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Hiroshi Inagaki: L'uomo del ricsciò

1958

Toshiro Mifune, Hideko Takamine, Kaoru Matsumoto

 

Presentato al Festival di Venezia questo film vi riportò il massimo alloro: il Leone d'oro. Negli anni precedenti vi era stata grande attenzione nei confronti della cinematografia giapponese, soprattutto verso il veterano Kenji Mizoguchi prematuramente scomparso e l'astro nascente Akira Kurosawa. Probabilmente anche la presenza come protagonista del più noto degli artisti legati a Kurosawa, Toshiro Mifune, ha contribuito a richiamare l'attenzione su questa opera di Inagaki. Il regista, già famoso in patria per la sua trilogia sul grande samurai Miyamoto Musashi, era fino ad allora sfuggito all'attenzione del pubblico occidentale.

Sembrava con questo prestigioso riconoscimento che le sorti dovessero cambiare invece l'opera venne distrattamente distribuita in Italia e non riscosse grande successo venendo presto dimenticata, né si sentì più parlare molto di Inagaki.

Matsugoro, detto Matsu il selvaggio, non poteva essere altri che Toshiro Mifune. Attaccabrighe, irruento e screanzato ma anche operoso, genuino, gentile e disinteressato, non potrà però superare l'ostacolo della sua bassa condizione sociale e la sua vita rimarrà incompiuta. L'opera è ambientata nel difficile quanto affascinante periodo di passaggio attraverso tre diverse epoche: il periodo Edo, che era  tramontato già nel 1868 ma continuava a permeare di se le città, le campagne e gli animi dei giapponesi, il periodo Meiji che intendeva guardare al futuro ma senza rinunce preconcette del passato, ed infine il periodo moderno.

Durante l'epoca Edo (1600-1868) per ragioni di sicurezza le vie di comunicazione erano strettamente controllate dal governo dello shogun e gli spostamenti contingentati: raramente era consentito costruire ponti ed occorreva quindi ricorrere quasi sempre ai traghettatori. Inoltre ogni tipo di veicolo a ruote era proibito.

Le uniche alternative allo spostarsi a piedi, oltre ovviamente al cavallo, erano il kago, la portantina a noleggio portata da due uomini utilizzata prevalentemente in città, e quella con equipaggio più numeroso di cui si servivano le personalità di spicco per gli spostamenti da una località all'altra.

All'approssimarsi della restaurazione del potere imperiale (epoca Meiji appunto) il Giappone accettò o piuttosto dovette accettare l'apertura delle frontiere ed un rapido ma traumatico adeguamento al 'progresso' occidentale.

Uno dei simboli di questo cambiamento fu l'apparire di un nuovo veicolo munito di ruote, un leggero carrozzino a trazione umana: il jinrikisha, che venne chiamato in inglese rickshaw e in italiano probabilmente tentando di riprendere la fonetica inglese, ricsciò.

Fu inventato da un samurai del clan Fukuoka di nome Izumi Yosuke, che in viaggio ad Edo  per ordine del suo signore ebbe l'ispirazione vedendo una carrozza di farne una versione più leggera adatta ad essere trainata da un uomo (jinriki = uomo forte).

Muniti di una licenza lui e i suoi soci iniziarono la produzione nel 1870 e nel 1876 (9. anno Meiji) in quella che era diventata nel frattempo la capitale dell'est ossia Tokyo si contavano 10.617 jinrikisha ad un posto e 13.853 a 2 posti (Dictionnaire Historique du Japon, Maisonneuve & Larose, ed. 2002)

Quel veicolo fino ad allora inesistente non ebbe vita lunga in Giappone, ben presto sorpassato dalla meccanizzazione dei trasporti, ma venne esportato dapprima in Cina poi in numerose altre nazioni asiatiche ed in Sud Africa, ove conobbe lunga ed onorata carriera. 

Gli uomini del ricsciò - i jinriki - sono di conseguenza figure emblematiche di quel periodo in cui sia i giapponesi che gli occidentali iniziarono a scoprire il Giappone. Forse, troppo spesso, per cambiarlo inconsapevolmente, fino al punto da stravolgerlo e quasi distruggerlo culturalmente.

Fortunatamente la cultura giapponese aveva radici talmente radicate e diffuse nell'animo della popolazione che nonostante tutto non solo sopravvive ma è ancora attiva e vitale. Il rozzo Matsugoro, il jinriki presentatoci da Inagaki, è indubbiamente un rappresentante tipico di quella parte del Giappone destinata a scomparire per sempre eppure ancora viva nell'animo dei giapponesi.

 

 


Matsu il selvaggio farà attendere per qualche minuto la sua prima comparsa in scena. Da regista consumato Inagaki (1905-1980) preferisce aumentare il senso di attesa facendo dapprima parlare di lui - aumentando la curiosità nello spettatore - alcuni personaggi sottilmente selezionati.

La scena di apertura ricostruisce l'immagine di una stretta ed affollata strada cittadina di quella tumultuosa epoca, sul fare della sera.

Brulica di personaggi di ogni tipo intenti alle loro occupazioni di routine, che hanno l'aria di essere ancora le stesse di secoli prima, per quanto alcuni importanti indizi mostrino che si tratta di una epoca di passaggio. Primo fra tutti, il jinrikisha che si dirige verso lo spettatore, con un passeggero in abiti occidentali.

 

Qualcuno sta cercando Matsu: si tratta di un poliziotto, anche lui in uniforme moderna dal taglio occidentale, mentre la proprietaria della locanda cui si rivolge è abbigliata tradizionalmente ed ha i denti anneriti che da secoli contraddistinguevano le donne sposate.

Due mondi apparentemente rivolti verso direzioni opposte, verso il futuro e verso il passato, che eppure convivono ed interagiscono, e non sembrano prestare alcuna attenzione né attribuire alcuna importanza alle loro differenze.

 

 

 

 

Matsugoro, che i discorsi dei due ci hanno immediatamente dipinto come un personaggio da prendere con le molle, è una volta tanto fuori combattimento, con un gran mal di testa.

Si agita furiosamente nel dormiveglia, destando l'impressione di un uomo dotato di grande energia, fisica e mentale, ma incapace di controllarla.

Un ruolo che Toshiro Mifune ha spesso impersonato, ed in modo impareggiabile.

 

 

 

 

 

Matsugoro aveva trovato questa volta pane per i suoi denti: un samurai che doveva recarsi a Wakamatsu (Tokyo) aveva contestato il prezzo di 50 sen per il trasporto, offrendongliene 40. Tanto era bastato per far saltare la mosca al naso a Matsu, 'il selvaggio di Kokura' (evidentemente un luogo dalla fama non immacolata).

Dopo un rapido scambio di battute aveva colpito l'ignoto con un violento ceffone ma questi si era messo in guardia e gli aveva vibrato un micidiale colpo in testa col bastone da passeggio. Si trattava infatti di un insegnante di arti marziali, presumibilemente di scherma.

E l'attore che lo impersona è anche una vecchia conoscenza: Seiji Miyaguchi, l'infallibile e taciturno Kyuzo della più popolare opera di AKira Kurosawa, I sette samurai. Per la verità come guerriero ha qui minore credibilità ma mancando scene di combattimento vero e proprio (non mancano invece le risse) a questo film non può avere collaborato un maestro d'armi allo stesso livello di Yoshio Sugino, che invece Kurosawa continuò ad utilizzare sempre.

Le conseguenze del colpo hanno costretto Matsu a letto per diversi giorni, durante i quali però non ha mancato di distinguersi a suo modo. Riprendendo ad alimentarsi per la prima volta, dopo aver passato il momento peggiore, ha immediatamente fatto fuori con disinvoltura 6 palle di riso, che nei pettegolezzi di quartiere sono immediatamente divenute 16.

La tragicomica disavventura introduce meglio di ogni discorso il personaggio di Matsugoro, un Rodomonte giapponese capace di attraversare pesantemente il cammino di ognuno. Arrogante, presuntuoso e prepotente, ma intimamente fragile e alla vana ricerca di qualcuno che lo comprenda.

La successiva rodomontata di Matsu permette a Inagaki di ricostruire uno squarcio fedele della cultura popolare giapponese. Era costume che i jinriki avessero ingresso gratuito nei teatri, ma i tempi stanno cambiando velocemente.

Ci troviamo intorno al 1894 dato che la rappresentazione celebra le vittorie dell'esercito giapponese durante la prima guerra contro la Cina.

Matsugoro viene però fermato all'ingresso: deve pagare il prezzo del biglietto, o rassegnarsi ad entrare dopo le 21.

 

 

 

 

Naturalmente non finisce là: Matsu si ripresenta con un amico, paga regolarmente i biglietti e prende posto in platea, dove era costume, durando molto a lungo le rappresentazioni, che molti si preparassero addirittura da mangiare su dei bracieri portatili.

Matsu si è preso cura di portare con se gli ingredienti più pestilenziali, e l'odore della sua cena causa scandalo e scompiglio tra gli spettatori.

 

 

 

 

 

L'intervento degli inservienti e dell'impresario non turba minimamente Matsu il selvaggio, era anzi probabilmente proprio quello che voleva ottenere: avere il pretesto per scatenare una rissa mettendo a soqquadro l'intero teatro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Faremo ora la conoscenza con un'altra figura tipica della cultura giapponese: il chukaisha, ossia mediatore. Si tratta di un funzionario che ha l'incarico di intervenire, su chiamata o di sua iniziativa, per risolvere ogni genere di controversie.

Non ricorre generalmente alla forza pubblica, si affida solamente alla sua capacità di persuasione.

Il suo nome è Shigezo Yuki (interpretato da Chishû Ryû) e la sua calma personalità ha il potere di sedare immediatamente la rissa, per poi convocare le parti ed ascoltare le loro ragioni.

 

 

 

Shigezo Yuki non ha alcuna difficoltà a ridurre alla ragione Matsu. La sua collera è comprensibile, in quanto senza preavviso si è venuti meno ad una consuetudine da tutti accettata, ma non giustificabile: ha causato danni non solo all'impresario, ma soprattutto al pubblico, assolutamente incolpevole.

Matsu, mortificato, non può che convenirne, e scusarsi di non averci minimamente pensato.

E' evidente che la sua natura impetuosa è accompagnata da una grande sensibilità, sia pure a doppio taglio in quanto lo porta a reagire scompostamente ad ogni offesa, vera o presunta.

 


Sono passati già 10 anni. In quell'epoca, scandita dalle guerre, si sta celebrando la vittoria sulla Russia.

Una impresa che sembrava impossibile: un piccolo paese appena uscito dalla 'barbarie' aveva abbattuto al suolo il gigante russo, una delle grandi potenze mondiali.

I popolani in festa celebrano l'avvenimento, percorrendo la città in corteo alla luce delle lanterne di carta e dei fuochi d'artificio.

 

 

 

 

In realtà in questi 10 anni non sembra essere cambiato molto per Matsu.

Continua a percorrere la città in lungo ed in largo con il suo jinrikisha, e ha l'aria di non preoccuparsi di altro che del suo mestiere durante il giorno e dei molti divertimenti che offre Tokyo la sera.

Non sa che la sua vita sta per cambiare, e a causa di un episodio che gli appare inizialmente insignificante.

 

 

 

 

 

Un gruppo di monelli si è arrampicato su un albero e sta sbeffeggiando un bambino che non ha il coraggio di seguirli.

Abbiamo già visto che Matsu è un tipo che prende la vita di petto, nessuna meraviglia che inciti il bambino a fare lo stesso.

Deve vincere il suo timore e salire sull'albero, è con questa filososia - o assenza di filosofia - che bisogna affrontare gli ostacoli.

 

 

 

 

 

Il consiglio non si rivelerà ben dato. Ripassando nello stesso posto dopo aver svolto il suo servizio, abbiamo visto nella immagine precedente che stava trasportando i bagagli di una coppia, trova il bambino piangente per terra.

Ha tentato di arrampicarsi sull'albero ed è caduto malamente, riportando una forte distorsione ad una gamba.

Sia che si senta responsabile, ma più probabilmente per uno di quegli slanci di altruismo che lo accompagnano frequentemente, Matsu raccoglie il piccolo e si fa spiegare dai suoi compagni di gioco dove abita e chi sono i suoi genitori.

Poi, lasciato tutto il resto, lo riporta di persona a casa. Sulla porta è indicato solamente il nome del padrone di casa: Kotaro Yoshioka. La madre del bambino, preoccupata, gli chiederà di portarlo da un dottore per medicare le ferite e controllare lo stato della gamba.

La piccola famiglia è composta dal capitano dell'esercito Kotaro Yoshioka (Hiroshi Akutagawa), la moglie Yoshiko (Hideko Takamine) ed il piccolo Toshio (Kaoru Matsumoto).

Fortunatamente Toshio non ha nulla di serio, per quanto debba continuare a farsi controllare periodicamente dal dottore. Verrà quindi chiesto a Matsu di accompagnarlo col suo jinrikisha ogni volta che sia necessario.

Il capitano Yoshioka è curioso di sapere chi sia quel burbero omone entrato così improvvisamente ma benevolmente nella loro vita. Il nome Matsu non gli è nuovo, e compreso di chi si tratta non riesce a trattenere una risata.

Lo conosce, o perlomeno l'ha già incontrato.

Qualche tempo prima il famoso generale Oku era stato invitato a tenere un discorso ufficiale nella zona di Kokura, e il jinrijki incaricato di riportarlo indietro era proprio Matsu.

Urtato da quella che considerava una insinuazione ed una offesa alla sua professionalità, ossia che potesse non conoscere il percorso - cosa del resto ancora oggi normale in Giappone dove molto spesso le strade non hanno nome - Matsu aveva risposto in maniera molto pepata.

Lo stesso generale, avvezzo a trattare rigidamente e dall'alto in basso gran parte degli esseri umani con cui si trovava a confronto, dovette calmare i suoi ufficiali che pensavano seriamente di dover vendicare l'offesa: non era successo assolutamente nulla. Era anzi probabile che l'alto ufficiale, chissà, forse stanco di tante ipocrisie dettate dalla disciplina e dall'etichetta, fosse in cuor suo compiaciuto oltre che divertito dal comportamento rozzamente genuino di Matsu.

Matsu è ormai oltre che conducente abituale di Toshio nei suoi periodici viaggi dal dottore anche un amico di famiglia.

Si trattiene a volte a cena presso gli Yoshioka, cantando le sue canzoni ribalde, rinunciando tuttavia alle peggiori per riguardo nei confronti di Yoshiko, e chiacchierando amabilmente col capitano Kotaro.

Una sera questi si sente stanco, e chiede alla moglie di chudere le finestre mentre lui si corica: fa troppo freddo. Ma le finestre sono chiuse, e la casa è calda. Inoltre Kotaro ha una tosse preoccupante e la febbre alta, per quanto non lo voglia ammettere.

Mentre Matsu lascia la casa, con l'intesa che andrà a cercare del ghiaccio per far scendere la febbre del malato, si sentono le note del silenzio militare, scandite da una tromba.

Inagaki non ha alcuna intenzione di rallentare l'azione del film e prolungare la tensione, togliendole però intensità.

Arriva subito al dunque: nella scena sceguente Matsu, Yoshiko e Toshio stanno pregando sulla tomba di Kotaro, probabilmente portato via per sempre da un polmonite, malattia che all'epoca richiedeva un alto tributo di vittime.

La donna ed il bambino non hanno probabilmente alcun vero amico, essendo stati costretti a seguire le sorti di Kotaro assegnato di volta in volta in servizio in località diverse, senza poter mettere mai radici in alcun posto.

Matsu sente che in qualche modo quei due esseri umani fanno parte della sua famiglia, non potrà più abbandonarli.


Yoshiko è preoccupata soprattutto per le sorti del figlio, costituzionalmente timido e gracile quanto il padre era avventuroso e forte.

Matsu tenta di rassicurarla: per quanto si debba rendere conto dei suoi limiti culturali che lo rendono assolutamente inadatto ad assistere Toshio nel suo percorso scolastico e sociale, cercherà di dargli la forza interiore per superare ogni ostacolo.

Lo tiene costantemente sottocchio, cercando di passare sempre nei dintorni durante i suoi andirivieni . Un giorno lo scopre alle prese con un aquilone che non riesce a far decollare. Pianta immediatamente in asso il jinrikisha ed il cliente, che si esibisce in un buffo balletto per esprimere il suo sdegno, e si dedica a sciogliere il filo dell'aquilone.

Solo quando avrà risolto il problema riprenderà il suo posto tra le stanghe, senza che il distinto signore, intimorito dalla sua robustezza e dalla sua aria selvaggia, abbia il coraggio di continuare nelle sue proteste.

Da quel momento Matsu sarà una presenza costante accanto a Yoshiko e Toshio, premuroso e gentile quanto con il resto del mondo si è sempre mostrato scontroso ed irritabile.

Il suo obiettivo è di temprare Toshio, a costo di sottoporlo a prove che da solo non affronterebbe mai.

 

 

 

Con la sua grezza sensibilità naturalmente ha cura di accrescerne la fiducia aiutandolo a superare prove relativamente facili, ad esempio semplicemente mangiare una cipolla, cibo difficilmente gradito ai bambini.

Per la prima volta da chissà quando ha il coraggio di aprirsi, di rivelare qualcosa di se stesso: sì, anche lui ha pianto da bambino, e ne rivela le ragioni. 

Ma una sola volta, e da allora ha mantenuto la promessa di non piangere più.

 

 

 

 

Forse proprio la sua dura infanzia gli ha permesso di divenire un uomo forte (e ricordiamo che il significato di jinriki è proprio questo).

La forza di Matsugoro non è solamente fisica, ed emerge prepotentemente nelle frequenti occasioni di festa cui partecipa con l'entusiasmo di un bambino, provocando un certo imbarazzo iniziale nella compassata famigliola Yoshioka.

 

 

 

 

 

 

Lanciandosi senza esitazione nell'avventura di partecipare ad una gara podistica amatoriale, non lo fa però senza scegliersi una tattica adeguata.

Mentre gli altri concorrenti si danno battaglia, lui sembra attardarsi a salutare il pubblico, prendendosela comoda.

Sta in realtà solo mantenendo il ritmo di corsa che è abituato a tenere indefinitivamente, ben sapendo che gli altri si stancheranno ben presto e non avrà difficoltà a raggiungerli e poi superarli, pur con la sua buffa falcata e con le mani che stringono le stanghe di un immaginario jinrikisha.

Sarà naturalmente lui a riportare la vittoria, per consegnare trionfalmente il trofeo appena vinto a Yoshiko e Toshio.

 

Matsugoro non può fare nulla per aiutare Toshio nella sua crescita culturale, salvo aggirarsi intorno alla scuola per osservarlo dalla finesta - non visto - travolto dall'orgoglio quando lo vede in grado di rispondere correttamente ai professori.

Ma il suo incessante lavoro volto a fortificarne l'animo avrà i suoi effetti.

Toshio avrà il coraggio il coraggio di affrontare anche il pubblico e durante la recita scolastica di fine anno la canzone tradizionale da lui cantata riscuote grande successo.

La gioia di Yoshiko è come sempre misurata. Quella di Matsugoro è come sempre tangibile, e sarebbe perfino esplosiva se non dovesse contenersi suo malgrado.

 

In un susseguirsi di eventi che Inagaki mostra allo spettatore seguendo il filo delle feste tradizionali, gli anni passano e Toshio (ora interpretato da Kanji Kasahara) è oramai quasi adulto.

Matsugoro continua ad essere al suo fianco, anche fisicamente: la rivalità tra le scuole rivali sfociava spesso in scontri organizzati, ma i pur battaglieri studenti vengono facilmente sgominati da Matsu il selvaggio, sempre pronto ad intervenire quando vede il suo figlioccio in difficoltà.

Ma ben presto Toshio dovrà partire: deve continuare altrove i suoi studi.

 

 

 

Nella grande casa Yoshiko rimane sola. Ha chiesto a Matsugoro di continuare ad aiutarla, ma gli anni continuano a passare senza che nessuno dei due abbia il coraggio di rinunciare ai propri vincoli.

Yoshiko intende restare fedele alla memoria del marito. Ha anche rifiutato una vantaggiosa proposta di matrimonio.

Matsugoro è legato per sempre alla propria scelta di emarginarsi dalla società, dandole e ricevendone solamente lo stretto indispensabile.

Non troverà mai il coraggio di dichiarare a Yoshiko il proprio amore.

 


Toshio sta ancora crescendo, mentre le persone cui è più legato stanno declinando. E' la legge della natura.

Quando torna per le vacanze è quasi un uomo maturo, ed è accompagnato da uno dei suoi professori, che intende partecipare alla festa di Kokura, avendo sempre avuto desiderio di ascoltare il famoso suono del tamburo Gion Daiko.

Matsugoro lo avverte, non sarà possibile: nessuno è più capace di eseguire quel ritmo, dovrà contentarsi del tamburo Kaeru.

 

 

 

 

Se, come abbiamo detto, Inagaki utilizza spesso le feste come una sorta di sipario che scandisce l'intervallo tra una scena e l'altra ed allo stesso tempo come un fondale teatrale in cui si svolge l'azione vera e propria, dobbiamo anche ammettere che lo fa con mano particolarmente felice.

I cultori e gli appassionati della cultura giapponese non possono che essergliene grati.

Riesce a mostrare la peculiarità delle feste giapponesi, pur mostrando gesti e situazioni che potremmo tranquillamente immaginare in qualunque sagra di paese nostrana.

 

 

 

Sappiamo già che Matsugoro adora le feste e ama lasciarsene coinvolgere.

Sappiamo anche che ha molti talenti nascosti, e quello di suonatore di tamburo (taiko) è tra i più apprezzabili.

Chiede ai cerimonieri di poter fare la sua prova, e la proposta viene accettata con allegria, nello spirito della festa.

Sorprendentemente per tutti però Matsugoro si rivela un autentico maestro nell'eseguire il Kaeru.

 

 

 

 

Ma è solo l'inizio.

Di fronte alla folla strabocchevole ma ammutolita prima ed entusiasta poi esegue il Gion Daiku, che aveva spiegato al professore significare Tamburo furioso.

Si tratta in realtà a quanto sembra di due parti ben distinte, il tamburo furioso ed il tamburo selvaggio.

E naturalmente nessuno potrebbe essere all'altezza di Matsu il selvaggio nella sua esecuzione.

 

 

 

 

Inagaki fa intervenire un personaggio di contorno per rendere esplicito al pubblico quanto è avvenuto.

L'anziano signore, che ha tutta l'aria di essere un fine intenditore, sostiene a viva voce di essere incredulo.

Di non avere mai creduto possibile che qualcuno potesse eseguire quel pezzo in epoca moderna, e che un tale talento potesse nascondersi nella festa di quartiere di Kokura.

 

 

 

 

 

E' questo il canto del cigno di Matsugoro il selvaggio.

Toshio è ripartito.

Yoshiko è tornata sola nella casa, troppo grande per lei e troppo piccola per chiunque altro.

Vi è ancora presente infatti il ricordo di Kotaro, cui lei intende mantenersi fedele.

 

 

 

 

 

 

Un ricordo che incombe anche su Matsu.

In un ultimo colloquio con Yoshiko, avverte la tentazione quasi irresistibile di dichiararle il suo amore.

Ma se ne vergogna, non può fare a meno di confessarlo come un 'pensiero impuro', di cui dovrà chiedere perdono allo spirito della persona cui ha solennemente promesso il suo impegno disinteressato.

Yoshiko, intimorita dall'accenno di rivelazione, ma forse più per timore dei propri sentimenti che per quelli di Matsugoro, non sa cosa rispondere.

I due non si rivedranno mai più.

 

 

Nonostante la sua spavalderia e la sua innegabile forza interiore, che gli hanno permesso di superare indenne molte difficili prove, questa sarà fatale per Matsu il selvaggio.

Riprenderà a bere, incapace ormai di trovare un senso alla sua vita.

Le ruote del suo jinrikisha continuano a scorrere come sempre lungo percorsi decisi da altri.

Ora, mentre si rende conto che malgrado ogni sforzo anche la vita scorre indipendentemente dalla sua volontà, la sua forza d'animo gli viene meno.

 

 

 

 

In una fredda serata d'inverno si trascinerà lungo le strade deserte, stringendo la sua bottiglia, unica compagna.

La morte lo coglierà là.

La mattina sarà uno dei bambini che giocano innocentemente per strada, uno di quei bambini che lui tanto adorava, a scoprire il suo corpo gridando 'Guardate: Matsu dorme!'

 

 

 

 

 

 

Sì, Matsu il selvaggio si è addormentato, sognando.

L'ultima visione che gli è apparsa, mentre tornava per sempre bambino, è stata quella di una moltitudine di palloni colorati che salivano verso il cielo, in occasione della ennesima splendida festa.

 

 

 

 

 

 

 

 

Dopo la sua morte  Shigezo Yuki, il mediatore, si recherà da Yoshiko per farle conoscere le ultime volontà dell'uomo del ricsciö.

Ha scrupolosamente messo da parte tutto il denaro che prima Kotaro e poi Yoshiko gli hanno dato per le sue prestazioni, una somma considerevole, e vuole che venga utilizzato per assicurare una serena esistenza a Toshio.

Ha agito solamente per amore.

Nella sua casa ormai vuota penetra il freddo dell'inverno.

Alla parete è ancora appesa la stampa raffigurante una giovane donna, che gli era stata regalata per incitarlo a prendere moglie, e che lui celiando amaramente definiva la propria consorte.