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In mancanza di un filo conduttore, o per meglio dire in presenza di un filo sottilissimo che rischia di spezzarsi al tentativo di raccoglierlo, non parliamo poi della inutile pretesa di "metterlo in ordine", sarà meglio presentare una sommaria galleria dei personaggi.

Rokuchan è l'unica persona felice, o perlomeno serena, nel campionario umano che ci presenta Kurosawa. Forse è naturale la sua irresistibile attrazione verso i treni, visto che abita con la madre Okuni (Kin Sugai) accanto alla ferrovia.

 

 

 

 

 

 

 

 

Di sicuro parte ogni mattina, dopo avere recitato le preghiere assieme alla madre, per la sua routine di lavoro, che prevede secondo lui otto corse la mattina ed otto il pomeriggio.

E altrettanto sicuramente le fa: dopo avere accuratamente verificato e ripulito una immaginaria locomotiva, sale "a bordo" del convoglio e si avvia.

Scandendo instancabilmente il suo ritornello "Dodes'ka-den, dodes'ka-den... sfreccia in mezzo agli immensi cumuli di immondizia, indifferente agli schiamazzi e ai lanci di pietre che accompagnano ogni suo passaggio.

 

 

 

 

 

 

 

L'incauto pittore che ha avuto la malaugurata idea di mettersi proprio sui "binari" per immortalare sulla tavolozza chissà quali indimenticabili scenari si becca da lui una bella ripassata, dopo essere riuscito appena in extremis a sottrarre sé stesso, tavolozza e cavalletto all'impatto del "treno", che Rokuchan sta tentando disperatamente quanto invano di arrestare in tempo.

Rokuchan non riesce a capire come mai certa gente sia così incosciente: che gli è venuto in mente di andarsi a mettere proprio in mezzo ai binari? E non l'ha sentita la sirena? La ripassata è anche poco...

 

 

 

 

 

 

Ma bene o male anche questa è passata, e alla fine della intensa giornata, a notte ormai fonda, Rokuchan rientra al "deposito".

Da qui dopo una ultima spolverata e una pacca affettuosa alla sua adorata locomotiva, può tornare a casa dalla madre, presumibilmente a sognare e pregustare il prossimo giorno di lavoro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il piccolo mendicante mantiene il padre nullafacente chiedendo incessantemente l'elemosina e ritirando gli immondi scarti dei ristoranti

Li porta poi al genitore nella loro "abitazione": la carcassa di una vecchia automobile, cucina, sbriga le faccende ordinarie, e intanto ascolta le fantasticherie del padre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sembrerebbe una situazione ignobile, eppure scopriamo sorprendentemente che il padre è forse l'unica persona fra le tante che conosceremo ad avere sentimenti nobili, sia pure assolutamente incapace di attivarsi per rendere concreti i suoi sogni o almeno dare una possibilità al figlio se a lui è mancata.

Il sogno ricorrente è quello di avere una vera casa, e si ripete ormai incessantemente, anche ad occhi aperti.

Ma questo simulacro irreale ed irrealistico lo appaga, rendendolo ancora più incapace di vivere la vita reale.

 

 

 

 

 

 

Sarà proprio lui a causare la morte del figlio, insistendo per mangiare del pesce tossico nonostante l'avvertenza di bollirlo accuratamente che era stata data al piccolo.