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Correva il terzo anno dell'era Tensho (1588) quando avvenne il primo dei due episodi cruciali che decisero il destino di Rikyu.

E furono, naturalmente, due memorabili cerimonie del te.

In occasione della prima, Rikyu diede precise istruzioni ad Honkakubo.

Doveva appendere alla parete d'onore la calligrafia di Kido, di proprietà del Taiko (il titolo con cui veniva chiamato Hideyoshi, e che ha dato origine al moderno termine inglese di tycoon).

Honkakubo esita: fa presente al maestro che utilizzarla senza il consenso del signore potrebbe sembrare un atto di sfida. Immediata, sprezzante, la risposta di Rikyu: "E' esattamente questo che mi spinge!".

Ospiti della cerimonia erano tre monaci del tempio Daitokuji, tra cui il più importante, che avrebbe occupato la prima posizione, era Kokei (Eijiro Tono), condannato all'esilio per ragioni che non era dato conoscere. E la calligrafia sembrava pensata espressamente per quell'occasione:

 

Le foglie si staccano dai rami

Gelida è l’aria d’autunno

L’uomo saggio lascia il suo tempio

Che torni presto e ci riveli il suo cuore.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Rikyu e i suoi ospiti sono addirittura infantilmente divertiti da quella che è una sfida in piena regola al massimo potere costituito, un potere che ha già mostrato di essere spietato.

E' un vero divertimento per loro scambiarsi reciprocamente violente accuse di sovversione, accettandole come un onore.

Riescono a stento a riguadagnare la loro abituale compostezza.

Quando gli ospiti abbandonano le sala, Honkakubo vorrebbe affrettarsi a rimettere al suo posto la calligrafia, in modo che nessuno possa accorgersi dello sgarbo.

 

 

 

 

Rikyu lo ferma: il suo obiettivo sarebbe completamente fallito, se nessuno si rendesse conto della sua provocazione.

La calligrafia deve restare ancora per qualche tempo esposta alla parete.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Termina la discussione con Urakusai e Daitokuya, terminano anche per il momento i tentativi di Honkakubo di venire a capo dell'enigma. Ricusa l'offerta di passare la notte ospite di Urakusai e si incammina alla luce della luna per tornare nel suo eremo.

Ma là, qualche tempo dopo, lo viene a trovare Urakusai. E' ancora alla ricerca della verità, come del resto Honkakubo: i loro destini debbono tornare ad incrociarsii.

 

 

 

 

 

 

 

Un nuovo tassello si aggiunge ai precedenti, ed anche se non svela le ragioni di quanto accaduto conferma che Rikyu era pienamente cosciente di quanto faceva, e ne prevedeva lucidamente il possibile esito.

Honkakubo mostra ad Urakusai un prezioso manoscritto del maestro Yamanoue Soji, dono che gli è stato inviato da Rikyu.

Sull'ultima pagina vi è scritto che va recapitato dopo che egli si sarà recato a Kyoto e sarà morto. Questo perlomeno diceva la sceneggiatura originale, tempo fa consultabile on line in inglese, riprendendo quasi testualmente lo scritto originale di Inoue (Le maître de thé, Stock 1995, p. 56, ove il manoscritto è anche dedicato ad altra persona).

Nel film l'affermazione è molto più esplicita: "Se fossi chiamato da Hideyoshi a Kyoto, o se fossi costretto alla morte, il presente scritto sia consegnato al mio discepolo".

La chiave di lettura di queste parole di Rikyu è collegata probabilmente ad un episodio accaduto quando Honkakubo si trovava ancora da poco al servizio del maestro, e la sua conoscenza dell'arte del te era ancora rudimentale.

Si dovette tenere a disposizione per una cerimonia che al cadere della notte non era ancora terminata, si avvicinò quindi nell'anticamera portando un lume, in attesa che venisse richiesto il suo intervento.

Dopo una breve attesa, senti un uomo proferire con tono irritato e ad alta voce queste parole:

"La parola nulla non ci guida a nulla. La parola morte cancella ogni cosa!"

A quel punto gli venne chiesto di portare il lume, e fece scorrere il fusuma della sala da te per consegnarlo.

 

 

 

 

 

Alla debole luce della candela, tenuta per giunta in modo da illuminare solo la calligrafia appesa alla parete, poté solo riconoscere Rikyu in uno degli ospiti.

I volti dell'altro ospite e soprattutto dell'officiante, colui che aveva pronunciato quelle parole, rimasero all'oscuro.

Aveva comunque, anche senza poterne vedere le fattezze, l'aspetto di un demonio.

Urakusai a questo punto è certo: l'officiante era il maestro Soji in persona, un demonio in carne ed ossa.