Akira Kurosawa: Madadayo
Il lascito spirituale di un grande maestro

Recensione dettagliata 

Ci sono molte ragioni per raccomandare a tutti la visione di Madadayo con un Bollino blu in grande evidenza. La più importante è certamente la sua palese funzione di testamento: è l'ultima opera di Akira Kurosawa, l'ultima immagine di sé che ha voluto lasciarci.

La seconda è che si tratta di un messaggio positivo, pieno di speranza e di amore per la vita, per gli esseri umani, per l'universo tutto. Non era tanto scontato, poiché il maestro ha attraversato diverse fasi nel suo percorso artistico, e se dovessimo tentare un bilancio constateremmo che nella maggior parte delle sue indimenticabili storie ha dimostrato invece un profondo e spesso irrimediabile pessimismo.

Il bilancio ovviamente cambia quando  si iniziano a "pesare" le opere una per una e a collocarle al posto che loro compete. E' evidente che l'opera conclusiva, quella che pone il suggello finale, abbia una valenza particolare ed illumini con luce diversa tutto il cammino fino ad allora percorso. E' il punto finale di arrivo.

Leggerete altrove - se vorrete - la recensione dettagliata di Madadayo. Vorremmo qui rendere conto brevemente della vera ragione per cui ne raccomandiamo la visione. Non solamente perché è interessante, non solamente perché è positivo, perché ci aiuta a comprendere il messaggio di un grande maestro (non è possibile tentare di comprendere a fondo Kurosawa finché non si è visto Madadayo).

C'è un'altra ragione quindi: dobbiamo vedere Madadayo perché è bello, e ci illumina il cuore. Torniamo a ripeterlo ora che, settembre 2011, vede finalmente la luce la prima edizione italiana in dvd, distribuita da Cecchi Gori Home Video, che ha una piccola piacevole sorpresa.

La fascetta all'interno riporta un estratto della nostra recensione e delle righe che state leggendo.

Sono molteplici i temi che si intravedono tra le righe di Madadayo, nessuno prevalente sugli altri perché la mano del maestro ha saputo fonderli armoniosamente. Nessuno gridato, nessuno sussurrato al punto di renderlo difficilmente intellegibile: tutto è raccontato con voce piana ed affascinante, come quella di un padre che racconta la "favola" al suo bambino.

 

Ed è quindi importante che questo messaggio, di Kurosawa raggiunga un pubblico più vasto possibile superando le naturali barriere poste dalla lingua, poiché non tutti avrebbero potuto seguire la vicenda in inglese o francese, per non parlare della versione originale in giapponese, mentre i sottotitoli richiedono una concentrazione supplementare che facilmente distoglie da quanto accade sullo schermo.

Abbiamo aderito molto volentieri all'invito di concedere l'uso dei nostri testi, considerandolo un modestissimo, gradevole e necessario contributo alla divulgazione del lascito di Kurosawa in Italia.

A quanti sceglieranno di seguire il nostro invito auguriamo una piacevole visione di Madadayo (Il compleanno) nella neonata versione italiana.

 

 

L'opera tratta dell'affascinante, fragile ma indissolubile legame tra il maestro di vita e i suoi discepoli. Hyakken Uchida, il protagonista, è un professore di tedesco che si ritira prematuramente dall'insegnamento all'Università per dedicarsi alla carriera di scrittore, ma che ha saputo avere tra i suoi allievi un impatto talmente magico da trascendere la materia insegnata ed essere considerato semplicemente il sensei, il maestro per eccellenza.

E' una persona assolutamente fuori dall'ordinario nella sua capacità di insegnare, con metodo rigoroso, la deliberata e lucida trasgressione di ogni metodo ed ogni rigore. E' delizioso nella sua totale incapacità di interessarsi del tanto superfluo che tenta di riempire la vita umana, per concentrarsi su quanto realmente vale e merita.

E' magico nella sua capacità di trovare il bello dove nessuno lo cercherebbe nemmeno, figuriamoci trovarlo. Come nella splendida luna che sorge alta sopra le rovine dei bombardamenti di Tokyo, illuminando indifferentemente grandezza e miseria dell'uomo.

E' impagabilmente esilarante nella sua capacità di estraniamento che lo porta a comprendere le ragioni del resto dell'universo confrontandole a quelle meschine e materialistiche di uomini e donne, riducendole sorridendo a poca cosa.

 

 

 

E' commovente nella sua capacità di dedicarsi ad esseri "umili" come il gattone Nora fino a dimenticare se stesso per pensare a loro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

I sentimenti di Uchida vengono mostrati da Kurosawa senza essere esibiti, accompagnati da un umorismo sottile e discreto quando ad esempio vengono illustrati i suoi rapporti con Nora.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

O come quando, trovandosi in macelleria ad acquistare carne di cavallo, viene guardato con profonda riprovazione da un cavallo, per giunta "di sua conoscenza", che passa di là, trovandosi in un terribile imbarazzo.

 

 

 

 

 

 

 

 

O quando all'ennesimo segno di commozione, commozioni che è bello vedere e nobili per quanto ingenue - anzi forse proprio perché ingenue - deve ricorrere al provvidenziale fazzoletto che la saggia moglie ha sempre pronto con sé.

O quando i suoi allievi cantano in coro la canzone dell'addio, Aogeba totoshi, che viene tradizionalmente intonata durante la cerimonia di chiusura di un corso di studi (troverete il testo e potrete ascoltarla nella recensione dedicata a L'arpa birmana, di cui è uno dei motivi chiave).

 

 

 

E' necessario Madadayo, quando nelle sequenze finali ci insegna che la vita, la sua splendida vita, era forse nulla più che il proseguimento di un gioco infantile a cui tutti abbiamo giocato e cui forse dovremmo ritornare: quello del "nascondino", a cui ogni bambino ha avuto il gusto di rispondere eternamente Madadayo! (Non sono pronto!).

Un uomo che si accosta alla morte con infantile curiosità e con l'altrettanto infantile scrupolo del bambino che si prepara ad un nuovo gioco.

Salvo magari rimandare, semplicemente perché incantato a guardare le nuvole. Probabilmente l'occupazione più alta e nobile cui possa dedicarsi un essere umano.