Wim Wenders (Dusseldorf, 1945) ha una grande e meritata popolarità come regista ma sono meno note le sue attività "secondarie" come quella di scrittore o quella di fotografo. Avendo viaggiato molto nel mondo e avendo scelto di dedicare la sua vita a documentare per immagini quanto visto ma anche spesso quanto non visto e non vedibile, non c'è da sorprendersi che anche le sue fotografie meritino attenta considerazione. In questo libro anche il Giappone ha la sua parte. Importante e significativa, per quanto apparentemente marginale.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

In questa anomala recensione si parla di un testo, quello citato nel titolo, ma il discorso si allarga inevitabilmente alla mostra fotografica di cui il libro rappresenta il catalogo, aperta al Kunstpalast di Dusseldorf fino al 16 agosto 2015.

E' possibile infatti recepire appieno il messaggio di Wenders anche dal catalogo, pubblicato dal Museum Kunstpalast e probabilmente reperibile nei circuiti di pubblicazioni museali, senza doversi necessariamente avventurare fino a Dusseldorf.

Però solo la visione diretta delle opere, stampate in pannelli di grandi dimensioni, può rendere giustizia della professionalità, del gusto estetico e della capacità di ricerca, di analisi e di sintesi che Wenders dispiega in ogni sua attività ma che è particolarmente evidente nelle sue foto.

Ma occorre ora dedicare qualche riga alle scelte di fondo che guidano la mano e l'occhio di Wenders.

Sembra di cogliere nella sua selezione di opere due diverse tematiche.

La bellezza e il senso dell'eternità che ci vengono donati dal mondo così come creato dalla natura, e le rovine insensate lasciate dalla effimera presenza umana.

 

 

 

 

 

 

 

 

Entrambe queste tematiche sono non solo presenti nelle foto scattate in occasione dei suoi viaggi in Giappone, ma possono sembrare più permeanti delle altre, pur già forti, e più dense di significati.

E' difficile dire se questa sensazione abbia corrispondenza con la realtà: certamente nella bellezza della natura giapponese è assente il senso della grandiosità visibile altrove, come nelle splendide foto di un immenso cratere causato da un memetorite in Australia, riconquistato dalla natura e convertito in una foresta incantata.

Eppure il senso di serenità e di pace che emanano pur non essendo esattamente lo stesso vi è perfettamente compatibile.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sono assenti nelle foto giapponesi tracce della tragica e inutile  violenza umana, che si accanisce anche contro i falansteri creati dallo stesso genere umano che altrove si vota alla distruzione.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Mancano anche quei segni di irreversibile degrado legati non ad una deliberata volontà di distruzione ma alla incuria, alla incapacità di serbare memoria e rispetto verso se stessi e verso il proprio prossimo.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anche le metropoli sembrano meglio inserite nell'ambiente, più rispettose dell'armonia che pervade il mondo ovunque la presenza umana non diventi prevaricante.

Wenders si è recato a Onomichi, città che si affaccia sul mare interno del Giappone, per visitare i luoghi di Yasuhiro Ozu, ove fu girato il suo capolavoro Tokyo story.

E così rammenta quel viaggio: «Passeggiare di sera per Onomichi da la sensazione di toccare un terreno sacro.: il territorio di un Paradiso Perduto».

 

 

 

 

 

Perfino quello che sembra apparire come un brusco richiamo alla brutale realtà si rivela come un gioco, che allude ad una realtà invece lontana, e forse esistente solo nella fantasia.

La tetra e inespugnabile nave da battaglia si rivela essere solo il set  di un film, e viene visitata da turisti incuriositi e per nulla allarmati.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Sul finire del 2011  Wenders torna in Giappone e visita i dintorni di Fukushima, dove presenta Pina, un'opera dedicata alla coreografa Pina Bausch (1940-2009).

Era sua conterranea, nata a Solingen poco distante da Dusseldorf, e fondò nella vicina Wuppertal il suo famoso Tanztheater.

Tutto sembra essere rimasto intoccato dalla catastrofe: gli uccelli cantano all'imbrunire, anche se i contatori di radioattività segnano valori allarmanti; il proprietario della fattoria abbandonata ove si trovano chiede perché si siano dovuti abbandonare quei luoghi, e fino a quando dovranno rimanerne lontani. Wenders non sa rispondere.

Terminato il viaggio, al momento di sviluppare la pellicola, che continua a preferire alla fotografia digitale, Wenders scopre la risposta: tutti i negativi sono offuscati e recano una forte impronta sinusoidale: quella del mostro che per secoli divorerà Fukushima.

In questo filmato, in inglese, è possibile ascoltare dalla viva voce di Wim Wenders cosa lo spinge nella sua ricerca, e vedere alcune altre opere esposte nella mostra e presenti nel libro, mentre in questa intervista parla esplicitamente della mostra di Dusseldorf.