Samurai: Le armature della collezione Koelliker

Opere della collezione Koelliker e delle raccolte extraeuropee del Castello Sforzesco

Mazzotta 2010

 

L'imprenditore milanese Luigi Koelliker è uno dei più importanti collezionisti europei, e la sua raccolta è celebre soprattutto per la qualità e rarità dei dipinti e degli antichi strumenti scientifici. Sicuramente tra le più importanti in Italia ed Europa è anche la sua raccolta di armature giapponesi. Sono state esposte a Milano nel 2009.

 

Questa pubblicazione illustra appunto le opere esposte in quell'occasione, assieme ad altre facenti parte delle collezioni extraeuropee del Castello Sforzesco di Milano. E' curata dal noto antiquario Giuseppe Piva. ed è probabilmente la prima pubblicazione italiana che tratta in modo esauriente l'argomento. E' corredata di cenni storici, di una dettagliata nomenclatura, di un glossario. Le illustrazioni sono di notevole qualità ed il prezzo di copertina, 30€, è molto ragionevole.

La collezione Koelliker, frutto di recenti acquisizioni, comprende numerosi importanti pezzi di notevole pregio artistico, risalenti tuttavia perlopiù all'Edô jidai (1600-1868). E'  un'epoca relativamente tarda ed a partire dalla quale, dopo che Yeyasu Tokugawa aveva nell'ottobre del 1600 sconfitto definitivamente l'armata dell'Est divenendo signore assoluto del Giappone, il paese non conosce più guerre se non quelle di assestamento immediatamente dopo l'ascesa al potere della dinastia Tokugawa.

Di conseguenza le armi e le armature conoscono un periodo di relativa decadenza, relegati ad oggetti da rappresentanza o peggio ancora da esibizione e perdendo inevitabilmente gran parte della loro funzionalità.

Proprio questi manufatti divennero però a partire dall'epoca Meiji gli oggetti più apprezzati e ricercati dai collezionisti occidentali, maggiormente attirati dalla magnificenza dell'aspetto e dall'accuratezza delle rifiniture che dal valore effettivo, storico o  simbolico. Costituiscono quindi tuttora la maggior parte delle opere reperibili sul mercato antiquario. Disponibili naturalmente a patto di avere grandi disponibilità economiche, un gusto sicuro se non addirittura una conoscenza approfondita della cultura da cui proviene il materiale ricercato, buone doti di investigazione ed infine una dose di pazienza ancora maggiore.

Luigi Koelliker non ha deliberatamente cercato nella sua raccolta la rappresentazione di determinati periodi storici o la panoramica completa dei prodotti di ben precise scuole manifatturiere, ma si è lasciato in una certa misura dettare dall'istinto. Tuttavia dichiara in una intervista che rispetto all'impegno richiesto dalla raccolta di una collezione importante e coerente le difficoltà e i pericoli del mondo degli affari sono poca cosa.

A lato, una delle armature più antiche, tra quelle presenti nella raccolta Koelliker ed illustrate nel libro (n. 22). Gli altri manufatti per le ragioni esposte sopra sono prevalentemente di epoca successiva.

Il kabuto (elmo) è firmato Munehisa e risale al terzo anno (1534) del Tenbun nengo (1532-1555), il periodo del regno dell'imperatore Go-Nara.

E un momento di transizione tra il Muromachi jidai ed il Momoyama jidai, ma i secoli XV-XVI vengono spesso accorpati dagli storici e dagli studiosi in una macro-epoca denominata Sengoku jidai (Era degli stati combattenti). In questo arco di tempo il potere materiale sarebbe passato dalla esausta dinastia Ashikaga ad un ristretto nucleo di intraprendenti signori locali in eterna lotta tra di loro. Fino allo scontro risolutrice di Sekigahara ed alla instaurazione della pax Tokugawa.

Questo yoroi (armatura) già del tipo gomai-dô gusoku ossia moderno - per distinguerlo dalla precedente tipologia o-yoroi - risale tuttavia ai tempi in cui ancora una armatura era pensata e costruita per il suo uso effettivo in battaglia.

Il (pettorale) è però firmato Munesuke, che ha curato probabilmente il restauro dello yoroi alcune generazioni dopo Munehisa, sul finire del Sengoku jidai.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In complesso sono circa trenta le armature illustrate, e una ventina gli elmi. Molti sono del tipo kawari kabuto, dall'aspetto insolito ed appariscente. Per permettere l'identificazione del comandante in battaglia ma anche per un certo gusto "barocco" che si impose in quell'epoca in cui il corredo da battaglia era divenuto più spesso lo status symbol di un feudatario che non l'austero corredo di un guerriero.

Nella immagine a lato vediamo un kawari kabuto del tipo momonari-bachi (n. 38), in cui l'hachi (il coppo dell'elmo, che nelle parole composte diventa bachi) a forma di pesca (momonari) è composto di 2 piastre. Possono essere molto più numerose, assemblate come gli spicchi di una arancia, e gli elmi composti di 62 od addirittura 128 piastre erano riservati a personaggi di alto rango.

La visiera (mabizashi) è laccata, così come anche la giuntura dell'elmo, e decorata con girali  vegetali in oro. Il maedate (emblema frontale) rappresenta il disco lunare sovrapposto a quello solare, mentre i 2 grandi wakidate (ornamenti laterali) in legno laccato e dorato raffigurano due conchiglie.

Completano l'opera, che è caldamente raccomandabile a studiosi ed appassionati della oplologia giapponese, le foto di una decina di esemplari di spade, quasi tutte della tipologia tachi impiegata in battaglia, non quella katana adottata nella vita civile, e di alcuni oggetti accessori come archi, bastoni di comando, maschere in ferro (menpo se divise in due parti, somen quelle composte di un solo pezzo).