Indice articoli

Abbiamo già detto che Hokusai nacque ad Edo (che divenne Tokyo, la capitale dell'est, solamente nel tardo 800) nel quartiere Honjo che raffigurò poi spesso nelle sue opere, situato nel distretto di Katsushika. Alcune sue opere vennero firmate con lo pesudonimo "il paesano di Katsushika", viene quindi comunemente chiamato Katsushika Hokusai. Normalmente il nome d'arte viene invece accompagnato da quello della scuola (Utagawa Toyokuni, Utagawa Kunisada, Utagawa Hiroshige...).

Anche il padre Bunsei era un artista, ma non conosciamo a quale arte si applicasse. Adottato da un parente, pratica molto diffusa in Giappone, ancora praticamente bambino venne impiegato come commesso in una libreria, ma venne messo alla porta perchè immerso nella contemplazione delle stampe che illustravano i volumi, lavorava distrattamente quando non si perdeva addirittura nei sogni.

Non sappiamo attraverso quale percorso riuscì a coronare il suo sogno di diventare illustratore , ma lo ritroviamo nel 1773-75 incisore, con il nome di Tetsuro.

Nel 1778, si chiamava già allora Tetsuro, entrò nell'atelier di Katsukawa Shunshô inizando una produzione di stampe teatrali nello stile del maestro, che firmò come Katsukawa Shunrô.

La spinta alla ricerca di una via più personale gli venne da uno spiacevole episodio: aveva dipinto l'insegna di un rivenditore di stampe, che ne era soddisfatto al punto da metterla in grande evidenza davanti all'ingresso. Un altro allievo della scuola Katsukawa passando di lì la notò e non ne fu affatto soddisfatto, e ritenendola indegna e dequalificante per la scuola, la strappò. Hokusai decise da quel momento di non seguire più nel corso della sua vita alcuno stile precedente ma solamente la sua ispirazione. La separazione dal successore di Shunsho, ormai inevitabile, avvenne da lì a poco. Assunse il nome d'arte di Mugura (cespuglio), a rappresentare la sua indipendenza ed il suo isolamento.

Da allora in poi fu anche praticamente senza fissa dimora, mai soggiornando nello stesso posto più di un mese o due, probabilmente per sentirsi assolutamente libero di seguire il suo estro e la sua ispirazione del momento. Si sposò due volte ed ebbe sei figli, alcuni dei quali tentarono di seguire con alterne fortune il percorso artistico del padre.

Chi dimostrò maggiore talento fu la figlia Oyei, conosciuta anche con i nomi di Oi o Sakae, che dopo aver divorziato tornò a vivere col padre assistendolo fino alla morte. A partire dai 52 anni circa Hokusai visse senza alcuna compagna al fianco, ma non ne conosciamo le ragioni.

Per un lungo periodo, che arriva fino al 1834 circa, non conosciamo nemmeno altri particolari della sua vita. Con la pubblicazione delle 36 vedute divenne di colpo un artista famoso, considerato ancora oggi da molti il più grande nella storia del Giappone. Prese in questo periodo a firmarsi Gakyō Rōjin Manji, il Vecchio pazzo per l'arte, ed è forse questo lo pseudonimo che meglio gli si addice.

Il successo come artista coincise purtroppo con un serie di problemi familiari, causati dalla turbolenza di figli e nipoti, che prosciugarono le finanze di Hokusai e gli causairno diverse noie costringendolo dal 1834 al 1839 a vivere in volontario esilio prima nellla città di Uraga e poi di ritorno ad Edo all'interno del tempio Meionji, nonché a lavorare con ennesimi pseudonimi tra cui Myuraya Hatiyemon ed il soprannome di prete-pittore. Ci rimangono di questo periodo alcune lettere agli editori, in cui si lamentava delle condizioni in cui era ridotto, aveva ormai oltre 70 anni, e della rudezza con cui era costretto a rivolgersi agli incisori per essere sicuro che le sue istruzioni venissero comprese e le sue richieste accettate.

La fine di questo periodo coincise con una grave crisi economica che travagliò l'intero paese, dovuta a diverse annate consecutive in cui la raccolta del riso fu scarsa, e alla conseguente crisi del settore editoriale. Artisticamente fu un'esperienza positiva: Hokusai per sopravvivere. non poteva più  contare sulle stampe, iniziò a produrre e vendere direttamente disegni e schizzi originali. Sappiamo dalla sua corrispondenza che venne sempre pagato molto poco, e questo lo costringeva ad una attività frenetica che non ne fece però mai degradare il livello artistico anzi lo arricchì.

Sappiamo però dalla corrispondenza, illustrata qua e là da suoi schizzi che rafforzassero i concetti, ad sempio una mano che si tendeva a ricevere una moneta, corrispondenza cui era costretto a ricorrere nei momenti di esilio più o meno volontario, che comunque non rinunciava mai alla qualità.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ad esempio seguiva di persona il lavoro degli inchiostratori  l'esecuzione delle incisioni, raccomandando quando possibile di affidarle a Tomekichi Yegawa, l'unico di cui si fidasse, l'unico capace di rendere fedelmente il suo stile senza sovrapporgli i manierismi dell'epoca, rinunciando per questo se necessario a parte del suo guadagno.

In un unico caso le sue opere vennero ricompensate generosamente: si trattava di una commessa da parte del comandante di una nave olandese, che pagò 150 ryo per due rotoli che raffiguravano gli epdisodi tipici della vita di un uomo e di una donna giapponesi. Altri due makimono vennero ordinati da un medico, sempre olandese, che però li giudicò scadenti e pretese di pagarli la metà. Hokusai, che aveva bisogno urgente del denaro, rifiutò sdegnosamente.

Fu l'altro olandese, Isbert Hemmel, conosciuto l'accaduto, ad acquistare anche questi due rotoli pagandoli il dovuto, e fu probabilmente attraverso queste opere che la fama di Hokusai iniziò a diffondersi in occidente. Dopo breve tempo però il governo proibì la vendita di opere d'arte agli stranieri,  soprattutto quelle in cui venivano rivelati i "segreti" del modo di vivere giapponese e questa fonte di introiti venne a mancare.

Sappiamo che che per un'opera di impegno paragonabile, quattro fogli dalle Poesie dell'epoca dei Tang, aveva convenuto con l'editore Kobayashi di Uraga un compenso di 42 monme d'argento. Un ryo d'oro (keicho ryo) era equivalente a 60 monme. Nella illustrazione a fianco (da Wikipedia), un oban ryo , del valore di 10 ryo.

Hokusai aveva subito alle soglie dei settanta anni un colpo apoplettico, da cui sembra sia guarito perfettamente grazie ad una antica ricetta giapponese, la "pasta di limone", ottenuta bollendo dei pezzi di limone in una misura (go = 0,25litri circa) di sake fino ad ottenere un denso sciroppo. Si beveva il tutto, allungato con acqua calda, entro le 48 ore dall'attacco. Ne rimane la ricetta illustrata, donata da Hokusai al suo amico e collega in arte Tosaki.

Hokusai non ebbe più problemi di salute fino ai 90 anni, quando cadde malato ad Asakusa e così scrisse al vecchio amico Takagi:

Il re Yemma è molto vecchio e si appresta a ritirarsi dagli affari. Si è fatto costruire per questo scopo une bella casa in campagna e mi chiede di andare a dipingergli un kakemono. Quindi sono obbligato a partire e quando partirò prenderò con me i miei disegni. Affitterò un appartamento all'angolo della strada dell'inferno, dove sarò felice di ricevervi, quando avrete l'occasione di passare di là.

Hokusai

Se ne andò con un rimpianto: quello di non aver avuto qualche anno di tempo per diventare un pittore completo, una decina o se proprio non fosse stato possibile almeno altri 4/5. Sentiva da una parte di avere già esplorato terreni sconosciuti ad ogni altro artista, di avere spostato più avanti i limti dell'arte. Dall'altra, non ne era ancora soddisfatto. Restano di lui circa trentamila opere.