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La tenuta tradizionale del praticante di un koryu (scuola antica) è costituita normalmente dal keikogi (稽古着  = tenuta da allenamento) talvolta chiamato dogi ((道着), ossia dei semplici pantaloni fissati alla cintura da un laccio e una robusta giacca che subisce lievi adattamenti per la pratica ad esempio maniche che si arrestano a metà dell'avambraccio nello iaido, per evitare che ostacolino i movimenti della spada, o nell'aikido, per permettere le prese ai polsi che costituiscono una parte importante dell'allenamento. E una hakama: larghi pantaloni percorsi da pieghe nel senso della lunghezza, allacciati in vita da 4 cinte di tessuto (himo) che sono incorporate, con un rialzo nella parte posteriore (koshi ita) e due aperture laterali.

Il colore della hakama può essere bianco o blu scuro, sostituito od affiancato in epoca moderna dal nero: con i colori vegetali usati tradizionalmente non era possibile ottenere il nero. In alcune arti si utilizzano tuttavia colori e temi più classici.

I pantaloni non sempre vengono utilizzati, in alcune discipline possono essere d'impaccio, e in questo caso sopra il keikogi si indossa direttamente la hakama (), un indumento tradizionale che solo l'arrivo in occidente delle arti marziali più legate alla tradizione ha fatto conoscere e diffondere. Esistono fondamentalmente due tipi di hakama in Giappone, la andon bakama (行灯袴) che è in pratica una gonna, e la umanori hakama (馬乗り 袴) che è invece un ampio pantalone destinato originariamente ad essere indossato a cavallo. E' questo tipo di hakama, che nei secoli trascorsi faceva parte del vivere quotidiano dei samurai, che viene indossata nelle arti del koryu ed anche nelle arti moderne che ad esse si ispirano.

Anche la hakama viene adattata per gli usi pratici, esiste quindi la versione con allacciatura posteriore ma anche quella, tipica dell'aikido, con allacciatura anteriore per evitare danni alla spina dorsale nelle frequenti cadute all'indietro ed inoltre con lacci più lunghi, per assicurarla meglio evitando di ritrovarsi svestiti nel corso delle tecniche dinamiche tipiche di questa arte. La hakama tradizionale in cotone, tinta con erbe, viene oggi quasi sempre sostituita da versioni industriali in tessuto sintetico tinte con coloranti chimichi, nei classici tre colori: il bianco, in alcune arti riservato per ragioni di cortesia alle donne e in altre agli insegnanti, il nero ed il blu intenso.

Parleremo in altra occasione della simbologia della hakama, e più avanti della sua corretta manutenzione. E' ora il momento di accennare alla sua storia.

Le origini dell'indumento sono molto antiche: si ritrova già nella cultura haniwa, sviluppatasi tra il III ed il VI secolo, nell'era conosciura come Kofun, e di cui si sono rinvenute numerose sculture tombali che permettono di conoscerne le caratteristiche. A partire dall'epoca Nara (VIII secolo) e per tutta l'epoca Heian (794-1185 circa) l'etichetta di corte prescrive sia per la tenuta normale che per la tenuta di cerimonia una hakama bianca, di un tessuto differente da quello utilizzato per la parte superiore dell'abbigliamento. Infatti, fino ad un periodo grossomodo corrispondente con l'epoca Muromachi (1336-1573 circa) in Giappone si distingueva tra l'abbigliamento destinato alla parte superiore del corpo - uwagi - e quello che copriva la parte inferiore - shitagoromo, che assumerà poi il nome di hakama. Questo per quanto riguarda la terminologia, ma l'indumento come abbiamo visto ha origini di gran lunga anteriori. Sempre nello stesso periodo sia per l'abbigliamento destinato ai samurai (hitatare) che in quello generico si inizia ad utilizzare la stessa stoffa per avere un assieme più coordinato, mentre la hakama non viene più utilizzata come indumento ordinario dalle donne.

In seguito la hakama conquista una sua autonomia e si differenzia dalle altre parti dell'abbigliamento, inziando a partire dall'epoca kinsei (moderna) ad allargarsi verso il basso, causandone il naturale ripiegarsi in linee verticali, mentre si introduce sul lato posteriore un rialzo (koshiita) a forma di trapezio rastremato verso l'alto mentre i nastri che l'assicurano alla cintura diventano più stretti e lunghi. Rimangono in uso numerose versioni della hakama, dalla hira bakama tipica del samurai alla umanori hakama tipica come abbiamo detto del cavaliere, alla no bakama utilizzata per i viaggi, mentre tra la gente del popolo si indossava la tattsuhe bakama più adatta ai lavori manuali e dei campi .Durante l'epoca Meiji (1868-1912) la hakama diviene l'indumento di uso corrente, almeno nelle classi intermedie, e si usa indossarla per recarsi al lavoro o alle prime università. L'uso della hakama scompare quasi del tutto ed improvvisamente al termine della seconda guerra mondiale.

Permane la usanza della hakama gi detta anche chakko: è una cerimonia tradizionale nel corso della quale il bambino veste la sua prima hakama, passando dalla prima alla seconda infanzia.

A seconda delle epoche e dei sessi queste cerimonia fu celebrata al compimento del secondo, quinto, sesto o settimo anno di vita, ed in periodi diversi dell'anno talvolta liberamente scelti dalla famiglia.

A partire dall'epoca Edo(1603-1867) si iniziò a riservarla ai maschi, che venivano deposti sopra una tavola del gioco del go per indossarvi la loro prima hakama; oggigiorno la festa si celebra il 15 novembre riprendendo una antica tradizione risalente al XVI secolo che la riservava alla "undicesima luna", e vi partecipano i bambini di tre, cinque e sette anni che accompagnati dai parenti si recano presso un santuario, abbigliati con costumi d'epoca.

 

 

 

 


E' invece destituita da ogni fondamento l'idea che l'hakama sia un indumento esclusivamente maschile: per quanto non fosse più per loro un indumento abituale, in epoca Edo era ancora normale per le donne di casta samurai indossare l'hakama in occasione dei viaggi. La cita ad esempio Eiji Yoshikawa  in Musashi, quando Otsu, preparandosi a partire per l'ennesima volta alla ricerca dell'errabondo Miyamoto Musashi, indossa appunto una hakama.

Fa parte ancora oggi del costume di culto di sacerdotesse e accolite shinto una hakama rosso fiammante, indossata sopra un kimono bianchissimo, e  nei cataloghi delle sartorie tradizionali troviamo immancabilmente diverse hakama destinate alle donne.

La foto, proveniente dal sito www.e-budostore.com, ci fornisce l'occasione per far notare che è una leggenda anche quella che vorrebbe l'hakama per aikido un indumento recente,  concepito espressamente nel dopoguerra modificando quella tradizionale.

La modifica consisterebbe soprattutto nell'avere spostato il nodo di chiusura sul davanti per non esserne infastiditi durante le cadute all'indietro. Sono al contrario alcune scuole che adottano protezioni durante i combattimenti di spada che hanno adottato il nodo nella parte posteriore, avendo necessità di indossare l'armatura.

Certamente sono state apportate, dalla piccola ditta artigianale Iwata, che fornisce da molti decenni gli insegnanti di aikido dell'Hombu Dojo, le modifiche all'indumento indicate in apertura dell'articolo: avevano però soprattutto lo scopo di renderlo più robusto ed in grado di sopportare un uso intenso e logorante.

 

 

 

Oltre ad essere esistite in epoca antica ulteriori varianti della hakama, variavano anche i modi di utilizzarla, al punto che non sempre è facile distinguerla da differenti capi di vestiario. Era ugualmente una hakama anche quella indossata, sempre secondo Yoshikawa, da Sasaki Kojiro in occasione dello storico duello dell'isola di Ganryu proprio contro Musashi.

Secondo la tradizione Kojiro indossava un kimono bianco aderente, con sopra un aori rosso senza maniche. L'hakama era di cuoio,  avvolta dal ginocchio in giù da fasce mollettiere. Era un tipo di abbigliamento utilizzato spesso dai samurai in servizio presso un daimyo, e quindi sovente chiamati al pronto intervento e a rapidi spostamenti a piedi. Nella immagine vediamo la rappresentazione del dramma teatrale Musashi, diretto da Yukio Ninagawa nel 2009 con grande successo di pubblico.

Questo conferma come ancora oggi tutte le numerose versioni dell'epico duello restituiscano l'immagine classica di Sasaki Kojiro, permettendosi al più qualche licenza nella scelta dei colori.

Kojiro era come noto a molti un samurai al servizio della casata degli Hosokawa, che diversi anni dopo il duello ebbero tra il personale alle loro dipendenze anche Myamoto Musashi, il vincitore.

Nelle rappresentazioni infatti vediamo sempre che sugli aori dei funzionari spicca il mon degli Hosokawa, il sole con otto pianeti. Una fantasiosa ricostruzione del bokuto con cui Musashi affrontò anche questo mortale confronto, come quasi tutti i precedenti, si intravede a destra. Si sarebbe trattato in questo caso di un bokuto di fortuna, ricavato durante la traversata dal remo di riserva della barca.

 

 

 

 

Avendo ormai preso il via sarà il caso di smentire anche un'altra credenza diffusa nel mondo delle arti marziali: l'hakama non ha la funzione di occultare il movimento dei piedi durante il duello o il combattimento.

Durante la preparazione rituale al contrario ogni samurai compie ben precise operazioni: inannzitutto utilizza un tasuki, un cordone o meglio fettuccia ripiegato ad otto che si incrocia dietro la schiena e passa sotto le ascelle per tenere raccolti gli indumenti ed evitare che diano impaccio. Il tasuki può essere costruito con cura intrecciando strettamente fogli di carta riportanti scritte augurali o motti sacri, ma il samurai poteva essere costretto ad impugnare le armi anche senza preavviso.

Quando era messo sull'avviso per tempo, come quando ad esempio doveva fungere da secondo in un seppuku rituale, aveva tempo di prepararsi a dovere; il fotogramma proviene da Senno Rikyu (Morte di un maestro del te) e si riferisce al seppuku di Furuta Oribe, sulla sinistra.

Talvolta non aveva tempo di prepararsi; in quei casi utilizzava come tasuki d'emergenza il sageo, la fettuccia che assicura alla vita - e più esattamente agli himo che serrano l'hakama - il fodero della spada. Nei cataloghi dei fornitori di articoli di arti marziali infatti figura sempre un sageo di lunghezza superiore al normale, lo shigeuchi, adatto per questo tipo di utilizzo.

Anche l'hakama veniva vistosamente rimboccata, per evitare di inciamparvi sopra o di imbrattarla.

Ancora oggi alcuni insegnanti di arti marziali usano farlo, per permette ai praticanti di rendersi bene conto degli hashisabaki (movimenti degli arti inferiori). Non ci sono ragioni particolari perché anche un praticante debba rimboccarsi l'hakama, diciamo che si tratta di una moda, probabilmente da non incoraggiare perché aumenta il rischio che l'uke rimanga impigliato nell'hakama cadendo malamente.

 

 

Chi vuole seguire comunque questa moda però, per essere davvero conforme alla tradizione, dovrebbe seguire una procedura precisa: l'hakama non si rimbocca usualmente tirandola su in prossimità dell'apertura laterale per infilarne i lembi sull'orlo: vengono ripiegate attentamente le pieghe esterne della parte anteriore, facendole passare negli himo dal basso, per poi ripiegarne l'eccedenza dalla parte esterna in modo che non si sfli facilmente.

Nella foto, che raffigura il maestro Hideki Hosokawa (Cagliari, 1984) si può notare come seguendo questa procedura i lembi della hakama risultino sollevati nella parte anteriore, non di lato come quando si segue il metodo informale.

Fino a tempi abbastanza recenti questa procedura faceva parte del rituale introduttivo ai kata di alcune scuole, ad esempio il kata Hojoken della scuola Jikishinkage ryu. Non si tratta di meri formalismi o di particolari di secondaria importanza come potrebbe sembrare: fa parte della filosofia di vita del samurai curare la propria persona anche e specialmente nei momenti di estremo pericolo, dimostrando di non avere perso la propria compostezza perché preda dell'emozione

Come si indossa e si allaccia la hakama? Lo potete distinguere chiaramente nella foto dove è indossata da una donna: gli himo devono terminare con un nodo piatto che ricorda quello delle cravatte a farfalla occidentali. Questa chiusura, oltre che elegante, è anche quella che dà meno fastidio nella pratica delle arti marziali. E' destituita di ogni fondamento la leggenda metropolitana che vorrebbe questo tipo di nodo utilizzato prevalentemente da persone omosessuali. Esistono ovviamente altri modi di annodare gli himo, ma questo è quello classico. E' possibile come nel nostro esempio che i nastri posteriori e quelli anteriori vengano ripiegati diagonalmente, formando una croce di Sant'andrea priva del nodo piatto anteriore.

 


In passato la hakama esisteva in numerose varianti, che la rendevano sia un pratico abito da lavoro che un raffinato abito da cerimonia. Oggigiorno si utilizza sempre più  raramente in Giappone, in compenso se ne è diffuso l'uso in occidente assieme alla pratica delle arti marziali.

In queste sue nuove funzioni si dimostra un indumento sobriamente elegante allo stesso tempo che pratico nell'uso, e merita di essere trattato con cura.

La hakama più difficile da mantenere in buono stato e buon ordine  è proprio quella tradizionale in puro cotone che difficilmente mantiene le pieghe e viene trattata con coloranti vegetali che le conferiscono una splendida tonalità tra il blu ed il nero ma che tendono a perdere - molto a lungo se non per sempre - il colore.

Ne vale comunque la pena: chi ha la fortuna di possederne una è in grado di apprezzare la differenza rispetto alle più pratiche versioni moderne in fibra sintetica, soprattutto in termini di piacevolezza nell'uso.

Immediatamente dopo l'utilizzo la hakama va stesa su una superficie piana e pulita, i praticanti di aikido utilizzano il tatami stesso, ed accuratamente distesa con la parte posteriore - quella con il rialzo detto koshiita - verso il basso, eliminandone le pieghe.

I lembi esterni vengono poi ripiegati in senso longitudinale. A questo punto si procederebbe già normalmente alla piegatura degli himo, che serrano la hakama alla cintura, ma ne riparleremo più avanti.

 

 

 

 

 

 

Inizia poi la ripiegatura della hakama nell'altro senso: se ne ripiega un terzo circa, poi si ripiega a metà la parte rimanente.

La hakama è ora pronta per essere riposta, stesa orizzontalmente.

Normalmente però i praticanti di aikido o kendo - o altra disciplina che adotta la hakama - la devono trasportare molto spesso dentro una borsa.

Per questa ragione si piega ancora una volta a metà, in modo che occupi meno spazio e sia meno soggetta a stropicciarsi.

 

 

 

 

 

 

I lunghi himo sono l'incubo di chiunque sia alle prese per la prima volta con la piegatura della hakama.

Vale però la pena di applicarcisi, perché degli himo maltrattati e arrotolati alla rinfusa non tradano a vendicarsi diventando degli scomodissimi lacci da scarpe.

Devono invece sempre mantenersi bene stesi e piatti, in modo da non disturbare dopo l'annodatura, che nell' aikido è molto stretta e nel kendo non deve impacciare formando spessore chi deve indossare il bogu, l'armatura in cuoio e bambu da combattimento.

La procedura è in realtà molto semplice: si ripiegano 2 volte a metà gli himo più lunghi, quelli anteriori, sistemandoli poi in diagonale all'interno della hakama, in questo modo. Normalmente si ripiegano sul lato esterno, ma nel caso di una hakama che viaggia molto e spesso, è consigliabile ripiegarli all'interno.

La seconda coppia di himo viene fatta passare in questo modo: sopra la diagonale, che forma in pratica una larga X, ritornando poi da sotto.

Va ripetuta l'importanza di mantenerli ben piatti ed evitare che si riempiano di grinze, antiestetiche e scomode, ma nel caso di una hakama troppo economica il risultato sarà il più delle volte sempre insoddisfacente.

In queste foto sono appunto evidenti le grinze che inevitabilmente si creano ogni volta che si allaccia la hakama. Quando diventino eccessive è bene passare gli himo al ferro da stiro, non troppo caldo per evitare di stingere il colore.

 

 

 

 

 

 

La estremità libera del terzo himo viene poi fatta ritornare verso la parte piegata in precedenza.

Anche in questo caso passerà da sotto, fromando un'altra X, di dimensioni minori e disposta sul lato sinistro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si ripete la manovra con il quarto himo formando una nuova X posizionata sul lato destro.

Incrociando ogni volta la direzione di piegatura si evita di formare uno spessore eccessivo.

Le estremità degli himo si trovano ora in diagonale, dalla parte opposta rispetto a quella ove si trovavano prima.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ogni successivo passaggio è praticamente una conseguenza logica del precedente, quindi basteranno poche ripetizioni per poter portare a compimento la ripiegatura in modo spontaneo e naturale.

Abbiamo appena ripiegato un himo verso l'alto, ora dovremo prendere quello opposto e ripiegarlo verso il basso, facendolio passare sotto l'altro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In questo modo abbiamo avvolto la parte piegata precedentemente in una specie di nodo piatto, che la tratterrà evitando che il tutto si disfaccia maneggiando la hakama.

Si stringe questo cappio in modo che l'assieme rimanga piatto e ben saldo, ma senza esagerare per non stropicciare di nuovo gli himo che abbiamo appena spianato con cura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si passa, come oramai dovrebbe essere facile intuire, allo himo successivo.

Si ripete esattamente quanto fatto prima, naturalmente dal lato opposto.

Si comincia ad intuire quale sarà l'aspetto finale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Nuova ripiegatura verso l'alto.

Il sistema dovrebbe essere a questo punto be chiaro: si deve passare sotto ad una delle pieghe precedenti.

Quale? Quella che si viene a trovare automaticamente a portata di mano quando si effettua la piegatura.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Si ripiega in modo speculare l'altro himo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Siamo già arrivati all'ultima fase di piegatura. Se vedendo eseguire l'operazione da uno yudansha o comunque da una pesona esperta vi sembra che ci metta un tempo interminabile, è perché si tratta di un momento in cui è opportuno lavorare con efficienza ma senza alcuna fretta, in assoluto rilassamento.

Se agli inizi la piegatura della hakama può rivelarsi una seccatura, col trascorrere del tempo diventerà una piacevole abitudine.

 

 

 

 

 

 

 

 

Effettuata dal lato opposto l'ultima piegatura non rimane che sistemare le estremità.

Si possono celare sotto i cappi per ottenere un migliore, appagante, risultato estetico, oppure lasciarle in vista in modo da non doverle cercare quando sarà il momento di sciogliere il tutto per indossare di nuovo la hakama.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

A questo punto si può ripiegare la hakama a libro, con gli himo all'interno: come mostrato in precedenza si ripiega all'altezza di un terzo, partendo dalla estremità inferiore, e poi ancora a metà.

Gli himo possono anche essere ripiegati dal lato esterno, come fanno molti, e quando la hakama deve essere riposta effettivamente è meglio lasciarla così.

Gli himo si ripiegano all'interno quando l'hakama va riposta in una borsa, per evitare di sgualcirli o ingarbugliarli.

 

 

 

 

 

 

 

Quando l'hakama va sistemata dentro la borsa per andare a lezione, o ad un seminario, è bene inoltre piegarla ancora una volta.

Fino a tempi non lontanissimi i praticanti giapponesi difficilmente utilizzavano una borsa, ma sistemavano la hakama all'interno del keikogi, anchesso ben piegato, assicuravano il tutto con l'obi (la cintura) in modo che non si scomponesse e si recavano al dojo col fagottello sottobraccio.

In tempi più remoti l'involto veniva lasciato addirittura nel dojo, appeso con ganci alle travi del soffitto.

Chiudiamo ritornando ancora una volta sugli himo: la loro lunghezza è variabile, e nelle hakama di buona fattura è possibile richiederne una specifica.

Questo per poterli per adattarli alla propria taglia o al proprio modo di indossare la hakama ma anche alla disciplina praticata: in alcune si allaccia sul davanti, in altre sul dietro

I praticanti di aikido devono ricordare che nella hakama economica molto spesso gli himo sono di lunghezza insufficiente per poterli allacciare davanti: si dovranno allacciare di dietro come si usa nel kendo.