorridono.

Salutano.

Salutano Jirō Horikoshi e Giovani Battista Caproni, e si allontano nel cielo per unirsi ad un'altra infinita schiera .di Zero, che volano sempre più in alto fino a scomparire allo sguardo.

 

 

 

Ma c'è ancora altro da guardare, e Caproni vuole che Jirō se ne renda conto.

C'è qualcosa da guardare anche altrove.

Lo indica la folata di vento che si è levata.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Accompagnata da quell'ombrello che tanto ha significato per loro due, Nahoko è venuta. Assieme al vento.

Ha qualcosa da dire a Jirō:

Il faut tenter de vivre.