Michihiko Hachiya
Diario di Hiroshima
SE, Testi e documenti, 2005

 

Colpisce immediatamente il lettore, e lo lascia stordito, l'anormale normalità degli avvenimenti narrati in questo libro. La mattina del 6 agosto, alle 8,15, un isolato bombardiere americano, trascurato dall'aviazione nipponica a corto di carburante e osservato con curiosità ma senza particolare timore da terra, sgancia un ordigno che scende lentamente a terra, appeso ad un paracadute. Esplode a 580 metri da terra, distruggendo il 90% degli edifici di Hiroshima e causando un numero di vittime imprecisato, valutato tra 70 e 80.000. 

La copertina del libro riporta la foto, scattata da Ken Domon, di un reperto che testimonia il momento esatto dell'eccidio: il funzionario di polizia Yoshimi si trova a cira 900 metri dall'epicentro dell'esplosione e sul suo corpo esanime viene ritrovato l'orologio da tasca. Ha perso il vetro e le lancette, che segnerebbero altrimenti le ore 8 e 15 minuti.

Il dottor Michihiko Hachiya dirige l'ospedale Hiroshima Teishin Byojin, riservato ai dipendenti del Ministero delle Comunicazioni in Hihoshima, che conta 125 posti letto e circa 20 membri del personale. Nell'agosto del 1945 è tuttavia praticamente vuoto poiché i degenti sono stati sfollati nelle città adiacenti, in previsione di possibili bombardamenti dell'aviazione americana cui l'esercito giapponese non è più in grado di opporre valida resistenza. L'ospedale è a circa 1500 metri dall'epicentro.

Hachiya si trova nella sua abitazione, alcune centinaia di metri più distante, cercando di riposare dopo una notte di veglia essendo stato di turno alla postazione antierea dell'ospedale. Ricorda solo un lampo. Si ritrova poi completamente nudo e con numerose ferite tra le macerie della casa. La moglie Yaeko risponde ai suoi affannosi richiami: è ferita anche lei, e si dirigono verso l'ospedale sia per essere medicati, Hachiya perde sangue in modo preoccupante, che per essere in qualche modo di aiuto agli altri.

Inizia così l'avventura di Hachiya e dei suoi collaboratori in un inimmaginabile inferno, affrontato tuttavia giorno per giorno, come se tutto fosse normale, come se tutto continuasse ad essere normale. Probabilmente l'unico modo per sopportare qualcosa che la mente umana non aveva potuto fino a quel momento nemmeno ipotizzare.

L'ospedale come norma in Giappone, perlomeno a quel tempo, ha funzione soprattutto ambulatoriale e il personale è ridotto, in quanto sono soprattutto i parenti a prendersi cura dei degenti e a fornire loro il cibo. Ma essendo la robusta struttura in cemento armato tra le poche che hanno in qualche modo resistito diviene in breve tempo l'asilo di un numero sempre crescente di persone, che non si è in grado tuttavia di assistere essendo andate persi sia i medicinali che gli strumenti di analisi ed essendo scomparsi o rimasti feriti più o meno gravemente anche molti medici e infermieri.

Hachiya pur in condizioni precarie mantiene la sua lucidità, si direbbe anzi che i suoi sensi vengano portati dalla immane tragedia a un grado elevato di allerta; inizia il suo dario 2 giorni dopo l'esplosione, l'8 agosto. Non sono solo le condizioni dei feriti, dilaniati dall'esplosione ma soprattutto spesso orribilmente ustionati, a impegnare il personale medico; mancano anche viveri e acqua, oltre naturalmente l'elettricità. E ben presto ci si rende conto che qualcosa continua a uccidere: la guarigione o perlomeno il miglioramento dalle ferite causate dal bombardamento non garantiscono la sopravvivenza e la causa di queste morti rimane sconosciuta.

Solamente dopo una settimana circa, scartate le ipotesi di agenti batteriologici o di gas tossici, comincia a farsi strada quella di un ordigno atomico. Le possibili conseguenze sono però sconosciute. Verranno scoperte ben presto: anche numerose persone che si trovavano al riparo e non avevano subito apparentemente danni rilevanti iniziavano a soffrire di emorragie sottocutanee e viscerali, vomito ed espettorazioni. Spesso la morte sopraggiunge in pochi giorni. Le autopsie confermano la presenza di importanti emorragie interne.

Il 15 agosto è annunciato un importante comunicato alla radio: molti si attendono una esortazione delle autorità militari a combattere fino all'ultimo per difendere il suolo del Giappone. E' invece l'imperatore a parlare: nessuno aveva mai ascoltato la sua voce. Ordina la resa.

La battaglia di Michihiko Hachiya è invece solamente all'inizio. Man mano che inizia a riprendersi dalle gravi ferite e dallo stato di spossatezza causato da alimentazione inadeguata e insufficiente, man mano che si cominciano a ristabilire i primi rapporti con l'esterno, tenendo meticolosamente nota nel suo diario di quanto avviene, e riflettendoci incessantemente sopra.è lui a fornire le prime informazioni scientificamente rilevanti, che vengono immediatamente pubblicate, e a permettere di organizzare di conseguenza i soccorsi in modo più appropriato.

Il ritorno a una vita normale - apparentemente normale - sarà possibile anche grazie a lui. Nulla però potrà più essere psicologicamente accettato come normale per i sopravvissuti di Hiroshima.

Una postfazione di Elias Canetti (1905-1994), premio Nobel per la letteratura nel 1981, chiude il libro:

 

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E' scritto come un'opera della letteratura giapponese: precisione, delicatezza e responsabilità sono i suoi tratti essenziali

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In questo diario quasi ogni pagina è degna di riflessione. Se ne impara più che da ogni altra descrizione successiva, poiché si è coinvoilti nell'inesplicabilità dell'accaduto fin dal principio: tutto è assolutamente inesplicabile.

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Non c'è una riga falsa in questo diario; e nessuna vanità che non si fondiu sul pudore. Se avesse un senso rifllettere su quale forma di letteratura sia oggi indispensabile, indispensabile a un uomo che sa e non chiude gli occhi, si dovrebbe dire: eccola, è questa.

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Su richiesta di colleghi e amici, Hachiya pubblicò per lka prima volta il suo dario nel Teishin Igaku, una pubblicazione periodica che circolava nell'ambiente dei medici del Ministero (più precisamente Servizio) della Comunicazione. Venne poi a conoscenza del dottor Warner Wells, che si trovava negli anni 50 in Giappone alle dipendenze dell'Atomic Bomb Casualty Commission degli Stati Uniti d'America, e fu questi che ne chiese e curò la traduzione e pubblicazione in inglese nel 1955, col titolo Hiroshima Diary.

Il dottor Michihiko Hachiya è scomparso nel 1980.